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“Le Filosofe della Memoria”: Etty Hillesum, Irène Némirovsky, Edith Stein

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

Etty Hillesum, Irène Némirovsky, Edith Stein;  tre grandi figure di donna il cui intelletto e la cui penna sono stati inghiottiti nella voragine dell’Olocausto. Donne sorrette dalla fede e da una grande forza interiore che sono giunte fino a noi attraverso la testimonianza degli scritti che ci hanno lasciato, facendone fluire l’anima e il pensiero insieme all’inchiostro con cui hanno vergato i loro fogli.

Sono tre grandi nomi della letteratura, della filosofia e soprattutto della Storia, quella con la esse maiuscola. Sono entrate a farne parte non solo per la grandezza dei loro scritti, ma soprattutto per il loro modo di essere, per il coraggio delle loro scelte e per la forza interiore che le ha contraddistinte.

Sono vittime di quella macchina di morte che ricordiamo con il nome di OLOCAUSTO. Tutte e tre hanno preso quel treno che le ha portate verso quell’ultima fermata,  trovando la morte ad Auschwitz. Eppure, queste donne di intelletto con una grande fama già al tempo della loro esistenza hanno in comune una cosa: tutte e tre avrebbero potuto SALVARSI eppure non lo hanno fatto. Quali sono le ragioni per cui hanno rinunciato più o meno consapevolmente alla loro salvezza?

Etty Hillesum
Etty Hillesum

Etty Hillesum: nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, muore ad Auschwitz nel novembre del 1943. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima grande retata ad Amsterdam si avvia al campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo per rendere giustizia alla vita,  sia quello di non abbandonare delle persone in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui.

Scrive un Diario, otto quaderni pieni di una scrittura minuta, quasi indecifrabile (cercava di ottimizzare il più possibile la carta che aveva a disposizione) che narrano la storia di una donna di 27 anni e abbracciano tutto il 1941 e il 1942 e parte del 1943.

Etty Hillesum fissa con l’inchiostro nel Diario scritto la forza della sua scelta. L’intellettuale ebrea, dai grandi occhi neri espressivi, compie un percorso interiore alla ricerca di Dio, cercando di capirne i disegni nell’orrore della deportazione.

La sua scelta é senza ritorno, senza salvezza, almeno nel corpo. E’ la voce dell’anima che ascolta e che segue, quella voce interiore che la porterà a rifiutare la possibilità di fuga e a rimanere, coscientemente e lucidamente, a restare per condividere la sorte del suo popolo. Dal campo di prigionia di Westerbork, una delle tante frasi che ci ha lasciato, mentre con il suo sguardo Etty abbracciava la miseria del luogo e degli uomini:

“Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d’argento e d’eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio”.

Irène Némirovsky
Irène Némirovsky

Irène Némirovsky, nata a Kiev da famiglia ebraica nel 1903. Morì nel 1942. Figlia di un ricco ebreo russo di origini francesi, Iréne Némirovsky nella sua pre-adolescenza si appassiona alla letteratura  ed in particolare quella francese, ed inizia a scrivere i suoi primi racconti. Con la  Rivoluzione Bolscevica del 1917,  la scrittrice lascia in fretta e furia San Pietroburgo unitamente alla sua famiglia, per rifugiarsi in Francia, dove si sistemerà definitivamente a Parigi e dove svilupperà un grande senso di appartenenza, fino all’arrivo della II° Guerra Mondiale.

Nel 1926 sposa Michel Epstein, giovane e capace ingegnere che avrà il suo stesso   destino;  da questo matrimonio nasceranno due bambine, Denise e Elisabeth. Negli anni successivi l’antisemitismo divampa in tutta Europa e Iréne Némirovsky prende la decisione di convertirsi al Cristianesimo e battezza se stessa e le sue due figlie. Non sono chiare del tutto le motivazioni che l’abbiano spinta, dato che in realtà  la persecuzione nazista si accanisce maggiormente verso gli ebrei convertiti al cattolicesimo. Irène viene deportata prima a Pithivier e poi ad Auschwitz, dove morì nel 1942.

C’è stato un momento, all’inizio delle persecuzioni, in cui poteva ancora farcela a scappare con i  suoi cari… le cause della mancata fuga forse sono da ricercarsi nella negazione in merito a quello che lei considerava come il suo paese, la Francia, potesse permettere che le venisse fatto del male sia a lei che alla sua famiglia. Oppure in quel senso di ineluttabilità che caratterizza molti scrittori russi.

Iréne aveva  compreso appieno cosa sarebbe successo, nel suo diario infatti si legge: “Mio Dio, cosa mi combina questo paese? Dal momento che mi respinge, osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita”.

E’ il 13 luglio 1942, una mattina di sole. Alle 10, si sente il rumore di una macchina che si ferma vicino alla casa della scrittrice. Bussano alla porta: due gendarmi francesi si presentano con un foglio in mano. Cercano Irène. Non c’è neanche tempo per i saluti, la figlia maggiore Denise ricorda solo le poche parole rassicuranti della madre, il pallore sconvolto del padre e la portiera della macchina che si chiude, il motore che si avvia, e poi il silenzio.

Dopo il 17 luglio sono diciannovemila gli ebrei che hanno condiviso lo stesso destino di Irène Némirosky, un quinto dei quali sono bambini.

Il 9 ottobre il marito di Irène, Michel Epstein viene arrestato.  Prima di essere portato via raccomanda alle figlie: Non separatevi mai da questa valigia, che contiene il manoscritto di vostra madre”. Si tratta di SUITE FRANCESE.

 Edith Stein
Edith Stein

 Edith Stein Teresa Benedetta della Croce Edith Stein (1891-1942)
Monaca, Carmelitana Scalza, Martire.  
Nacque a Breslavia il 12 ottobre 1891. Ultima di numerosi fratelli proveniva da una famiglia di ebrei da molte generazioni. E’ conosciuta ai più come la “Santa filosofa”.

E’ una figura straordinaria quella di Edith Stein, che racchiude nella sua personalità semplice, eppure così complessa, aspetti che sembrano, a una prima lettura contraddittori tra loro. Passa alla conversione al cattolicesimo percorrendo una delle vie più difficili per testimoniare la sua fede e avvicinarsi al Cristo: quella della via del Carmelo.

Studiosa di filosofia, si interessa di diverse discipline e possiede una cultura vasta ed articolata. All’Università acquisisce i precetti del pensiero filosofico contemporaneo, si batte per il miglioramento della condizione femminile e l’elevazione della donna, sostenendo che questo cammino passa attraverso la collaborazione maschile.

Nel suo percorso di vita, quando ebbe tra le mani il Libro della vita di Santa Teresa d’Avila ne cominciò la lettura, senza mai interrompersi fino a che non arrivò all’ultima pagina. Terminato, commentò: “Questa è la verità!” E fu il vero principio della sua conversione. Così il 1° gennaio del 1922, all’età di trent’anni, dopo una notte passata in preghiera, Edith Stein ricevette il Battesimo e l’Eucaristia. Quando la famiglia venne a saperlo ne rimase profondamente colpita, in particolar modo la madre.

L’interesse suscitato attorno al suo nome, l’inaspettata conversione e la sua fama nella ricerca filosofica nonché le sue numerose amicizie, comportarono che Edtih Stein fosse spesso invitata a tenere conferenze culturali, filosofiche e di ordine sociale.

Il nazionalsocialismo le tagliò bruscamente la strada. Tra le leggi emanate dai nuovi detentori del potere in Germania, vi fu l’esclusione degli ebrei dai pubblici impegni. Anche la Stein ne fu colpita: nel 1933 tenne la sua ultima lezione. L’articolo di legge sulla stirpe ariana dei nazisti rese impossibile la continuazione dell’attività d’insegnante:

 “Avevo già sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora cominciai improvvisamente a capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di questo popolo era anche il mio destino”.

“Se qui non posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità per me.  Ero divenuta una straniera nel mondo”.

Il 14 ottobre 1933 varcò la soglia del Carmelo e il 15 aprile 1934 fece la sua Vestizione, prendendo  il nome di Teresa Benedetta della Croce. Molti tra gli invitati erano docenti universitari, compagni di studio, studenti e donne cattoliche. Furono pubblicati anche articoli sui giornali. Nel frattempo, la violenza antigiudaica nel Reich si era scatenata in maniera impressionante e l’origine ebraica di Teresa Benedetta era nota alla polizia germanica fin dalle elezioni politiche. La arrestarono, insieme alla sorella Rosa, al Carmelo di Echt (Olanda) .La notte tra il 6 e 7 agosto dovette partire per Auschwitz dove lei e la sorella morirono il 9 agosto 1942, portate alle docce che emanavano gas.

Teresa Benedetta aveva scritto nella Scientia Crucis, ultima sua opera, che per parlare della Croce bisognava sperimentarla. Ella l’abbracciò e la sperimentò fino in fondo per il suo popolo

Si sa che non ha esitato a combattere l’antisemitismo incoraggiato dalla propaganda nazista, e che ha anche preso posizione contro certe autorità della Chiesa. Ha palesemente dichiarato la propria appartenenza al popolo eletto e al sangue di Cristo, respingendo la discriminazione razziale imposta dai nazisti.

Nel  il 1° maggio 1987 è stata beatificata a Colonia quale martire della fede, e l’11 ottobre 1988 è stata canonizzata da Giovanni Paolo II

Il testo integrale di Silvia Lorusso da cui è tratto l’articolo é pubblicato dai Quaderni Letterari della Biblioteca Civica di Pordenone.

Silvia Lorusso alias Penelope

P.s. : Vi segnaliamo che Mercoledì 27 Gennaio 2016- ore 18 presso la sala consiliare della Provincia (Pordenone- Largo San Giorgio, 12) si terrà, nell’ambito delle celebrazioni del Giorno della Memoria, l’incontro <> a cura di Silvia Lorusso. Di seguito l’invito e la locandina dell’evento:

INVITO FILOSOFE

memoria provinciaPN2


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