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Una sola frase, un solo volto, una sola inquadratura, e vi saprò riconoscere con assoluta certezza un film a caso del regista Finlandese Aki Kaurismäki.
Kaurismäki io lo amo in maniera totale, non solo per quello che gira e come lo gira, ma anche per le interviste che rilascia, per il festival di cinema che organizza ogni anno a metà Giugno in Lapponia, per la sua cinefilia spinta e senza confini, per il suo essere volutamente vintage e completamente al di fuori della società contemporanea (dei suoi credo, dei suoi ritmi e delle sue inutili cazzate). Lui è uno di quei meravigliosi registi che nel corso di una carriera hanno creato un vero e proprio universo parallelo, una famiglia cinematografica circoscritta e fedele, un'oasi di pace e felicità a cui potersi rivolgere in caso di bisogno.
Che i suoi film siano ambientati a Helskinki, Londra, Parigi o Le Havre, poco importa. Tutte le città sono uguali, tutte le case sono identiche, in Kaurismäki Land. Il sole splende appena. Di solito fuori è buio, piove e fa freddo. Tutti sono poveri, con rarissime eccezioni (e se sono ricchi, allora sono cattivi). Nessuno corre. La gente cammina lenta, e parla (quando lo fa) altrettanto lentamente. Nessuno ha il cellulare. I telefoni hanno ancora le tastiere a disco. I mobili, i vasi, gli orologi, i vestiti, sono anni '50. Le macchine, delle vecchie trabant di origine russa con porta-termos incorporato. I taxi hanno le tendine di pizzo sul vetro in fondo. Si fuma e si beve molto, questo sì. Ci sono sempre bar con un vecchio bancone di zinco, un jukebox, e delle facce da galera (che poi si rivelano buonissime) appoggiate al suddetto. La musica è puro rock & roll. I musicisti hanno capelli lunghi con bananone sulla fronte, scarpe a punta, look che neanche Elvis nei giorni peggiori. E se non è rock, allora è un tango finlandese o un improbabile pezzo melodico giapponese. Sempre ascoltati attraverso una vecchia radio o uno stereo, s'intende. Gli amici sono veri amici che non si tradiranno mai, pronti a qualsiasi cosa gli uni per gli altri. Gli amori sono totali, iniziano con un semplice sguardo e durano tutta la vita. Il sesso non esiste, non è contemplato. I baci sono rari e castissimi. Anche di violenza ce n'è poca. Ogni tanto la gente viene picchiata, ma sembra un po' una scena da ridolini. I personaggi hanno una dignità, una gentilezza, un'ironia, da lasciare incantati. Non piangono mai, e se provano un dolore insensato, si limitano a guardare nel vuoto con aria perduta. Gli attori, è ovvio, sono sempre gli stessi: come la mitica Kati Outinen, attrice eccezionale e protagonista assoluta della filmografia kaurismakiana. E quando gli attori non ci sono più (come nel caso del suo alter ego, il compianto e mai dimenticato Matti Pellonpää), allora lui li fa vedere da bambini in una foto, e li trasforma nei figli perduti della coppia protagonista di un film, oppure fa appendere il loro dagherrotipo a una parete del Moskova Baari (un bar di Helsinki proprietà dei fratelli Kaurismäki, dove leggenda narra che accanto al bancone stia appeso un cartello: Facciamo credito solo a Lenin, gli altri devono pagare in contanti)
Da buon fanatico della Nouvelle Vague, il regista è stato anche capace di ridare vita ad una leggenda come quella di Jean-Pierre Léaud, al quale Kaurismäki ha affidato, dopo 15 anni di inattività e silenzio seguiti alla morte di Truffaut, il ruolo da protagonista in Ho affittato un killer (1990). Nei suoi film si ritrovano spesso, del resto, artisti francesi che lui ha amato, come Serge Reggiani e, proprio in Le Havre, il regista Pierre Etaix. Altra presenza fondamentale e costante: Laika, la sua cagnetta. In questo mondo sopra le righe, anche i titoli delle sue opere sono spesso molto buffi: Total Balalaika Show, Calamari Union, I
Leningrad Cowboys incontrano Mosé, Amleto si mette in affari, Tieni il tuo foulard, Tatjana. Non sono adorabili?
Le Havre è la continuazione a colori, 20 anni dopo, di Vita da Bohème, un film in bianco e nero che Kaurismäki aveva girato a Parigi. Il tempo è passato ma i protagonisi sono rimasti esattamente gli stessi, e vivono poveri ma dignitosi in un quartieraccio della città portuale. Quando Marcel Marx (omaggio a chi, questo nome? Groucho? Karl? Entrambi?), che si guadagna da vivere come lustrascarpe (!!?) incontra per caso un piccolo clandestino africano, non ha un attimo di esitazione ad accoglierlo in casa, nutrirlo e cercare di aiutarlo a realizzare il suo sogno, quello di raggiungere la madre che vive in Inghilterra. Nonostante una moglie, Arletty (a proposito di omaggi...), all'ospedale e in fin di vita, e un poliziotto esistenzialista che gli sta alle calcagna, Marcel si farà in quattro per trovare i soldi che riusciranno a regalare a Idrissa un passaggio su un'imbarcazione che fa Le Havre-Londra. Grazie al denaro raccolto con un concerto benefico di Litte Bob (ma dov'è andato a recuperarlo Aki questo Roberto Piazza, improbabilissimo Little Tony ante litteram??!), il sogno può diventare realtà, ma non sarà l'unica sorpresa in serbo per i protagonisti del film.
Con il consueto stile: essenziale, ironico ed efficace, inquadrature semplicissime ma di una bellezza sconcertante (ah, quel genio di Timo Salminen, il direttore della fotografia di TUTTI i suoi film!), e dialoghi inverosimili, Kaurismäki sforna l'ennesimo capolavoro di grazia e lucidità. Su un tema, quello dell'immigrazione, da molti considerato troppo spinoso e difficile da affrontare. Ma Aki non ha paura di niente, ci mette dello humour finlandese (André Wilms che si spaccia per il fratello albino del padre di Idrissa), un tocco alla Frank Capra, un omaggio truffautiano (Léaud, again) e un messaggio chiaro su come risolvere il problema. Che sta tutto in una parola sola: solidarietà.
L'ho sempre pensato, io: se la gente fosse come nei film di Kaurismäki, questo mondo sarebbe il migliore dei mondi possibili.
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