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Le elezioni presidenziali in Colombia: scenari e prospettive future

Creato il 21 maggio 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Le elezioni presidenziali in Colombia: scenari e  prospettive future
Intruduzione

I colombiani sono chiamati alle urne il prossimo 25 maggio per eleggere il trentasettesimo Presidente della Repubblica. Ma se i sondaggi dovessero rivelarsi fondati1, sarà necessario ricorrere al ballottaggio durante le giornate del 15 o del 16 giugno.

A seconda di chi sarà il vincitore della tournée elettorale, la politica di pace e di dialogo con le FARC, iniziata dal presidente Juan Manuel Santos, potrà continuare spedita oppure, al contrario, rischiare di rimanere insabbiata per sempre.

Una terza ipotesi prevede l’inasprimento della famigerata opzione militare, decisione quest’ultima che potrebbe ulteriormente aggravare il conflitto armato interno che, da decenni, sta martoriando il paese.

La Colombia, come noto, è un baricentro geostrategico molto importante dell’America meridionale.

Perciò qualunque azione intrapresa da parte del governo centrale nei confronti dei gruppi guerriglieri avrà di sicuro un forte impatto mediatico sia in patria quanto all’estero, soprattutto nei confronti dei restanti governi della regione.

Vi è poi la questione dei negoziati di pace, i quali dipendono, in gran parte, dai risultati delle prossime consultazioni elettorali. Perciò gli scenari che l’esecutivo di nuova formazione dovrà affrontare nel futuro mediato, non sono del tutto scontati e meritano qualche approfondimento.

La Colombia oggi

Quando si parla della attuale situazione in Colombia occorre citare alcuni dati di sintesi estremamente interessanti che dimostrano i progressi compiuti da questo straordinario paese negli ultimi dieci anni2.

Con una popolazione di circa quarantasei milioni di abitanti, la Colombia si è recentemente affermata come la terza economia regionale, dopo Brasile e Messico3. E’ anche il primo esportatore di carbone al mondo e il quarto esportatore di petrolio del continente americano.

Negli ultimi anni ha sottoscritto accordi commerciali con paesi di primissimo ordine, come gli Stati Uniti, Canada, Unione Europea, Messico, Corea del Sud, Turchia, Giappone, Cina ed è stato definito dalla banca d’investimento «Morgan Stanley» come uno dei paesi emergenti con più potenziale economico4.

Insieme a Cile, Messico e Perù è stato uno dei membri fondatori della denominata «Alleanza del Pacifico», una zona di libero scambio che aspira a superare il volume d’affari dell’odierno MERCOSUR.

Dal punto di vista geografico, i suoi confini rappresentano un punto di contatto tra il mare dei Caraibi e la regione andina ma anche un ponte naturale tra l’oceano Atlantico e l’oceano Pacifico.

Fra i progetti di sviluppo già annunciati da Bogotà, si possono annoverare la realizzazione di una ferrovia – concorrenziale al canale di Panama5 – nonché la costruzione di un oleodotto per portare il petrolio venezuelano verso il continente asiatico6.

Sotto il profilo militare, con i suoi quattocentocinquantamila militari, la Colombia è il paese sudamericano che più investe nel settore della difesa in proporzione al suo prodotto interno lordo7 e secondo il «Nation’s Power Index»8 dispone della forza armata più numerosa della zona.

Insomma, niente di cui stupirsi se si considera che l’esercito colombiano, per anni, anzi, per decenni, ha beneficiato dei massicci aiuti militari provenienti dagli Stati Uniti9.

Il conflitto armato interno

Va anche detto che la guerra intestina che sta devastando il paese, oramai da più di cinquant’anni, attualmente si presenta come l’unico conflitto irrisolto dell’emisfero occidentale, sovente paragonato, per la sua inusitata violenza e crudeltà, alle ostilità perpetrate nei Balcani10.

A ben vedere, il caso colombiano, presenta delle particolarità notevoli.

Infatti ci si accorge di non essere di fronte alla classica confrontazione bellica fra due bandi distinti e contrapposti. Nel conflitto colombiano, al contrario, intervengono attori più o meno armati (guerriglia, paramilitari, bande criminali ed esercito regolare) che combattono fra loro.

La guerra ha provocato una lunga scia di morti e di sfollati.

Si stima che tra il 1958 e il 2012 più di duecentoventimila persone, di cui centoottantamila civili e quarantamila appartenenti ai gruppi armati, hanno perso la vita negli scontri.

Sono scomparse più di duecentocinquantamila persone e più di cinquemila minorenni sono stati reclutati nelle varie fazioni. Inoltre si calcola che tra il 1990 e il 2014 circa diecimila persone sono state vittime degli ordigni esplosivi improvvisati, meglio conosciuti con l’acronimo inglese IED.

Attualmente ci sono più di cinque milioni di «desplazados» alcuni dei quali ormai considerati veri e propri rifugiati in quanto hanno varcato i confini nazionali e si sono radicati principalmente nei paesi limitrofi.

Da notare che le predette cifre sopra riportate riguardanti gli sfollati, non sono affatto dissimili rispetto a quelle che descrivono la rincresciosa situazione in Sudan11.

La questione della droga e del crimine organizzato

Il paese vanta un altro primato: oltre ad essere il principale paese produttore ed esportatore di cocaina al mondo12, ospita nel suo territorio le basi logistiche della malavita internazionale ed è diventata terreno fertile per il riciclaggio di denaro sporco, traffico d’armi e prostituzione.

In questa spirale criminosa, si insinuano anche le FARC: oltre ad essere il gruppo armato più numeroso, con circa ottomila membri armati, negli ultimi trent’anni hanno preso il controllo di buona parte del traffico di stupefacenti.

Grazie ai provenienti della droga, dei sequestri di persone e dello sfruttamento minerario illegale – soprattutto di oro, carbone e metalli rari13 – queste bande armate sono sopravvissute alla grande offensiva sferrata dallo Stato, a seguito dell’attuazione del cosiddetto «Plan Colombia».

Lo scenario internazionale

I guerriglieri sono anche riusciti a costruire una fitta rete di contatti politici e diplomatici, al punto di essere catalogati come veri e propri «alleati» di alcuni governi tanto dell’America Centrale come del Sudamerica.

Durante i summit dell’OSA, il governo colombiano non ha risparmiato accuse nei confronti del governo venezuelano, sospettato di aver fornito assistenza logistica e militare alle FARC. Anche Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, è stato accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti da parte dei guerriglieri per la sua campagna elettorale14 e di garantire, in cambio, protezione. Infatti nel 2008, la Colombia e l’Ecuador, hanno protagonizzato una crisi diplomatica senza precedenti a seguito del bombardamento del campo di Raul Reyes, storico esponente delle FARC, in territorio ecuadoregno15 16.

Da non sottovalutare la posizione assunta di Washington in merito alle vicende colombiane. Alcuni governi della regione hanno catalogato la loro continua vicinanza a Bogotà come un interesse del tutto naturale. Altri governi invece giudicano negativamente l’ingerenza statunitense in quanto lesiva dell’autonomia regionale.

Altri governi sudamericani ancora, come quello di Luiz Ignazio “Lula” Da Silva e Dilma Rousseff in Brasile o di Néstor e Cristina Kirchner in Argentina, hanno assunto una posizione neutrale. Infatti, entrambi i governi, non considerano i guerriglieri come gruppi «terroristi» bensì in quanto «combattenti legittimi» e quindi alla stregua delle categorie protette e tutelate del diritto internazionale umanitario.

Si tratta di una circostanza emblematica quest’ultima che dimostra, peraltro, quanto siano complesse le dinamiche e le vicende relative alla situazione in Colombia.

Conclusione

I candidati che si sfideranno per conquistare la massima carica dello Stato dovranno convincere i colombiani – e non solo – che le loro proposte per porre fine al sanguinoso conflitto armato sono le più credibili, giuste e praticabili secondo gli standard di giustizia internazionale.

Tuttavia, trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di pace e riconciliazione da un lato, e di giustizia e partecipazione politica dall’altro, in uno scenario in cui gli interessi sono piuttosto numerosi e variegati, non sarà un’impresa facile.

Soprattutto se si considerano le resistenze avanzate dalle forze conservatrici, le quali non rinunceranno facilmente all’opzione militare per due motivi: perché ciò significherebbe sacrificare buona parte del loro potere e perché non saranno mai disposte a rinunciare ai privilegi accumulati durante più di mezzo secolo di violenza bellica.

La storia insegna che le operazioni militari promosse dagli Stati su vasta scala nei confronti dei guerriglieri o dei gruppi di insorgenti, non ha mai prodotti effetti benefici per lo sviluppo dei popoli e delle nazioni. Ne sono stati esempi lampanti il Vietnam, il Laos e la Malesia, lo sono oggi l’Afghanistan, l’Iraq e la striscia di Gaza.

Il dialogo politico e la concertazione sono le vere e proprie alternative alla violenza bellica e al predominio di taluni gruppi egemonici.

Insomma, i cittadini colombiani che si recheranno alle urne la prossima settimana si troveranno di fronte ad un bivio: scegliere un paese che vuole affermarsi nello scacchiere internazionale, oppure, affidare le sorti della nazione alla contesa delle armi.


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