La Costituzione garantisce la libertà di stampa e la Corte europea dei diritti dell’uomo sostiene che “i giornali sono i cani da guardia della democrazia e delle istituzioni”. Ma è inutile dire che questo non sempre accade e che in Italia dove l’informazione è quasi tutta nelle mani della politica e dei vari potentati, raramente accade: i cani servono ad abbaiare a comando per difendere le rendite di posizione e il sistema. Del resto è proprio la rinuncia dell’informazione ad essere il quarto potere per divenire dipendente dagli altri poteri reali e formali che ha portato al verminaio nel quale viviamo e al declino del Paese: una delle gambe sulle quali si regge la democrazia è monca anche se ormai siamo così assuefatti da non accorgercene.
Solo in qualche occasione questa realtà balugina con la chiarezza che merita e mostra come i “padroni del vapore” considerino l’informazione o come uno scarto di lavorazione sottoposto ad ogni possibile conflitto di interessi oppure come una cera malleabile per favorire i propri tornaconti nell’ambito del sistema politica-affari che ci governa. Un esempio del primo caso è il piano del plenipotenziario della Chrysler in Rcs, Scott Jovane che vorrebbe inserire la Gazzetta dello sport nel sistema delle scommesse: la Gazza Bett – questo il nome che si ipotizza – dovrebbe nello stesso tempo informare sul mondo dello sport e indurre alle scommesse sulla base delle informazioni che fornisce: l’insider training è un gioco da ragazzi in confronto a questo.
Il secondo caso è magnificamente descritto dal fatto che Corriere, Stampa e Repubblica (per non parlare delle televisioni) non si sono degnati di mandare uno straccio di giornalista a seguire la vicenda della zarina di Benevento, ovvero della signora (si fa per dire) De Girolamo in Boccia, semplicemente perché non hanno alcuna voglia di creare qualche grana al governo. Solo la Repubblica si è decisa alla fine e a dire qualcosa quando si è accorta che forse la vicenda poteva facilitare il rimpasto dell’esecutivo chiesto a voce sorda dal vero direttore editoriale del giornale, ossia Renzi. In effetti non c’è nessun interesse a scavare in un sistema di potere marcio e medievale del quale l’editoria bonsai del Paese fa parte a pieno titolo. Quindi silenzio e trafiletti invisibili o ancor peggio le difese dei protagonisti in mancanza della notizia principale. Solo grazie al Fatto e al web la vicenda è uscita dall’ombra nella quale sarebbe stata confinata dalla grande informazione.
Qui non si tratta affatto di seguire la falsa riga delle grida di Grillo sul non comprare questo o quel giornale quando fornisce informazioni sbagliate sul M5S, è una questione di sistema. E’ un tralignamento entrato nella normalità con il conflitto di interesse di Berlusconi, troppo spesso esecrato a parole, ma sempre salvaguardato di fatto come calco per il controllo dei media e la loro sistematica castrazione. Con uno sgradevole effetto collaterale: al controllo e alla modulazione interessata delle notizie si aggiunge anche il danno di creare un sospetto globale intorno all’informazione aprendo così una linea di credito nei confronti di ogni leggenda metropolitana che si configuri come “contro il potere”. Ma anche questo aiuta e non poco il medesimo aumentando il rumore di fondo e la confusione, sia che si tratti di staminali che di confezioni di latte, di Job Act da quattro soldi che di questioni monetarie: tutto, il plausibile, l’incredibile, l’evidenza fattuale, la cazzata come la riflessione, i dati come la fantasia, finisce per adagiarsi sullo stesso piano finendo per favorire la verità di chi ha più potere.