L’uscita di Automitoantologia è lo spunto per approfondire il percorso artistico di questa band sui generis. Manitù Rossi e Vittore Baroni si sono prestati al gioco e non hanno esitato a dire la loro sulle questioni (anche quelle più spinose) che abbiamo posto. Da parte nostra possiamo solo aggiungere di quanto resta doveroso porre l’accento su una parte importante del nostro underground, proprio perché se si vuole capire meglio di cosa scriviamo (e che cosa ascoltiamo) oggi, è necessario sapere da dove si proviene e quale percorso ci sia dietro un determinato progetto musicale. Rimane interessante il fatto che il gruppo continui ad andare per la propria strada e che, tra le altre cose, ci riservi per il futuro prossimo ulteriori novità. Non ci resta che augurarvi una buona lettura.
Tommaso Gorelli: Per prima cosa, Manitù, perché proprio delle forbici?
Manitù Rossi: L’avete visto il “Dizionario dei nomi rock” di Alessandro Bolli, Arcana Editrice? Lì c’è una micidiale spiegazione mitologica del perché. Una spiegazione più tranquilla potrebbe essere: sono uno strumento che serve sempre, nella vita di tutti i giorni, e permette di fare quel che si vuole fare con più agio, di togliere quel che non serve, di realizzare delle forme e, se qualcuno ha cattive intenzioni, funziona anche come arma di difesa (anche se non è quello lo scopo principale). Un momento classico di forbici nel cinema? Grace Kelly ne “Il Delitto Perfetto” di Alfred Hitchcock mi sembra illustri bene quanto detto sopra.
Tommaso Gorelli: Com’è avvenuto il vostro incontro? C’entrano qualcosa le allora vostre Trax e Rosa Luxemburg?
Vittore Baroni: C’entra soprattutto il fatto che a fine anni Ottanta io scrivevo per Rockerilla, e la Rosa Luxemburg mi inviava cassette-promo da recensire. Nei comunicati che accompagnavano i nastri, mi aveva incuriosito la notizia riguardante il luogo di provenienza di un membro delle Forbici, Novellara, un comune in provincia di Reggio Emilia dove ho trascorso molte estati durante l’infanzia, nella fattoria dei miei zii. Cercai di combinare un incontro, ma non se ne fece nulla fino a quando, per puro caso, non venne alla luce una stupefacente coincidenza: ero imparentato, seppure alla lontana, con Manitù Rossi! Fu giocoforza iniziare una collaborazione, che mi portò presto ad entrare in pianta stabile nel gruppo, soprattutto in veste di autore dei testi e propugnatore di “concetti” discografici (il primo lavoro da me istigato fu il singolo “Let’s Network Together”, inno di una serie di “Congressi Decentralizzati” organizzati nel 1992 da artisti/networker in diverse parti del mondo).
Maurizio Inchingoli: Vi confesso che non è stato semplice addentrarsi in un lavoro complesso come l’ultimo, d’altronde è già impegnativo seguire i mille rivoli dell’intera discografia, che vanta numerose uscite, collaborazioni e vari cambi di traiettorie, stilistiche e di line up. Ho però da subito pensato che Automitoantologia sia nato apposta per rimettere, diciamo, il più possibile le cose a posto. Sbaglio?
Manitù Rossi: A me è sempre piaciuto leggere le storie dei gruppi, se incentrate soprattutto sulla loro produzione. Se poi sono storie astruse o assurde la mia fantasia si sbriglia. “Automitoantologia” può in effetti essere una specie di mappa per orientarsi nelle Forbici di Manitù… o per far lavorare la fantasia su quello che le Forbici di Manitù possono essere state, senza preoccuparsi troppo di quel che sono state effettivamente.
Maurizio Inchingoli: Perché pensare proprio ad un’auto-mito-antologia? Eravate forse, in un certo senso, “preoccupati” che a nessun altro potesse venire in mente di concepirne una apposita per voi?
Manitù: Forse proprio il contrario: prima che a qualcuno potesse venire in mente di raccogliere materiale imbarazzante o inadatto abbiamo tagliato, se non tutto “l’evento storico”, almeno i pezzetti più impresentabili di quell’evento. Poi secondo Walter Rovere, nel suo testo critico incluso nell’Automitoantologia stessa, di roba imbarazzante ne è rimasta fin troppa… ma a noi interessa ridurre l’imbarazzo nostro. A ciascuno il suo!
Vittore Baroni: Lo abbiamo scritto nell’introduzione, si è trattato di un piccolo atto di vanità da parte nostra, un modo di festeggiare i trent’anni del gruppo con una confezione volutamente sopra le righe, godendo anche del fatto di andare controtendenza: mentre gran parte delle autoproduzioni oggi tirano al risparmio, ci siamo concessi un cofanetto fustellato con libro a colori, stampati su carta pregiata. Un modo per dire, oscuri e marginali sì, ma senza rinunciare alla qualità del prodotto.
Maurizio Inchingoli: Per semplificare, e per dare delle linee guida magari a chi vi conosce poco. Vi siete sempre mossi in quel crinale dove pop e destrutturazioni linguistiche e stilistiche subiscono un continuo “crash”. Non avete mai avuto la sensazione di perdere la “bussola”? Lo dico perché la commistione di idee è talmente complessa che risulta difficile secondo me gestirla senza “perdersi” un po’.
Manitù Rossi: Purtroppo ci siamo persi troppo poco rispetto a quel che avremmo voluto! Se il nostro materiale fa l’effetto “vertigine” siamo molto contenti. Davvero, il momento in cui ci si trova “persi” davanti alla musica – o a qualunque esperienza – ci sembra molto fecondo e benefico, e l’abbiamo perseguito in modo sistematico. Poi si parte sempre da quel che si conosce, e quindi per noi la sensazione è di vedere sempre percorsi molto, troppo evidenti nel nostro lavoro. Ogni tanto però la bussola davvero sembra di perderla, e quelli sono momenti molto felici.
Vittore Baroni: Mah, a me pare tutto molto chiaro, ogni nostro progetto è fin troppo razionale nel modo in cui è congegnato e sviluppato. Casomai può creare un certo senso di smarrimento proprio il fatto che amiamo spaziare tra generi e linguaggi molto diversi e l’Automitoantologia – estendendosi su trent’anni di storia – certo accentua questa apparente schizofrenia. In realtà, se si esaminano separatamente i singoli brani, non è troppo difficile comprendere cosa ci ha portato a privilegiare una determinata chiave stilistica.
Tommaso Gorelli: Gallerie d’arte, testi tratti da poesie (come quelle di Criscuoli in Saliva Calda), la scrittrice Alda Teodorani di e in “L’Isola”. Sono solo alcuni esempi di come per voi in fondo non si è mai trattato soltanto di fare della semplice musica, né di farsi influenzare semplicemente dalla stessa, o sbaglio?
Manitù Rossi: Per quanto riguarda gli elementi testuali, sono sempre stati i granelli di sabbia attorno ai quali noi ostriche/Forbici abbiamo costruito gli elementi melodici, quindi il punto di partenza per arrivare alla “semplice” musica! Più in generale, i concetti hanno sempre interagito con la musica, a volte supportandola a volte combattendoci. O altre volte la musica stessa si è prestata ai concetti. Però la musica resta centrale, pur essendo il trampolino di lancio per “perdersi” (e ritrovarsi?).
Vittore Baroni: Esatto, i nostri progetti musicali spesso si espandono verso altre discipline espressive, che si tratti di letteratura, arti visive o altro. Credo che quest’attitudine “multimediale” dipenda dalle nostre passioni e interessi personali. Ad esempio, il mio primo incontro con le Forbici è avvenuto in occasione di una mostra di copy art a cui Enrico Marani mi ha invitato a partecipare in veste di artista nel 1991 (“Angeli”, a Reggio Emilia), mostra che aveva come colonna sonora la cassetta “Zona D’Invisibilità”. In “Automitoantologia” si trovano tracce anche di ambiziosi progetti intermedia che non siamo riusciti a portare a termine, come “Pianeta Sterile”, un fumetto disegnato da Mauro Chiarotto di cui noi avremmo dovuto comporre la colonna sonora, abortito in fase di progettazione.
Maurizio Inchingoli: Domanda per Manitù Rossi: ti sei mai sentito un singer vero e proprio? Oppure canti sempre e solo per il piacere di farlo e basta? Lo dico perché quando ascolto, per esempio, “Ho In Mente Te”, sembra davvero di sentire quasi un cantante da “night”, in modalità più, diciamo, “dimessa”.
Manitù Rossi: Il piacere di cantare è enorme, ma non sono sicuro di aver capito l’equazione “singer vero e proprio = cantante da night”. Comunque sì, cantare è una delle aree musicali in cui sento di avere il maggiore controllo di quello che faccio… e in effetti Vittore mi fa notare che mi “perdo” troppo poco cantando! Ho lavorato su questo, ultimamente, esercitandomi a lasciare le briglie più sciolte, anche se può sembrare una contraddizione in termini.
Maurizio Inchingoli: Vittore, parlami ancora del tuo ruolo nelle Forbici: in cosa consiste esattamente? O meglio: quanto c’è di tuo nelle musiche e quanto della band tutta, che tipo di discorsi affrontate prima di pensare/comporre per un disco?
Vittore Baroni: Come già detto, io mi occupo per lo più dei testi e del concept generale dei dischi (ma non sempre, a volte l’idea iniziale parte da Manitù o altri), curo poi i rapporti con gli autori delle copertine, l’organizzazione dell’impianto grafico e la stampa delle confezioni. Io e Manitù abitiamo a 100 k. di distanza, quindi abbiamo poche occasioni per “interagire” a quattr’occhi (mediamente ci incontriamo non più di un paio di volte l’anno). Di solito quindi ci scambiamo e-mail e telefonate al momento di pianificare la struttura di fondo di un progetto, quindi io abbozzo i testi e di seguito Manitù si occupa di scrivere le musiche, arrangiare, registrare, reclutando di volta in volta i collaboratori necessari per integrare le sue tracce strumentali e vocali. Sulla base dei primi demo, ci scambiamo poi opinioni per le necessarie modifiche e la messa a punto dei dettagli finali. Si tratta insomma essenzialmente di una collaborazione “a distanza”, un fatto per me del tutto ordinario. dopo trent’anni di sinergie nell’ambito della mail art, e dopo TRAX, Luther Blissett, F.U.N., e i cento altri progetti condivisi con Piermario Ciani (che abitava a 400 km da casa mia!).
Manitù Rossi: Vorrei però aggiungere che per Tinnitus Tales (vedi sotto), oltre che partire dai testi di Vittore come al solito, abbiamo anche lavorato insieme io e lui sull’ideazione della musica, quindi abbiamo cambiato notevolmente le nostre tradizioni. Vediamo che altre permutazioni saranno possibili in futuro!
Maurizio Inchingoli: Ancora per Vittore: leggevo le tue recensioni su Rumore anni fa. Confesso che, insieme a quelle di Walter Rovere e Andrea Prevignano, mi hanno praticamente “formato” come fruitore, e di riflesso anche come critico musicale più o meno impegnato. Cosa ti è rimasto di quei lunghi anni di lavoro nella testata, e soprattutto pensi che ci sia ancora bisogno di critici? Io qualche dubbio me lo pongo sempre…
Vittore Baroni: Trovo che quello che stiamo vivendo sia un momento piuttosto difficile e tormentato anche per il giornalismo musicale, con la crisi delle riviste cartacee e dei supporti musicali tradizionali, la saturazione di uscite e la sovrabbondanza di informazioni reperibili in rete. Assistiamo ad una generale perdita di valori, di veri desideri e punti di riferimento (la cosiddetta controcultura è ormai un ricordo del passato). Certo, vien fatto di chiedersi se abbia un senso continuare a replicare all’infinito un modello di stampa musicale nato sul finire dei Sessanta, in circostanze socio-culturali completamente diverse. La mia impressione personale è che anche la critica (sulla cui utilità non nutro il benché minimo dubbio, ma deve essere una voce forte e autonoma) dovrebbe trovare il coraggio, la determinazione e le idee per compiere una rivoluzione copernicana, proporsi in nuove modalità più adatte ai tempi. Non ho la risposta in tasca, ma intuitivamente ritengo che una critica “seria” dovrebbe scavare più a fondo nelle sue ricerche, battere terreni inesplorati e trasversali. Ho lasciato Rumore, non senza un po’ di dispiacere dopo tanto tempo trascorso assieme (ho contribuito alla nascita della rivista e, negli anni, mi ha dato anche parecchie soddisfazioni), proprio per costringermi a compiere una trasformazione di questo tipo. Se poi riuscirò o meno a combinare ancora qualcosa di buono, lo dirà il tempo.
Maurizio Inchingoli: Torniamo al gruppo, ho sempre pensato a Le Forbici Di Manitù come ad un’entità misteriosa e piuttosto eccentrica (ad esempio non suonate quasi mai dal vivo), e d’altronde quel nome per me sa di “esotico” (e ancora non me lo so spiegare, per la verità…). Pure la provenienza emiliana è di per sé garanzia di “weirdness”, come scrivo nella recensione. È l’unico modo che avevate/avete ancora per esprimervi? Cosa ne pensate dei gruppi di oggi che affrontano il difficile mondo della musica pop? Secondo voi in quali altre band c’è uno studio altrettanto approfondito del passato musicale?
Manitù Rossi: Misteriosi, eccentrici, esotici… Beh, grazie! Non è una scelta, è diretta conseguenza di come siamo, una manifestazione della nostra identità. Non ci siamo in realtà confrontati molto direttamente col mondo della musica pop, nonostante questa compulsione assurda a fare dischi. I gruppi di oggi? C’è una qualità tecnica media buona, molto migliore di quella che si trovava trent’anni fa, quando cominciavamo noi. Ma sembra che questo abbia un po’ livellato il mistero (che veramente non esiste più! YouTube svela ogni arcano prima ancora che la fascinazione e la ricerca possano iniziare!), l’eccentricità, l’esotismo, la stranezza. È ovvio che da ascoltatori, per farsi un’idea di un gruppo nuovo, si cerchino punti di riferimento nel passato; meno ovvio che i gruppi comincino “preparando il comunicato stampa” prima ancora che viaggiare all’interno di se stessi per mostrare quello che sono.
Vittore Baroni: Forse la “stranezza” delle Forbici scaturisce anche da una certa tensione interna, non percepibile esteriormente. Ad esempio io cerco sempre di tirare la giacca di Manitù verso la composizione di vere e proprie canzoni pop-rock, mentre lui preferirebbe forme più aperte e sperimentali (nella tradizione di un extra-rock che ha radici nella scuola di Canterbury, nel post-punk più acculturato…). Da questa differenza di intenzioni nascono spesso bislacchi equilibri che stupiscono e appagano noi per primi, ma sono tutt’altro rispetto a quello che ci eravamo individualmente prefissi.
Maurizio Inchingoli: Io penso che la cultura musicale odierna sia diventata molto più complessa da decodificare (nonostante le informazioni accessibili dal web). Tendo anche a pensare che ci sia meno selezione, insomma per farla breve tutto è pubblicabile, e qui il ruolo della tecnologia, degli artisti stessi e delle etichette (quando ci sono) è decisivo, ma non va certamente dimenticato quello di chi ne scrive. Voi, per esempio, avete comunque avuto l’onestà di affermare che i pezzi di Automitoantologia sono stati ri-pubblicati cosi come erano, sentendo il bisogno di completare la discografia. Allo stesso tempo immagino che si debba rendere appunto necessaria una maggiore selezione tra tanti dischi simili tra loro (ma in tutta onestà non ho ricette preconfezionate). Mi piace ricordare come esempio/paragone un’affermazione (sicuramente provocatoria) fatta qualche anno fa da Harmony Korine (regista di “Gummo”) per la rivista Flesh Out: diceva che nel suo campo c’era troppa poca “censura”, che bisognava invece “rafforzarla”, proprio per “frenare” i tanti film in circolazione. Voi siete d’accordo, parlando del vostro ambito, con questa idea? Ci avete mai pensato? Vi interessa il discorso?
Manitù Rossi: Ma no, perché censura, per carità… E chi dovrebbe rafforzarla? Posso farlo io a mio gusto? Credo che tutte le situazioni abbiano i loro problemi e le loro opportunità. Se ci sono troppi dischi, emergeranno quelli più particolari, o quelli che intercettano con più precisione lo spirito del tempo? Se ce ne sono troppo pochi, ci si rompono le scatole ad ascoltare sempre quelli! Il discorso cambia molto se invece parliamo di Autocensura (con la A maiuscola): quello è uno strumento prezioso per chi scrive, fa musica… Forbici, appunto! Tagliare! Tagliare! Molto molto utile.
Vittore Baroni: Concordo con quanto dice Manitù: se il mercato viene inondato di produzioni acefale, queste difficilmente percorreranno molta strada. Confido che avverrà una sorta di fenomeno osmotico, per cui le situazioni davvero valide troveranno il modo di farsi notare (almeno dal pubblico più avveduto). Per certo, le Forbici non hanno mai avuto l’indole e l’intenzione di inondare il mercato di prodotti, ci piace lavorare con molta calma, un nostro album richiede mediamente tre-quattro anni di gestazione, a volte molti di più.
Tommaso Gorelli: Secondo voi si stava “meglio” quando si stava “peggio”?
Manitù Rossi: Indietro non si torna… e la memoria del passato non è mai precisa. Si stava meglio quando si stava peggio se dobbiamo lamentarci di come stiamo adesso. Secondo me il meglio deve sempre ancora venire.
Vittore Baroni: “L’ora più scura è quella che arriva prima dell’alba”, cerchiamo di vedere la parte mezza piena del bicchiere, in fondo è anche interessante l’opportunità che tutti noi abbiamo oggi di assistere a cambiamenti epocali, non solo nella musica. Il lato eccitante della faccenda è che noi possiamo dare il nostro contributo perché questo cambiamento avvenga per il meglio. Se perdessi questa speranza e obiettivo, mi sentirei già morto.
Maurizio Inchingoli: Chiedo ad entrambi cosa ascoltate in questo periodo e cosa avete recuperato dal passato in quanto a perle musicali.
Manitù Rossi: Io sto riascoltando i Josef K (The Only Fun In Town, in particolare “Revelation”, e poi il singolo “The Missionary”), The Feed-Back (il disco “rock” del Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza), e mi sono portato al mare una bella pila di cd di Sun Ra da ascoltare in combinazione alla lettura della sua biografia, quella scritta da John Szwed.
Vittore: Ascolto in modo onnivoro e disordinato, raramente mi concentro su un solo autore o genere, quindi per risponderti mi limito a vedere cosa ho in questo momento vicino al giradischi e al lettore cd: il nuovo lavoro di Jack White “Lazaretto” (in versione “ultra” in vinile, per il valore feticistico), un cofanetto con cinque album di Al Stewart (discreto songwriter scoperto solo di recente, finora lo avevo snobbato), “Our Revolution” di Rog&Pip (proto-hard/glam d’archivio di due ex-Sorrows), “Codgers On The Moon” di Charles Bobuck (bizzarro progetto collaterale dei Residents, uno di quei gruppi che non smetterò mai di seguire con devozione da fan).
Maurizio Inchingoli: Cosa ci riserva il futuro di Le Forbici Di Manitù?
Manitù Rossi: C’è sempre in ballo (da più di dieci anni) la mia nuova collaborazione con Satana Cianciulli: dopo “Saliva Calda” e “Preti Pedofili”, è in preparazione “Vecchie Vacche”. Dovremmo cantare tutti e due, ci stiamo preparando, ma ci vuole una congiunzione astrale particolare. Abbiamo tre-quattro ore di materiale registrato, ma potremmo anche buttar via tutto, dipende proprio da quel che succederà al momento giusto. Sul fronte archivistico, stiamo preparando la ristampa in cofanetto cd di tre cassette, appunto “Saliva Calda”, “Zona D’Invisibilità” e “Duno”, che non fa proprio parte della discografia delle Forbici (non è nominata per esempio in Automitoantologia) ma è fortemente contigua. E poi c’è il quasi completo ed entusiasmante “Tinnitus Tales”, di cui sono soddisfattissimo e sul quale però lascio la parola a Vittore.
Vittore Baroni: Da qualche anno soffro di acufeni (o tinnito) ad un orecchio, un sibilo continuo che è una sorta di “malattia professionale” per molti musicisti e ascoltatori di musica particolarmente rumorosa (rock, metal o industrial che sia). Ho pensato di esorcizzare questa patologia – ahimè cronica – occupandomene in modo “creativo”, anche per mettere in guardia chi ascolta abitualmente musica ad alti volumi e non è al corrente del pericolo che corre. Ho proposto due o tre anni fa a Rumore un articolo sull’argomento (da Pete Townshend a Blixa Bargeld, da Andy Partridge a Neil Young, sono innumerevoli le rockstar con “fischio” alle orecchie), ma la redazione trovò il tema “troppo deprimente”. Cominciai a pensare quindi ad un album a tema delle Forbici, con canzoni dedicate a noti personaggi afflitti da acufeni e alle problematiche correlate. Strada facendo, abbiamo pensato di proporre a svariati gruppi e amici musicisti di reinterpretare le nostre “Tinnitus Tales”, o di comporre brani originali sulla materia, mentre a un cast di artisti e fumettisti abbiamo chiesto di illustrare i singoli brani. Il risultato, che contiamo di pubblicare intorno all’inizio del 2015, sarà un album doppio o addirittura triplo, una vera e propria stravaganza audiovisiva (ma anche, speriamo, un progetto educativo) delle Forbici Di Manitù & Friends.
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