In fondo, il riquadro per sapere di più sull'autrice, che ringrazio per il suo contributo.
“Le cinque ferite e come guarirle” di Lise Bourbeau, è un saggio psicologico che, oltre ad avermi aiutata molto nel mio percorso di evoluzione e di crescita, offre un supporto fondamentale alla mia scrittura consentendomi di rendere i personaggi più complessi e profondi e di indirizzarli verso comportamenti coerenti con la loro indole.
Esistono esperienze che ci impediscono di vivere assecondando la nostra natura più profonda. Provocano disagio, dolore, dispiacere. E, soprattutto, ci fanno paura. Sono vissute nella non-accettazione. Si nutrono di giudizi severi e di senso di colpa. Continuano ad alimentare le ferite dell’anima, che traggono origine da episodi vissuti nell’infanzia e dall’interpretazione che noi vi abbiamo dato.
La relazione fra un accadimento e una ferita è tutt’altro che automatica. Le medesime esperienze possono originare reazioni differenti a seconda del bagaglio psicologico pregresso che il soggetto porta con sé. Pensiamo, ad esempio, alla nascita di un fratellino. Il primogenito può sentirsi abbandonato dai genitori, oppure tradito. Può maturare una ferita da rifiuto, legata alla sensazione di non essere stato abbastanza per loro, di averli spinti alla decisione di fare un secondo figlio. A generare una ferita è la ripetizione dell’emozione associata ad episodi vissuti in modo simile, perché essa origina convinzioni inconsce nelle quali ci troviamo involontariamente a sguazzare, finché non riusciamo ad acquisirne consapevolezza.
Tuttavia, noi esseri umani non vogliamo soffrire. Abbiamo bisogno di proteggerci. Pertanto, tendiamo ad indossare una maschera. Mettiamo a punto una serie di comportamenti ripetitivi con i quali cerchiamo di nascondere, agli altri o a noi stessi, ciò che ancora non abbiamo voluto risolvere. Anche il nostro corpo finisce per adeguarsi alla ferita ed assumere fattezze che ne riproducono le caratteristiche. Talvolta, sviluppa specifici disturbi e malattie ad essa associati.
Di seguito, analizzerò sinteticamente due delle cinque ferite, e le loro maschere. In futuro, scriverò un altro guest-post dedicato alle altre tre. Purtroppo il tempo e lo spazio mi impediscono di approfondire al meglio, ma rimango a vostra disposizione, sia qui sia sul mio blog, per qualunque esigenza di chiarimento.
Ferita da rifiuto - maschera del fuggitivo
Il rifiuto è una ferita profondissima, perché la persona che ne soffre si sente respinta in tutto il proprio essere e, soprattutto, nel suo diritto ad esistere. A forza di alimentare il proprio dolore, perde la lucidità e non riesce più ad essere oggettiva: percepisce un rifiuto anche quando non c’è.
La prima reazione di una persona che si sente rifiutata è la fuga. Il bambino che si sta creando la maschera del fuggitivo vive molto spesso in un mondo immaginario. Si tratta per lo più di un soggetto buono, tranquillo, che non causa problemi e non fa rumore. Il suo obiettivo è quello di eclissarsi. Gli adulti dicono “hai sempre la testa fra le nuvole” ma, siccome non fa male a nessuno, lo lasciano in pace.
Da adulto, tale soggetto diventa un lupo solitario. Ha pochi amici e scarse relazioni sentimentali. Per paura di essere rifiutato, finisce per isolarsi spontaneamente. Entra allora in un circolo vizioso: indossa la maschera del fuggitivo per non soffrire e diventa talmente evanescente che gli altri non lo vedono più. Di conseguenza, si ritrova ad essere sempre più solo, trovando conferma dell’idea di essere rifiutato da tutti.
Talvolta, per assecondare il suo bisogno di fuga, tende a rifugiarsi nell’alcool o nella droga, in vizi che hanno lo scopo di alimentare i suoi sogni e le sue illusioni, di emarginarlo, di farlo sentire un outsider.
Tale maschera si riconosce fisicamente dal fisico, che è esso stesso fuggitivo e pare voler scomparire. Si tratta di un corpo che non vuole occupare spazio, solitamente smilzo, striminzito e contratto. Talvolta le spalle si incurvano, i polsi e le caviglie sono sottili. Spesso, c’è l’impressione di un blocco nella crescita fisica. Una parte del corpo può essere più piccola delle altre o può dimostrare un’età diversa. Talvolta, si ha l’impressione di vedere un adulto imprigionato nel corpo di un bambino.
La ferita influenza anche il modo di nutrirsi, in quanto l’essere umano alimenta il corpo fisico esattamente come alimenta quello mentale. Il fuggitivo, dunque, preferisce piccole porzioni e spesso gli si chiude lo stomaco quando ha paura o vive emozioni intense. Le persone anoressiche sono in prevalenza fuggitive.
La sua paura più grande è quella di essere colto dal panico. Pertanto, tende a creare intorno a sé un ambiente sicuro, una sorta di fortezza che lo renda inattaccabile.
Ferita da abbandono - maschera del dipendente
Molte persone che soffrono della ferita di abbandono hanno descritto una mancanza di comunicazione, in giovane età, da parte del genitore di sesso opposto al loro. Lo trovavano troppo chiuso ed erano convinte di non interessargli affatto. Tendono dunque a crescere con l’impressione di essere poco nutrite sul piano affettivo e cercheranno di colmare tale vuoto attaccandosi, talvolta in modo maniacale, a chiunque dispensi loro cure e attenzioni.
Ciò che colpisce maggiormente, nel loro aspetto fisico, è la mancanza di tono. Solitamente hanno un organismo lungo e sottile, con un sistema muscolare poco sviluppato che sembra non riuscire a sostenere l’intera struttura. È come se il corpo avesse bisogno di aiuto. Ciò rispecchia esattamente quanto accade dentro la persona: il dipendente crede di non riuscire a fare nulla da solo, e di avere bisogno di qualcuno che lo sostenga. Se la frase tipo del fuggitivo può essere considerata non voglio, quella del dipendente è sicuramente non posso.
Gli occhi sono grandi e tristi, sembrano voler attrarre l’altro con lo sguardo. Spesso si ha l’impressione che abbia le braccia troppo lunghe, e che non sappia cosa farsene. Alcune parti del corpo possono essere cadenti o flaccide, ad esempio le spalle, i seni, le natiche, le guance o la pancia.
Fra le cinque tipologie caratteriali, quella del dipendente si presta meglio delle altre a diventare vittima, a crearsi problemi e malattie per attirare l’attenzione. Inoltre, drammatizza molto. Un minimo incidente può assumere proporzioni gigantesche. Ad esempio, se il suo partner non risponde al telefono perché magari è sotto la doccia, lo da per disperso e va in paranoia. Talvolta, gli piace a sua volta aiutare gli altri e svolgere il ruolo del salvatore: è un modo per sentirsi importante.
La sua paura più grande è la solitudine. Teme di non poterla gestire. Per questo, è disposto a sopportare situazioni difficilissime, prima di porvi fine. Prendiamo ad esempio una donna che vive con un alcolizzato o che viene picchiata. Non vuole lasciare il partner, perché il distacco le provocherebbe un dolore ancora più grande di quello che già sopporta quotidianamente. Tende dunque a non vedere i problemi e preferisce credere che tutto vada bene.
Altre piccole curiosità:
1) Le tre ferite che rimangono da analizzare e le maschere corrispondenti sono le seguenti:
- Ferita da umiliazione - maschera del masochista
- Ferita da tradimento - maschera del controllore
- Ferita da ingiustizia - maschera del rigido
3) La categoria a cui noi apparteniamo, ovvero gli scrittori, presenta per la maggior parte fuggitivi. I cantanti, invece, sono prevalentemente dipendenti e gli attori controllori.
4) Il primo passo per guarire la ferita è riconoscerla, accettarla ed “accoglierla”. Il secondo passo è riconoscere che la maschera, anche se sembra proteggerci, ci provoca più danni e problemi della sofferenza che vuole nascondere. L’esempio che fa l’autrice è quello di una ferita alla mano: la ferita guarisce quando la medichiamo, non quando nascondiamo la mano in tasca o dietro la schiena. La guarigione avviene quando prendiamo contatto con la ferita, accettiamo il fatto di aver sofferto e anche di aver provato rabbia verso chi ci ha fatto soffrire. A questo punto possiamo sbarazzarci della maschera e concederci di essere noi stessi.
Chiara Solerio
L'AUTORE DI QUESTO GUEST POSTMi chiamo Chiara Solerio e scrivo da sempre. Ho lavorato come giornalista e come copywriter. Da poco, dopo anni di silenzio, mi sono riavvicinata alla narrativa. Ho in cantiere la partecipazione ad alcuni concorsi e sto scrivendo il mio primo romanzo. Sono appassionata di psicologia e cerco di metterla al servizio delle mie opere.
Il mio blog: http://appuntiamargine.blogspot.it
Profilo Google Plus: Chiara Solerio
Se vuoi scrivere anche tu un post per questo blog, leggi qui le linee guida per inviare il tuo contributo.