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Le imperscrutabili profondità della mente umana

Creato il 07 maggio 2014 da Scribacchina

Mi riaggancio al post di stamattina per un paio di riflessioni.
Oggi sono stata gentilmente traghettata dal Signor Trenitalia ad un’interessante convenscion improntata sui meccanismi della mente umana e, in buona parte, su programmazione neurolinguistica e programmazione neurosemantica. Brutti paroloni che stanno ad indicare studio e sviluppo dei processi (e dei modelli) comunicativi – in realtà la definizione corretta sarebbe un po’ più articolata e intricata, ma preferisco farla semplice.

Tutto quello che riguarda modelli comportamentali, atteggiamenti spontanei, meccanismi mentali e loro significato ha, per me, un fascino irresistibile.

Sembra che ognuno di noi abbia un modello di interpretazione della realtà predominante: visivo, uditivo, cinestetico e auditivo-digitale.
Ho scoperto di essere fondamentalmente visiva: gesticolo moltissimo quando parlo, mi faccio prendere da entusiasmo per tutto (o quasi), uso principalmente lo sguardo per definire il mio mondo e – ma questo era inevitabile… – assumo posture rigide e impettite; raramente mi stravacco su un divano, per intenderci, preferisco una sedia e un tavolo – o un letto.

La cosa più interessante di tutto questo è scoprire come interagire con persone che hanno altri modelli di interpretazione della realtà. Come conciliare i miei facili entusiasmi con la razionalità di chi ha bisogno di riflettere a lungo prima di prendere una decisione. Riconoscere e sapere fin dove mi posso spingere con una persona che non tollera il contatto fisico, neppure la pacca sulla spalla. Avere la consapevolezza che se dico A, altri capiranno Ab.

Tutte cose che magari dette così potrebbero apparire estremamente noiose, chissà. Io ne vado pazza.
Sapete, comunicare è un’arte e una scienza. A volte anche un’arte divinatoria, perché è il corpo che parla, e leggerlo è come interpretare i tarocchi. E mi sento proprio come un mazzo di tarocchi, sissignori, perché sarò pure una gran gesticolatrice ripiena di entusiasmo, ma ho anch’io delle belle parentesi di timidezza. Quando mancano le parole, perché non ci sono proprio o perché più spesso non vogliono uscire. Dalla bocca o dalle dita.

Il Signor Trenitalia è stranamente puntuale stasera. Mi ha scaricata dallo sFrecciarossa e mi ha abbandonata in Milano Centrale per una quarantina minuti. Così, sola soletta, ho iniziato a guardarmi in giro. Inizialmente con l’entusiasmo dei visivi, poi con un pochino di stanchezza. Perché vedevo tante, tante persone, tutte diverse e tutte da interpretare: la ragazza grassa con le spalle curve e il giubbotto di pelle che scendeva veloce le scale, l’anziano muratore con lo zainetto e gli abiti da lavoro che trainava un carrello pieno di sacchi di cemento. I gruppi di extracomunitari seduti tranquilli sui muretti, che osservano tutto e tutti con due occhi più penetranti dei raggi X.
Tanta, tantissima gente attaccata al cellulare – cos’avranno di così importante da gridare al vento lo sanno solo loro…

Con passo lento, tagliando la strada a questa folla immensa, sono uscita e ho visto un meraviglioso cielo, tutto turchino e oro, trapuntato di nuvole come un’alcova d’altri tempi. Il Pirellone che svettava in tutta la sua statura, quasi un gigante buono.
Ho girato i tacchi e sono rientrata in stazione, con tutta la calma del mondo. Mi sono guardata gli stivali neri, poi i jeans kaki. La maglia nera, la sciarpa marrone e il giubbino di jeans. I soliti orecchini che mi aveva regalato mia sorella, quasi più grandi di me. I capelli sciolti, un po’ stanchi anche loro. Mi sono chiesta che significato può avere tutto questo apparato, cosa possono leggere in me le altre persone.
Ma non sono un’indovina, cari soliti lettori, e oggi non ho risposte. Ho tante domande, in compenso.

Affrontato l’ennesimo mare di viaggiatori – stavolta una scolaresca in gita -, ho trovato il mio treno lì, pronto ad accogliermi anche se mancava una vita e mezza alla partenza. Mi ha anche offerto una carrozza vuota, tutta per me, dove scrivere e pensare in pace.

Chissà a che ora arriverò.


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