Sono appena tornata dall’ennesimo colloquio di lavoro che mi ha lasciato, per così dire, perplessa, volendo usare un eufemismo. Tutti, prima o poi, sono costretti a finire nella morsa di quegli esseri contorti e sadici che sono i selezionatori delle risorse umane, ma i personaggi che ho incontrato negli ultimi mesi, con il loro strano modo di agire, rappresentano una sfida asperrima alle mie capacità di comprensione. Ho sempre considerato i colloqui di lavoro come degli esercizi di recitazione. Ogni volta si deve indossare una maschera, e ci si deve cimentare nell’interpretare un personaggio diverso, nell’arduo tentativo di combaciare con l’immagine che l’intervistatore di turno ha del candidato ideale (o quella che si pensa che lui abbia). Ho sempre imputato gli scarsi risultati che, evidentemente, ho ottenuto finora nei colloqui, al mio scarso talento per l’arte drammatica. Il teatro non fa per me e purtroppo, a quanto sembra, recitare nel ruolo di se stessi non ripaga. Ad ogni modo, al di là dei risultati, si può dire che io, ormai, abbia acquisito una certa esperienza in materia. Nonostante ciò, però, gli incontri avuti negli ultimi tempi mi hanno colta di sorpresa e non posso evitare di rimurginarci su, nel tentativo di svelare quello che per me è il vero, grande enigma della contemporaneità. A che gioco gioca il selezionatore di risorse umane?
Ultimamente ho inanellato un caso strano dietro l’altro! Proverò a riportare le esperienze che ricordo con maggior affetto, partendo dal grado minore di astrusità.
Quest’estate ho fatto un colloquio per una ditta spagnola, con una coppia di donne a cui piaceva giocare al poliziotto buono e a quello cattivo. Niente di anormale, in fondo. A parte degli sgradevoli commenti su quella che consideravano la mia lacuna principale - che io non abbia la cittadinanza spagnola, cosa che automaticamente mi ha escluso dai giochi* - questo schema è un classico! Una tattica psicologica usata negli interrogatori, un clichè di ogni buon telefilm americano che si rispetti. Le geniali menti delle Human Resources hanno pensato di trasporre questo metodo di costrizione psicologica nel meraviglioso mondo dei colloqui di lavoro. Ha l’aria di essere una tattica micidiale, ma io sono cresciuta a pane e polizieschi americani e non mi lascio intimorire. Gioco alle loro regole, ma continua a sfuggirmi l’obiettivo finale. Forse dovrei valutare l’ipotesi di un corso intensivo in gestione delle risorse umane. Se non li puoi sconfiggere, unisciti a loro.
Passando ad un caso meno “classico”, ricordo - provando ancora oggi un vago senso di disorientamento al rimembrare quei fatti - il colloquio avuto con un giovane manager rampante, fresco di promozione e di trasferimento all’estero. Dopo avermi accolto con modi morbidi quanto lo sgabello di legno su cui mi ha fatto sedere, e con viva simpatia, tanta quanto quella del fermacarte di marmo appoggiato sulla sua scrivania, ha iniziato a sproloquiare riguardo ai temi che gli stavano più a cuore: la-sua-carriera-nel-suo-nuovo-ufficio-della-sua-nuova-sede-nella-sua-nuova-città. Ha, poi, snocciolato una serie di domande a cui si è dato delle risposte ed ha, infine, continuato a parlare a ruota libera fino ad esaurimento saliva. Verso la fine del monologo, intercetto nella strabordanza verbale una frase di senso (in)compiuto che mi lascia di stucco. L’offerta di lavoro non esiste! Forse esisterà in un futuro, ma per il momento non sa se ci sono fondi per assumere una persona. Il suo obiettivo è solo quello di tastare il terreno; valutare la rispondenza all’annuncio; visionare, in via ipotetica, dei papabili candidati, perché dubitava che in questo Paese, la Spagna, potessero esserci delle figure professionali corrispondenti al profilo. Ma dico, tutto ciò è normale? Sto ancora riflettendo per cercare di capire qual è la logica sottesa a tutto questo. A volte, ho addirittura delle fantasie. Lo immagino mentre assume un’altra persona per quel posto appena prima di me, e mentre decide, poi, di recitare la parte a mio beneficio, per non ferire i miei sentimenti. Magari mi aveva lanciato uno sguardo mentro ero nella sala d’attesa, e la mia espressione - tra il malinconico, l’agitato, e il perso nel vuoto - gli aveva fatto tenerezza. Altre volte, invece, penso che abbia messo in rete l’annuncio con l’offerta di lavoro con la stessa leggerezza e spensieratezza di quelli che cercano la loro metà su meetic, o di quelli che vogliono rivendere su e-bay i calzini usati del nonno. Della serie, “metti che qualche disperato risponda..bene che va, mi sarò fatto due risate alle sue spalle e, male che va, avrò un indirizzo e-mail in più da aggiungere alla mia rubrica, che può sempre tornare utile per inoltrare le catene di Sant’Antonio”. Ho altre fantasticherie, ma queste due sono le mie preferite.
Passiamo, poi, al mio case-study favorito. Un giorno dovevo incontrare questo signore per parlare dell’ipotesi di una mia collaborazione part-time con la sua agenzia. Dopo aver parlato di tutto, tranne che di lavoro, mi dice che per lui è cosa fatta. Non aveva bisogno di chiedermi nulla, né di analizzare il mio curriculum. Sentiva che emanavo delle vibrazioni positive, e questo era l’importante. Aveva appreso da poco, facendo reiki, che il centro dell’universo siamo noi, e le energie positive che sprigioniamo, che ci permettono di star bene tra noi, ed in armonia con la natura. Mi ha portato al Parque del Retiro ad abbracciare gli alberi. Lo scopo era assorbire vibrazioni di serenità, poiché mi vedeva agitata (chissà mai perché!) e voleva calmarmi. Ho abbracciato un albero, sotto lo sguardo vacuo dei poliziotti guarda-parco. Poi sono scappata via, e non l’ho più rivisto. Ogni volta che passo davanti al Centro Yoga e Reiki mi viene in mente lui. E propendo per la lezione di spinning.
In conclusione, devo ammettere che in Italia avevo collezionato, molto più banalmente, una serie infinita di strette di mano e di "le faremo sapere", ma a Madrid ho davvero avuto l'opportunità di ampliare di molto la mia conoscenza della materia. E, per come vanno le cose, confido che il futuro possa riservarmi altre mirabolanti avventure, di eguale, se non maggiore, grado di assurdità.
*Questo concetto meriterà approfondimento a sè, prossimamente im un'apposita sezione.
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