Le galassie oscure dell’ammasso di Chioma

Creato il 22 giugno 2015 da Media Inaf

L’analisi dell’archivio dei dati astronomici prodotto dalle osservazioni realizzate con il telescopio Subaru ha permesso a un gruppo di ricercatori della Stony Brook University e del National Astronomical Observatory of Japan di rivelare una popolazione di 854 galassie “ultra oscure”, meglio note come Ultra Diffuse Galaxies (UDGs), nell’ammasso della Chioma. Già nel 2014, la scoperta di 47 galassie di questo tipo rappresentò una vera e propria sorpresa ma oggi l’identificazione di quasi un migliaio di galassie oscure suggerisce che gli ammassi di galassie rappresentano la chiave per compendere l’evoluzione di questi oggetti misteriosi. I risultati su Astrophysical Journal.

L’ammasso della Chioma, noto anche come Abell 1656, si trova a circa 350 milioni di anni luce dalla Terra nella direzione della costellazione della Chioma di Berenice. È un ammasso molto ricco, contenente circa un migliaio di galassie maggiori, principalmente ellittiche, e migliaia di altre galassie di dimensioni più piccole. Chioma è divenuto famoso negli anni ’30 quando l’astronomo Fritz Zwicky fu il primo ad utilizzare il teorema del viriale per determinare l’esistenza della materia oscura dall’analisi dei moti delle galassie presenti nell’ammasso le cui velocità misurate non potevano essere spiegate solo dalla presenza della materia visibile.

L’immagine mostra le galassie oscure individuate da Subaru (cerchi color verde). Credit: J. Koda et al. 2015

Queste galassie “batuffolo” (di cui ne abbiamo già parlato in un recente articolo su Media INAF, Le galassie libellula: grandi, leggere e resistenti) appaiono molto diffuse e decisamente estese, così come viene evidenziato dalla luce emessa dalle stelle che esse contengono. “Non solo questi oggetti appaiono diffusi, ma molto probabilmente sono circondati da qualcosa di molto massiccio”, spiega Jin Koda del Dipartimento di Fisica e Astronomia alla Stony Brook University a autore principale dello studio. La maggior parte hanno dimensioni simili alla Via Lattea ma contengono una quantità di stelle mille volte inferiore. Inoltre, le stelle presenti in questi oggetti estesi sono soggette ad una rapida disgregazione a causa delle intense forze di marea all’interno dell’ammasso. Qualcosa di invisibile deve proteggere i fragili sistemi stellari, qualcosa che abbia una massa elevata: quel “qualcosa” sembra essere correlato proprio ad un eccesso di materia oscura. Si è calcolato che la componente di materia visibile, sostanzialmente composta di stelle, contribuisce solamente all’1% o meno alla massa totale di ogni galassia. Il resto, materia oscura, contribuisce per più del 99%.

Grazie al suo grande campo di vista, alla camera a largo campo e alle eccellenti condizioni di osservazione, il telescopio Subaru ha rivelato agli astronomi un dato importante: queste galassie oscure contengono popolazioni stellari vecchie e mostrano una distribuzione spaziale simile a quella delle altre galassie più brillanti presenti nell’ammasso della Chioma, il che suggerisce che si tratta di una popolazione longeva di galassie. In più, la quantità di materia visibile che esse contengono, meno dell’1%, è estremamente più bassa rispetto al valor medio calcolato su scala cosmica.

L’immagine a sinistra, ottenuta dalla Digitized Sky Survey, mostra le 18 zone di cielo osservate dal telescopio Subaru, che ha un’area totale di 4,1 gradi quadrati, attorno all’ammasso di Chioma, il cui centro è indicato da una croce (verde). A destra, è mostrata la stessa zona di cielo in cui sono distribuite le 854 galassie all’interno dell’area totale (linea continua) esplorata dal telescopio Subaru. Credit: J. Koda et al. 2015

La domanda è: perché queste galassie sono oscure? Secondo i ricercatori, in qualche modo esse avrebbero perso il gas necessario per generare nuove stelle durante o dopo i processi di formazione stellare, in gran parte sconosciuti, miliardi di anni fa. In particolare, l’ambiente stesso in cui si sono evolute queste galassie avrebbe giocato un ruolo fondamentale nel determinare la perdita del gas. Le cause potrebbero essere state dovute ad una serie di meccanismi quali, ad esempio, l’interazione gravitazionale con altre galassie dell’ammasso o l’esplosione simultanea di più stelle innescata dagli scontri galattici.

Nonostante queste galassie oscure possano offrire nuovi indizi sulla loro origine ed evoluzione, sarà certamente necessario ottenere nuovi dati per studiarle ancora più in dettaglio nell’ambito del modello standard della formazione galattica. “In futuro, le osservazioni spettroscopiche ci potranno aiutare per studiare con più dettagli la formazione stellare di queste galassie”, dice Koda.

Insomma, oltre allo studio delle popolazioni stellari, sarà essenziale esplorare la componente di materia oscura dominante. Sappiamo che la materia oscura è invisibile ma le misure dei moti stellari potranno fornire quegli indizi necessari correlati alla sua presenza e distribuzione spaziale. Tuttavia, al momento queste misure rappresentano solo un sogno perché non sono immediate essendo molto difficili da eseguire. Infatti, è complicato misurare i moti delle stelle persino con il telescopio Subaru. Ad ogni modo, la costruzione del Thirty Meter Telescope (TMT), una collaborazione internazionale alla quale partecipa tra gli altri anche il National Astronomical Observatory of Japan, permetterà di svelare tra qualche anno, almeno così si spera, il mistero di questa particolare classe di galassie.


arXiv: Approximately a Thousand Ultra Diffuse Galaxies in the Coma Cluster

Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica


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