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Le Idi di Marzo

Creato il 21 dicembre 2011 da Thefreak @TheFreak_ITA

In un periodo come questo in cui il “Cinepanettone” di Neri Parenti-De Sica arriva “solo” 4° nella classifica dei più visti al Box Office (è quasi superfluo e maligno sottolineare che il primo film è Sherlock Holmes e a seguire Il gatto con gli Stivali e altre leggere amenità per cinefili), il film di George Clooney, le Idi di Marzo, doveva scalfire, irrompendo, il torpore natalizio che puntualmente si crea nelle sale a ridosso delle feste natalizie.

Presentato un po’ ovunque, candidato a 4 Golden Globe, Roma in puntuale esposizione di manifesti pubblicitari su qualsiasi superficie liscia che si rispetti, storia avvincente e recensioni che farebbero a gara con i sarcastici trailer di Maccio Capatonda. Il film è stato definito un romanzo di narrazione, un’opera che non pecca di superficialità e qualunquismo, se non altro perché retto molto bene da attori del calibro di Paul Giamatti (“la versione di Barney) e Philip Seimour Hoffman (“Capote” e diversi capolavori) e  da quel tale Ryan Gosling, in questa piece meno muscoli e più attore.

Ma tralasciando i soliti fasti holliwoodiani che tendono a piazzare anche le pellicole improponibili come “i migliori film di sempre”, quest’opera di Clooney non è esente affatto da una serie di critiche.

Iniziamo con la parola: Ambizioso. Rappresentare il canovaccio di una campagna elettorale per le presidenziali ma dalla parte dei “buoni” Democratici in quota Obama, è sicuramente un modo per evitare il clichè alla Reegan e soci,  evitare cioè di accostare le ombre e i mali della politica americana ai vizi consueti dei Repubblicani alla Bush, ma tale intuizione non basta da sola per impedire che il film cada in qualche banalità e ingenuità stilistica, meglio dire in qualche frame di cellulosa già visto in vecchi rogiti cinematografici. Il politico mentore alla JFK, l’aiutante puro e crudo (e idealista), il vecchio esperto di election day, la giornalista d’assalto e delicatamente spietata, la stagista biondina e innocente, o quasi.

Un pachwork di storie già scritte e viste (solo per citarne alcuni “Tutti gli uomini del presidente”, “the Manchurian candidate”, “Leoni per agnelli”, e le svariate liste comodamente stilate su mymovies), un po’ real life, vedi alla voce Bill Clinton e Richard Nixon, e ogni buona storia di politica made in Usa si rispetti.

Il film è veloce nei tempi, sommariamente convincente nei primi piani e in taluni dialoghi, yankie quanto basta e blockbuster al punto giusto. Ma non si può celebrarlo come opera inedita e meritevole, non si può incolonnarlo tra quelle famose liste di film che guadagnano citazione e plauso, e forse non merita neppure la stroncatura di qualche saccente critico del Cinematografo Marzulliano (roba da gente della notte).

Difficile capire se il buon George sia apprezzabile maggiormente davanti o dietro la cinepresa, considerando che la sua performance non si discosta di molto dall’ormai ordinario presenzialismo in spot nostrani, (sono lontani i tempi di Fratello dove sei in salsa Coen), sicuramente la sua quasi dogmatica presenza nei vari festival internazionali pro promotion portano a rinfrescare una celebre frase di quel genio di Orson Wells “La regia cinematografica è il perfetto rifugio per i mediocri. Ma quando un buon regista fa un cattivo film,l’universo intero sa chi ne è responsabile”.

Cinema: “Le Idi di Marzo”


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