Le favole esistono, la riconoscenza no (by Marius)

Creato il 24 agosto 2013 da Simo785

Dall’archivio del Bar Frankie, pubblicazione originale del Novembre 2012.

Quasi nove mesi, quasi un parto. Tanto è durata l’avventura di Roberto Di Matteo alla guida dei Blues di Chelsea. Il proprietario della squadra londinese, Roman Abramovič, non ha per nulla gradito la scoppola subita martedì sera allo Juventus Stadium, uno 0-3 senza appello, una squadra dominata dal primo all’ultimo minuto e, data la concomitanza del risultato dell’altro match del girone, ormai virtualmente esclusa dall’accesso agli ottavi di finale della Champions League. Letto così l’esonero sembra il minimo dovuto per una società che punta sempre e comunque al massimo risultato. Eppure in questi nove mesi Di Matteo ha portato il Chelsea al punto più alto della sua storia ultracentenaria.

Il magnate russo acquistò il Chelsea FC nel 2003, da allora ha investito in campagne acquisti e ingaggi per calciatori e allenatori quanto probabilmente nessuno al mondo prima di lui, consentendo ai Blues di conquistare tre titoli inglesi, quattro FA Cup e diverse coppe nazionali “minori”. Non che prima di lui il Chelsea non avesse mai vinto nulla, ma l’unico “scudetto” risaliva al lontano 1955; la gestione Bates di fine anni novanta aveva portato finalmente alla ribalta i Blues in Inghilterra e soprattutto oltremanica, vincendo coppe europee grazie anche alla truppa italica composta da Vialli, Di Matteo, Cudicini e Gianfranco “Magic Box” Zola, nominato nel 2007 il più forte giocatore che abbia mai indossato la casacca blu.

Abramovič ha fatto fare l’ulteriore salto di livello, si scende in campo per vincere, senza alternative, il secondo posto è una sconfitta. Allora ecco arrivare gli allenatori più quotati del pianeta: da Mourinho, fresco di Coppa dei Campioni conquistata con il Porto, a Carletto Ancelotti, dopo otto anni leggendari di trofei rossoneri, passando per Scolari, Grant, Hiddink.

Poi, seguendo un po’ le mode, nell’agosto del 2011 decide di ingaggiare André Villas-Boas, allievo dello Special One e nuovo messia del calcio europeo. Lo Special Two dura sei mesi, pochi i risultati in linea con le aspettative della dirigenza, lontano dalla vetta in Premier League e, dopo l’andata degli ottavi a Napoli con sconfitta per 1-3, ormai quasi fuori dalla Champions League.

Tocca al vice allenatore cercare l’impresa e Roberto Di Matteo, che era già Blues ante Abramovič, trasforma l’impossibile in realtà: nel ritorno 4-1 dopo i supplementari, Stamford Bridge in delirio, il Napoli torna sulla Terra. Inizia quella sera una favola, Di Matteo pone al centro della sua missione i “senatori”, intellegentemente mescolati con le nuove leve e il Chelsea vola, in FA Cup come in Champions. A due mesi dalla prima panchina ufficiale Di Matteo si siede su quella di Wembley per affrontare il Liverpool nella finale della coppa nazionale che i Blues vincono con il gol decisivo di Didier Drogba. Nel frattempo, in Champions League i londinesi eliminano il Benfica, nei quarti, e sua maestà il Barcellona in semifinale, mandando in gol anche il redivivo Torres, smarrito da anni nelle nebbie albioniche.

La finale è così raggiunta ma il Chelsea non è il favorito visto che la Coppa si assegna all’Allianz Arena di Monaco di Baviera, la casa dell’altra finalista, il Bayern.

Ma come tutte le favole che si rispettino anche questa ha il suo lieto fine, Didier Drogba, vero fuoriclasse e centravanti come pochi al mondo, non fallisce dal dischetto l’ultimo e decisivo rigore della serie e Roman Abramovič può finalmente tornare a Londra con la Coppa dei Campioni, il Sacro Graal che ha cercato dal lontano 2003.

Eppure qualcosa non è andato come il magnate russo avrebbe voluto, la coppa dalle grandi orecchie non è arrivata sotto la guida di uno dei costosissimi guru della panchina ma con un vice, con un allenatore che aveva condotto, prima di allora, solo un paio di squadre di seconda e terza fascia. 

Di Matteo è persona intelligente, ha saputo utilizzare al meglio gli uomini a disposizione con la loro esperienza e con la loro leadership, da buon italo-svizzero ha saputo attuare il catenaccio, nato come verrou proprio in Svizzera, ricavandone il massimo risultato possibile.


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