Molti furono le città e i luoghi stanziati sulla Via della Seta e in alcuni di questi si trovano straordinarie grotte e lunghe gallerie scavate nella roccia. Diversi sono anche i popoli che hanno interagito in quest’area tra l’antica Cina e gli altri paesi limitrofi come la Mongolia, la Siberia, il Kazakistan o il Turkmenistan; tra cui citiamo i Pazirik e i Kushan delle steppe Russe, anch’essi appartenenti a una cultura simile e caratterizzati da pelle e chiara statura alta. Ma la cosa che più di tutte accomunava questa gente era l’abilità nell’erigere massi megalitici e nello scavare gallerie nelle montagne: una stirpe ancestrale altamente evoluta di cui ne parlano ampiamente antichi documenti sia cinesi, indiani, tibetani e altre culture ancora. E’ molto probabile comunque che i loro diretti discendenti ereditarono le conoscenze e le tecnologie per compiere tali lavori, quindi oggi sappiamo tramite le testimonianze degli antichi scritti che esistette un tempo una razza evoluta considerata dagli antichi divina per le straordinarie conoscenze e che diffuse nel mondo l’arte di creare colossali opere megalitiche. Tra le antiche località della Cina che mostrano le meraviglie artistiche e megalitiche ci sono Luoyang, Longmen, Dunhuang o Yungang dove ancora oggi si possono ammirare le centinaia di grotte scavate direttamente nella roccia delle montagne con tanto di enormi sculture rappresentanti il Budda. Le Grotte di Longmen sono scavate a centinaia su entrambi i lati del fiume Yi in verticale sulle pareti rocciose, la vista nell’insieme è spettacolare; un’enorme costone punteggiato di caverne simili a un vespaio, mentre al centro di queste si erge maestosa e colossale una statua del Budda interamente intagliata in un unico blocco di roccia. Ciò che lascia impressionati è l’immensa mole di lavoro che immaginiamo abbiano compiuto coloro che scolpirono tali opere, sicuramente sono ancora una volta frutto di grandi conoscenze tecnologiche ma soprattutto di grande evoluzione mentale. Queste grotte sono state attribuite dagli archeologi ai monaci buddisti, e una datazione che va dalla fine del quinto secolo CE all’ottavo secolo, quando l’Imperatore Xianwen trasferì la sua capitale a Loyang nel 493. In una delle caverne denominata Wanfo sono presenti 15mila statue del Buddha scolpite nei muri, mentre in quella più grande ci sono invece statue enormi che che arrivano fino fuori all’aperto. Guardando le grotte il colossale lavoro di intaglio, sicuramente non può essere stato svolto con l’ausilio di rudimentali strumenti in ferro usati con la sola forza delle braccia; indubbiamente chi scolpì tali opere aveva conoscenze tecniche ancora oggi a noi sconosciute. E’ pur vero che le decorazioni presentano figure e motivi buddisti, ma come detto sarebbe stato impossibile eseguire lavori del genere a mano. Quello che è noto, è che comunque oggi gli unici ad essere rimasti in possesso delle antiche conoscenze scientifiche di quella magnifica civiltà evoluta sono proprio i monaci buddisti. Sono innumerevoli gli antichi monasteri e lamaserie ancora popolati dai monaci disseminati ovunque in tutta l’Asia orientale persi in mezzo al nulla in cui sono state trovate da alcuni esploratori e avventurieri di fine Ottocento e inizio Novecento, testimonianze di stranissimi reperti antichi ma chiaramente di origini tecnologiche e gelosamente custoditi. Altre grotte meravigliose si trovano nella provincia di Shanxi non lontano da Pechino, sono le caverne di Yungang considerate tra uno dei più belli esempi di architettura nella roccia. Si tratta di un complesso di 252 caverne tutte intagliate su una parete di roccia per circa un chilometro e con più di 51mila statue del Buddha di ogni dimensioni. Anche qui la datazione dell’enorme complesso è stata datata fra il 460 ed il 525, durante la dinastia Wei. Alcune di queste sono più recenti di altre evidentemente più antiche, anche perché le prime sono meglio conservate, ma come abbiamo già accennato, lavori di tali proporzioni sarebbero stati possibili solo grazie a conoscenze avanzate, e sicuramente i monaci buddisti avendole ereditate e custodite nel tempo hanno più tardi realizzato alcune di queste gallerie e magari ritoccato altre più antiche. Nella regione dello Uighur (l’odierno Xinkjang) invece, a Dunhuang nella Cina occidentale dove passa la Via della Seta, si trovano le celebri Grotte dei Mille Buddha che similmente a tutte le altre sono scavate su rupi rocciose, alle cui gallerie si accede tramite corridoi che conducono in varie sale più ampie. Queste sono unite ad altre grotte passando su una sorta di balaustra in modo da passare da un tempio all’altro; all’interno si trovano alcune nicchie, mentre sulle pareti sono dipinte meravigliose scene i cui personaggi rappresentati in vesti di monaci buddisti ma con pelle bianca, capelli rossi e occhi azzurri, che ricordano molto quelle popolazioni come i Tocari le cui mummie furono rinvenute a migliaia sotto le sabbie del deserto del Taklamakan tra le rovine dell’antica città di Loulan. Ancora una volta troviamo i riferimenti di razze bianche che hanno abitato in oriente ed interagito con altre razze e che sono presenti negli antichi manoscritti Cinesi, Indiani e Tibetani. Secondo questi popoli furono loro ad addomesticare il cavallo, a creare la ruota e il carro ma soprattutto è molto probabile che furono loro a portare l’architettura rupestre e la lavorazione di megaliti, o per meglio dire furono i diretti eredi di quelle conoscenze tramandate poi anche ai monaci buddisti. Infatti proprio a Dunhuang si racconta che le prime grotte non furono scavate dai Monaci, ma da qualcuno che li precedette molti millenni prima; da tali grotte si accederebbe ad una vasta rete di gallerie sotterranee estese sotto le vaste regioni dell’Asia e che i primi tratti sarebbero stati fatti crollare proprio dai monaci per nasconderne gli ingressi ed impedire che vengano saccheggiate dai predatori. E’ evidente che queste voci si riferiscono ad una civiltà evoluta che insegnò alle diverse popolazioni del luogo, tra cui anche agli stessi Tocari, ma anche in tutto il resto del mondo conoscenze e l’arte o le evolute tecniche che consentivano di scavare enormi gallerie ed erigere megaliti. In una delle grotte si può notare una scena alquanto stupefacente: su un altare raffigurante un Buddha addormentato con alcuni fedeli alle sue spalle, appaiono stranamente tra questi, genti la cui fisionomia è chiaramente sia nei volti che nei costumi, degli Indiani d’America. Cosa assai strana se si pensa alle distanze tra i due continenti e che all’epoca si suppone che il continente americano era ancora sconosciuto, ma oggi sappiamo per certo che non è così. Dopo le più recenti scoperte siamo oggi in grado di dimostrare che questi popoli erano a conoscenza del Nuovo Continente già millenni fa e che alcune razze degli Indiani d’America sono di carnagione e capelli chiari e presentano caratteri fisici simili ai Crô-Magnon. Ma non solo, tra le altre similitudini che accomunavano i popoli bianchi dell’Asia e i Nativi Americani c’erano oltre che i costumi, il cavallo, anche i simboli come il Tridente diffuso tra gli Apache e la cultura di Tiahuanaco in Bolivia ma anche in Perù sulle coste vicino al deserto di Atacama, il celebre Candelabro infatti, rappresenta un tridente ed è ben conosciuto dagli Apache; loro stessi affermano che si tratta di un simbolo analogo al loro di un popolo affine vissuto in Sudamerica. Gli Apache raccontano di gallerie sotterranee esistenti nella loro terra e che arriverebbero fino a Tiahuanaco, è da qui che i loro antenati fuggendo da altre tribù arrivarono in Sudamerica. Oppure il cerchio diviso in quattro settori della cultura degli indiani Hopi e simile a quello rinvenuto in una tomba nella città di Khara Khoto sempre nello Xinkjang della Cina orientale, risalente secondo l’archeologo russo Koslov che la scoprì a 18mila anni fa. Ma ciò che più di tutto avevano in comune tutte queste culture megalitiche era il culto ancestrale della Dea Madre, un culto antichissimo, vecchio di circa centomila anni! Che queste culture lontane migliaia di chilometri avessero un origine comune lo prova anche il fatto che molte tracce sono state riscontrate in Oceano Pacifico, una su tutte è sull’Isola di Pasqua. La prova sono non solo le testimonianze scritte e raccontate da storici navigatori che approdarono sull’isola e che incontrarono con gran sorpresa tra gli indigeni anche alcuni di carnagione bianca e capelli rossi, ma gli stessi Moai sono la rappresentazione degli antenati di queste genti dalla pelle bianca; antenati le cui avanzate tecnologie gli permisero di scolpire le megalitiche statue e di scavare le colossali gallerie sotto la stessa isola di Pasqua e in tutta l’Asia. I Moai infatti raffigurano proprio la stessa razza, quelli che si credevano fossero cappelli, sono in realtà la rappresentazione dei capelli rossi sul corpo bianco di pietra chiara e con l’acconciatura a “crocchia” simile a quella dei monaci buddisti delle grotte di Dunhuang e con orecchie lunghe come le statue del Budda e degli uomini dipinti nelle grotte. Costumi e acconciature simili si riscontrano anche tra i Maya; da quello che si vede sui dipinti Maya infatti i costumi sono molto simili a quelli dei Nativi del Nord America, mentre le acconciature sono alte e con crani dolicocefali, cioè allungati. Secondo alcuni studiosi quella che sembra l’acconciatura degli antichi monaci bianchi buddisti delle grotte della Cina sarebbero invece protuberanze ossee del cranio su cui è stata fatta l’acconciatura, così come nei Moai e nei Maya. Ciò sarebbe la caratteristica fisica comune di questi popoli discendenti dai Cro-Magnon oltre che la pelle chiara e l’imponente statura. Ma se alcune delle grotte asiatiche furono scavate da una stirpe antica di migliaia di anni che ereditò le tecniche da una stirpe ancestrale ,come è possibile che alcuni dei personaggi dipinti nelle grotte vestissero già gli abiti di monaci buddisti prima ancora dell’avvento del Buddismo? La risposta la possiamo trovare forse in Afganistan nelle grotte dei Budda di Bamiyan e tra l’odierna e sfortunata popolazione degli Hazara.
Molti furono le città e i luoghi stanziati sulla Via della Seta e in alcuni di questi si trovano straordinarie grotte e lunghe gallerie scavate nella roccia. Diversi sono anche i popoli che hanno interagito in quest’area tra l’antica Cina e gli altri paesi limitrofi come la Mongolia, la Siberia, il Kazakistan o il Turkmenistan; tra cui citiamo i Pazirik e i Kushan delle steppe Russe, anch’essi appartenenti a una cultura simile e caratterizzati da pelle e chiara statura alta. Ma la cosa che più di tutte accomunava questa gente era l’abilità nell’erigere massi megalitici e nello scavare gallerie nelle montagne: una stirpe ancestrale altamente evoluta di cui ne parlano ampiamente antichi documenti sia cinesi, indiani, tibetani e altre culture ancora. E’ molto probabile comunque che i loro diretti discendenti ereditarono le conoscenze e le tecnologie per compiere tali lavori, quindi oggi sappiamo tramite le testimonianze degli antichi scritti che esistette un tempo una razza evoluta considerata dagli antichi divina per le straordinarie conoscenze e che diffuse nel mondo l’arte di creare colossali opere megalitiche. Tra le antiche località della Cina che mostrano le meraviglie artistiche e megalitiche ci sono Luoyang, Longmen, Dunhuang o Yungang dove ancora oggi si possono ammirare le centinaia di grotte scavate direttamente nella roccia delle montagne con tanto di enormi sculture rappresentanti il Budda. Le Grotte di Longmen sono scavate a centinaia su entrambi i lati del fiume Yi in verticale sulle pareti rocciose, la vista nell’insieme è spettacolare; un’enorme costone punteggiato di caverne simili a un vespaio, mentre al centro di queste si erge maestosa e colossale una statua del Budda interamente intagliata in un unico blocco di roccia. Ciò che lascia impressionati è l’immensa mole di lavoro che immaginiamo abbiano compiuto coloro che scolpirono tali opere, sicuramente sono ancora una volta frutto di grandi conoscenze tecnologiche ma soprattutto di grande evoluzione mentale. Queste grotte sono state attribuite dagli archeologi ai monaci buddisti, e una datazione che va dalla fine del quinto secolo CE all’ottavo secolo, quando l’Imperatore Xianwen trasferì la sua capitale a Loyang nel 493. In una delle caverne denominata Wanfo sono presenti 15mila statue del Buddha scolpite nei muri, mentre in quella più grande ci sono invece statue enormi che che arrivano fino fuori all’aperto. Guardando le grotte il colossale lavoro di intaglio, sicuramente non può essere stato svolto con l’ausilio di rudimentali strumenti in ferro usati con la sola forza delle braccia; indubbiamente chi scolpì tali opere aveva conoscenze tecniche ancora oggi a noi sconosciute. E’ pur vero che le decorazioni presentano figure e motivi buddisti, ma come detto sarebbe stato impossibile eseguire lavori del genere a mano. Quello che è noto, è che comunque oggi gli unici ad essere rimasti in possesso delle antiche conoscenze scientifiche di quella magnifica civiltà evoluta sono proprio i monaci buddisti. Sono innumerevoli gli antichi monasteri e lamaserie ancora popolati dai monaci disseminati ovunque in tutta l’Asia orientale persi in mezzo al nulla in cui sono state trovate da alcuni esploratori e avventurieri di fine Ottocento e inizio Novecento, testimonianze di stranissimi reperti antichi ma chiaramente di origini tecnologiche e gelosamente custoditi. Altre grotte meravigliose si trovano nella provincia di Shanxi non lontano da Pechino, sono le caverne di Yungang considerate tra uno dei più belli esempi di architettura nella roccia. Si tratta di un complesso di 252 caverne tutte intagliate su una parete di roccia per circa un chilometro e con più di 51mila statue del Buddha di ogni dimensioni. Anche qui la datazione dell’enorme complesso è stata datata fra il 460 ed il 525, durante la dinastia Wei. Alcune di queste sono più recenti di altre evidentemente più antiche, anche perché le prime sono meglio conservate, ma come abbiamo già accennato, lavori di tali proporzioni sarebbero stati possibili solo grazie a conoscenze avanzate, e sicuramente i monaci buddisti avendole ereditate e custodite nel tempo hanno più tardi realizzato alcune di queste gallerie e magari ritoccato altre più antiche. Nella regione dello Uighur (l’odierno Xinkjang) invece, a Dunhuang nella Cina occidentale dove passa la Via della Seta, si trovano le celebri Grotte dei Mille Buddha che similmente a tutte le altre sono scavate su rupi rocciose, alle cui gallerie si accede tramite corridoi che conducono in varie sale più ampie. Queste sono unite ad altre grotte passando su una sorta di balaustra in modo da passare da un tempio all’altro; all’interno si trovano alcune nicchie, mentre sulle pareti sono dipinte meravigliose scene i cui personaggi rappresentati in vesti di monaci buddisti ma con pelle bianca, capelli rossi e occhi azzurri, che ricordano molto quelle popolazioni come i Tocari le cui mummie furono rinvenute a migliaia sotto le sabbie del deserto del Taklamakan tra le rovine dell’antica città di Loulan. Ancora una volta troviamo i riferimenti di razze bianche che hanno abitato in oriente ed interagito con altre razze e che sono presenti negli antichi manoscritti Cinesi, Indiani e Tibetani. Secondo questi popoli furono loro ad addomesticare il cavallo, a creare la ruota e il carro ma soprattutto è molto probabile che furono loro a portare l’architettura rupestre e la lavorazione di megaliti, o per meglio dire furono i diretti eredi di quelle conoscenze tramandate poi anche ai monaci buddisti. Infatti proprio a Dunhuang si racconta che le prime grotte non furono scavate dai Monaci, ma da qualcuno che li precedette molti millenni prima; da tali grotte si accederebbe ad una vasta rete di gallerie sotterranee estese sotto le vaste regioni dell’Asia e che i primi tratti sarebbero stati fatti crollare proprio dai monaci per nasconderne gli ingressi ed impedire che vengano saccheggiate dai predatori. E’ evidente che queste voci si riferiscono ad una civiltà evoluta che insegnò alle diverse popolazioni del luogo, tra cui anche agli stessi Tocari, ma anche in tutto il resto del mondo conoscenze e l’arte o le evolute tecniche che consentivano di scavare enormi gallerie ed erigere megaliti. In una delle grotte si può notare una scena alquanto stupefacente: su un altare raffigurante un Buddha addormentato con alcuni fedeli alle sue spalle, appaiono stranamente tra questi, genti la cui fisionomia è chiaramente sia nei volti che nei costumi, degli Indiani d’America. Cosa assai strana se si pensa alle distanze tra i due continenti e che all’epoca si suppone che il continente americano era ancora sconosciuto, ma oggi sappiamo per certo che non è così. Dopo le più recenti scoperte siamo oggi in grado di dimostrare che questi popoli erano a conoscenza del Nuovo Continente già millenni fa e che alcune razze degli Indiani d’America sono di carnagione e capelli chiari e presentano caratteri fisici simili ai Crô-Magnon. Ma non solo, tra le altre similitudini che accomunavano i popoli bianchi dell’Asia e i Nativi Americani c’erano oltre che i costumi, il cavallo, anche i simboli come il Tridente diffuso tra gli Apache e la cultura di Tiahuanaco in Bolivia ma anche in Perù sulle coste vicino al deserto di Atacama, il celebre Candelabro infatti, rappresenta un tridente ed è ben conosciuto dagli Apache; loro stessi affermano che si tratta di un simbolo analogo al loro di un popolo affine vissuto in Sudamerica. Gli Apache raccontano di gallerie sotterranee esistenti nella loro terra e che arriverebbero fino a Tiahuanaco, è da qui che i loro antenati fuggendo da altre tribù arrivarono in Sudamerica. Oppure il cerchio diviso in quattro settori della cultura degli indiani Hopi e simile a quello rinvenuto in una tomba nella città di Khara Khoto sempre nello Xinkjang della Cina orientale, risalente secondo l’archeologo russo Koslov che la scoprì a 18mila anni fa. Ma ciò che più di tutto avevano in comune tutte queste culture megalitiche era il culto ancestrale della Dea Madre, un culto antichissimo, vecchio di circa centomila anni! Che queste culture lontane migliaia di chilometri avessero un origine comune lo prova anche il fatto che molte tracce sono state riscontrate in Oceano Pacifico, una su tutte è sull’Isola di Pasqua. La prova sono non solo le testimonianze scritte e raccontate da storici navigatori che approdarono sull’isola e che incontrarono con gran sorpresa tra gli indigeni anche alcuni di carnagione bianca e capelli rossi, ma gli stessi Moai sono la rappresentazione degli antenati di queste genti dalla pelle bianca; antenati le cui avanzate tecnologie gli permisero di scolpire le megalitiche statue e di scavare le colossali gallerie sotto la stessa isola di Pasqua e in tutta l’Asia. I Moai infatti raffigurano proprio la stessa razza, quelli che si credevano fossero cappelli, sono in realtà la rappresentazione dei capelli rossi sul corpo bianco di pietra chiara e con l’acconciatura a “crocchia” simile a quella dei monaci buddisti delle grotte di Dunhuang e con orecchie lunghe come le statue del Budda e degli uomini dipinti nelle grotte. Costumi e acconciature simili si riscontrano anche tra i Maya; da quello che si vede sui dipinti Maya infatti i costumi sono molto simili a quelli dei Nativi del Nord America, mentre le acconciature sono alte e con crani dolicocefali, cioè allungati. Secondo alcuni studiosi quella che sembra l’acconciatura degli antichi monaci bianchi buddisti delle grotte della Cina sarebbero invece protuberanze ossee del cranio su cui è stata fatta l’acconciatura, così come nei Moai e nei Maya. Ciò sarebbe la caratteristica fisica comune di questi popoli discendenti dai Cro-Magnon oltre che la pelle chiara e l’imponente statura. Ma se alcune delle grotte asiatiche furono scavate da una stirpe antica di migliaia di anni che ereditò le tecniche da una stirpe ancestrale ,come è possibile che alcuni dei personaggi dipinti nelle grotte vestissero già gli abiti di monaci buddisti prima ancora dell’avvento del Buddismo? La risposta la possiamo trovare forse in Afganistan nelle grotte dei Budda di Bamiyan e tra l’odierna e sfortunata popolazione degli Hazara.
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