Le esplorazioni: bisogno, curiosità e conquista per una verità antropologica

Creato il 16 dicembre 2011 da Sirinon @etpbooks

L’occasione è pervenuta dalla lettura di un testo relativo ai viaggi di uno dei più grandi viaggiatori del medioevo: il cinese Zheng Ho.

Nel 1403, sotto il patrocinio imperiale, iniziò ad allestire una imponente flotta con lo scopo ufficiale di ricercare alcuni dignitari scomparsi a seguito della guerra civile appena cessata, flotta che in realtà divenne la punta di diamante dell’impero cinese e della appena sorta dinastia Ming (che avrebbe regnato dal 1368 al 1644) per gli innumerevoli viaggi che avrebbe compiuto: ben sette furono le spedizioni ed avrebbero toccato le sponde di una moltitudine di paesi dei quali se ne conosceva vagamente la possibile esistenza per racconti tramandati da mercanti viaggiatori, da un certo Marco Polo di nostra conoscenza e, più che altro, dagli arabi che, con un certo Ibn Battuta, avevano già avuto modo, circa un secolo prima di visitare l’Africa e la Cina stessa, lasciando dunque innumerevoli testimonianze sulle quali Zheng Ho programmò le sue spedizioni.   I suoi viaggi senza dubbio avventurosi non quanto la presunta tappa verso l’ignoto di Cristoforo colombo che, come sappiamo, incontrò le Americhe in quella atmosfera di lotta filosofico-scientifico-religiosa che gli fece ammettere, più per opportunità che non per conoscenza, di aver toccato le Indie che, per quanto già conosciute, trovandosi di fronte a pochi e sparuti indigeni, decise di ribattezzare sveltamente con tanto di imprimatur cattolico, San Salvador.

Il nostro Zheng Ho, divenuto ignaro strumento per questi appunti, viaggiatore che tra l’altro, erroneamente, come dichiararono nel non lontano 2006 le autorità cinesi, a causa di una mappa del globo attribuita inizialmente ai risultati dei suoi viaggi, non toccò le coste americane come voleva invece sostenere la famosa “ipotesi del 1421”, portata avanti da un eccentrico - per non dire unicamente imprenditore anziché scienziato – membro della Royal Society, Gavin Menzies. Ma non è su questo che vogliamo concentrare le nostre piccole luci quanto sul fatto che le sue spedizioni, contrariamente a quelle di Colombo, non erano rivolte alla conquista, alla necessità di reperire nuove risorse così come i già asfittici governi europei (come vedete il vizio parte da lontano nel tempo) che invece anelavano e che fecero sì da finanziare un Colombo che probabilmente, in una situazione diversa, non avrebbe avuto alcuna chance. Zheng Ho, al contrario viaggiò in definitiva per la conoscenza, per lo scambio commerciale e non per lo sfruttamento, quantunque le sue spedizioni fossero regolarmente costituite da centinaia di navi e da migliaia di soldati. Ciò era dovuto più ad una forma di difesa che non di attacco. Di fatto non si ha memoria storica di battaglie da lui sostenute né di terre conquistate in nome e per conto dell’imperatore in altri continenti. Sorge a questo punto la curiosità su quando l’esplorazione ebbe dunque inizio, sì da comprendere, andando a ritroso nel tempo, dove, quando e perché l’uomo iniziò questa attività. E se il cammino verso gli albori dell’umanità è semplice fin tanto che troviamo documentazione scritta o resti di manufatti che possano darcene comunque notizia, quando ci addentriamo nell’epoca dell’homo sapiens ed ancor prima di lui dell’homo erectus, dobbiamo affidarci alle ipotesi verosimili a ancora a scarsi indizi che possano far presumere tali avvenimenti. Senza dubbio alcuno le prime migrazioni dell’antenato dell’uomo moderno avvennero per necessità di sopravvivenza e dunque erano indotte dagli spostamenti del bestiame, dal clima, della necessità di acqua.

E le prime testimonianze in tal senso ci giungono dall’Africa centrale orientale, da dove, oltre mezzo milione di anni fa, l’homo erectus iniziò la sua prima esplorazione, probabilmente preceduta dai cacciatori, che lo condusse verso l’India, e poi verso gli altopiani asiatici e giù verso le Filippine. Così in questo peregrinare verso nuove terre per necessità di ambienti climaticamente e morfologicamente più idonei alla vita oltre che ricchi di cacciagione, l’uomo iniziò quel lungo cammino che porterà alla conoscenza del mondo. Si innesca in questo processo una domanda importante che investe la natura dell’uomo stesso, ovvero perché e quando cominciarono le guerre. La più antica di cui si hanno testimonianze risale a circa 14.000 anni fa, avvenuta fra Egitto e Sudan a Jebe Sahaba, là dove oggi si trova il cosiddetto “cimitero 117”. Gli scheletri di 59 individui, adulti e bambini, massacrati con lance e frecce vennero ritrovati nel 1964 da un team guidato dall’archeologo Fred Wendorf. Ma cosa spinse a questa guerra? Una carestia? La disputa per una preda? Il controllo di un territorio? E’ su questa ultima possibilità che si fonda una delle ipotesi circa la natura umana, quella che oggi lo vuole “aggressivo per natura”, contrariamente a scuole come quella di Margaret Maed, antropologa di inizi novecento, che escludeva la guerra dai caratteri biologici dell’uomo reputandola una “invenzione dell’intelletto”. Contrariamente ad essa, la mitica Jane Goddall, colei che restò per anni isolata con gli scimpanzè, dando per buona la teoria darwiniana dell’evoluzione, ci narra di come in quella società di individui, tutti coloro che si non accettavano la comunità di origine venivano con la forza o eliminati o costretti a migrare verso altre terre, in ciò affermando, per conseguenza, come invece nella biologia umana sia presente il seme della violenza e della prevaricazione.

In realtà, il processo di popolamento della terra, della migrazione da un territorio ad un altro e quindi l’epopea delle esplorazioni, è frutto di molteplici fattori che si sono in ogni epoca combinati insieme fino ad arrivare ai giorni nostri dove l’esplorazione intesa come scoperta si è oramai limitata a poche migliaia di chilometri quadrati che, tra l’altro, salvo impensabili sorprese, tutti incompatibili con la vita umana fatto salvo un interesse per loro dovuto alla volontà di sfruttamento delle possibili risorse. Fu con Colombo e con l’avvento dell’era moderna che  esplorazione e sfruttamento iniziarono a legarsi ed a divenire indissolubili poi con il tempo. Sino ad allora le guerre si svolgevano su terreni già in buona parte conosciuti e fra popoli che precedentemente già avevano avviato fra di loro scambi commerciali e diplomatici (basti pensare al viaggio nel 79 d.C. dell’ambasciatore cinese Kan Ying verso Roma, viaggio che fu interrotto sul Mar Nero dove nemici dell’impero lo sconsigliarono di proseguire). Difficilmente le motivazioni legate soprattutto alla sopravvivenza dettavano la necessità della lotta. Era il desiderio del potere che affascinava, anche se poi, vicende come ad esempio quella di Alessandro Magno avevano prodotto legami e rapporti di scambio non solo commerciale ma anche culturale che arricchivano tutti i popoli coinvolti. Pochi in realtà già al suo tempo erano rimasti i viaggiatori che si muovevano per puri scopi scientifici. Fra essi, verso il 400 a.C., Pytheas, greco d’origine, che partì dalla odierna Marsiglia per arrivare fino a fare il periplo della Gran Bretagna. Ciò che è curioso, ma estremamente emblematico è il fatto che le prime carte geografiche, in base al viaggiatore che le realizzava, mostravano sempre il suo “continente” di origine come molto grande e le altre terre figuravano come deformi appendici di un corpo sostanzioso e potente ch’era la zona natìa. Di fatto queste carte non servivano molto ai commerci né alle carovane che avevano ormai ben altri simboli per orientarsi sul terreno, né ai marinai che ormai con le stelle sapevano ove una certa rotta li avrebbe diretti. L’uso principale che ne veniva fatto era di tipo militare, religioso e amministrativo.

La conoscenza del mondo a quel tempo era potere, ovvero strumento per teorizzare ed ipotizzare leggende religiose, presunte divine discendenze e, talvolta, dare una idea, molto poco scientifica invero, di come funzionava il mondo. Dal medioevo in poi a grandi linee la storia delle esplorazioni è conosciuta. Sarà in quel periodo che le strade inizieranno sempre più a dividersi tra coloro che perseguiranno il viaggio come strumento di conoscenza e scambio e coloro che invece saranno solo avanguardie di quella triste epopea chiamata colonizzazione. Le esplorazioni di fatto continueranno poi fino a tutto il XIXmo secolo fino a quando, agli albori del 1900, con il raggiungimento dei due poli - il Polo Nord raggiunto nel 1909 da Peary ed il Polo sud nel 1911 da Amundsen -, questa grande epopea termina, lasciando soltanto poche piccole zone inesplorate del pianeta, peraltro in linea di principio più che da conoscere, da valutare per uno sfruttamento come sta accadendo ancora in quel vasto mondo ancora parzialmente vergine dell’Amazzonia. Oggi che il mondo soffre di un enorme problema che è quello della sovrappopolazione, oltretutto distribuita principalmente in quelle zone che più sono confacenti alla vita umana, il mondo delle esplorazioni è scomparso, soppiantato da quello, talvolta miserando delle migrazioni, per lo più forzate (come se si fosse compiuto un giro di ruota epocale per cui dalla necessità di sopravvivere si è giunti alla curiosità scientifica per poi tornare alla fine del giro al bisogno di spazio vitale), in cerca di quei tesori che una volta si immaginavano in mitici luoghi come l’Eldorado o Atlantide e che invece attengono, molto più mestamente, dilaniati ed accecati dal perseguimento del profitto, nuovamente alla compatibilità con la vita, tesori che si chiamano lavoro, solidarietà, umana comprensione, finanche il diritto alla vita stessa. Un processo più che di emigrazione, di fuga, iniziato con la metà dell’800 quanto meno da parte europea, proseguito agli inizi del ‘900 come ricorda il frontespizio di questo blog ed ingigantito, anche nella sua tragicità, ai giorni nostri. Senza pensare ad altri tipi di tragedie che ancora flagellano un continente come l'Africa.

Per fortuna l’evoluzione della terra, se riusciamo a non ucciderla prima, non sembra avere fine ed i piccoli e grandi macrocosmi si moltiplicano, nascono e muoiono, le culture si trasformano e la necessità di esplorare non viene meno, anche se con obiettivi meno epici ma per questo non certo poco interessanti. E poi resta aperta ancora la grande sfida, quella che l’universo ci offre, silenziosa ed intrigante, così come quella dell’infinitamente piccolo, di particelle di materia che sembrano avvicinarci alla sorgente, quella più importante, quella che forse potrà indicarci la strada verso una convivenza armonica con il mondo che ci ospita. Restano dubbi da sciolgiere, tanti. Fra tutti quello sulla reale natura dell'uomo che vede oggi vacillare chi crede in una connotazione biologica tesa al bene e non preda di istinti ancora primordiali, lasciando così aperto uno dei più grandi interrogativi della storia.


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