Solo superficialmente il film di Clooney si propone come denuncia della corruzione e del cinismo della politica made in USA. Più in profondità costituisce una dimostrazione di come la morale bigotta statunitense sia, di per sé, una fonte di corruzione politica. La sceneggiatura del film sceglie con cura i propri protagonisti, il meglio che la politica di quel paese possa offrire: un candidato presidente democratico capace di rifiutare i compromessi in nome dei propri ideali, un capo dello staff elettorale fedele ed integerrimo, un giovane addetto stampa capace di resistere alle lusinghe dell’interesse personale. Come può una squadra così composta generare una mostruosa contrapposizione che genererà ogni sorta di bassezze e compromessi politici? Ci riuscirà grazie alla devastante azione della morale nazionale costruita sul puritanesimo. Come conferma uno dei protagonisti quando afferma che un candidato presidente può mentire, compiere ogni altra atrocità, ma non può andare a letto con una stagista del suo staff elettorale. Una furia moralizzatrice distruggerà i protagonisti e la loro capacità di fare buona politica, travolgendoli in un turbine di punizioni e ricatti per sfuggire alle punizioni.
Ognuno rifiuta la sanzione impostagli in quanto è intimamente in disaccordo con la morale che l’ha prodotta, sebbene egli stesso la pratichi per acquisire consenso sociale. Una macroscopica ipocrisia collettiva. E alla fine, l’unico ad essere estromesso dalla politica sarà proprio quello incapace di esercitare ricatti.

Il parossismo moralistico arriva fino al punto di voler punire la titubanza verso la tentazione, disinteressandosi anche della realtà che ha visto prevalere la fedeltà alla squadra sugli interessi personali (come accade al giovane addetto stampa). La pretesa di selezionare un personale politico dotato di una sfera privata ineccepibile (secondo la morale pubblica nazionale) induce a renderlo ricattabile, poiché la perfezione, e quella puritana in special modo, non è data in questo mondo.

Pasquale D’Aiello
