Nadia Terranova è una scrittrice. «Da un po’ di tempo scrivo e basta» così si legge sul tuo blog. Che cosa significa per te essere una scrittrice e basta? Come lo sei diventata?
Dopo quasi dieci anni nell’editoria e dintorni (scuola e università comprese) mi sono accorta di come tutti i lavori, anche i più interessanti, toglievano tempo ed energia a quello che volevo fare veramente. Anche perché di lavori ne facevo tre o quattro per volta… E quando scrivevo, finivo per farlo in tempi residuali, pensando sempre di aspettare tempi migliori per progetti più ampi. E questi tempi migliori non arrivavano mai. In un libro molto divertente di Marco Rossari (L’unico scrittore buono è quello morto, ed. e/o) ho trovato la definizione giusta: stavo per diventare la ghost writer di me stessa.
In occasione della presentazione del tuo libro, Bruno, alla galleria Tricromia di Roma il 15 gennaio scorso, parafrasando Amos Oz hai detto che da grande volevi essere questo libro, volevi essere Bruno. Che cosa rappresenta per te?
Un omaggio all’autore che ha segnato alcune svolte: il passaggio da Messina a Roma e quello da lettrice qualunque a lettrice militante (la definizione è di Grazia Cherchi).
E poi è il mio primo albo illustrato. E poi ancora ha provocato due incontri molto belli: con un’artista che trovo geniale, Ofra Amit, e con una casa editrice del cui splendido catalogo sono onorata di far parte, Orecchio Acerbo.
Dopo Caro diario ti scrivo, anche Bruno in parte si rivolge a un pubblico di giovani lettori. Cosa ti spinge verso la letteratura per ragazzi?
Ci sono storie e idee che nascono direttamente per loro, così come ce ne sono altre che nascono per un pubblico più adulto e altre ancora per il teatro. Per me comunque i ragazzi sono il vero pubblico, quello che se ne frega delle critiche, del nome in copertina, delle correnti, delle amicizie. Se si appassionano al libro lo leggono, lo consigliano, lo diffondono; altrimenti amen, senza preoccuparsi di offendere nessuno.
Bruno è nato dalla collaborazione con l’illustratrice Ofra Amit. È stato difficile lavorare assieme?
In realtà non abbiamo lavorato insieme, ci siamo scritte solo a lavoro finito e abbiamo parlato del risultato solo la settimana scorsa, quando lei è venuta in Italia per presentare il libro. Io ho scritto il racconto, poi Fausta Orecchio – l’editore, insieme a Simone Tonucci – ha pensato a Ofra come alla persona giusta per raccontare la stessa storia attraverso le illustrazioni, ha tradotto il mio racconto in inglese e gliel’ha mandato via email. Dopo qualche mese ho visto lo storyboard: era semplicemente perfetto.
È una storia fondamentalmente inventata, lo ha detto Fausta Orecchio alla presentazione, lo hai detto tu e lo leggiamo anche noi sfogliando il libro. Quanto di Bruno Schulz c’è in questo libro e quanto di Nadia Terranova?
I riferimenti storici sono tutti precisi. Sono meticolosa e in casa editrice c’è stata un’estrema cura nel rivedere ogni dettaglio (in particolare grazie agli occhi attentissimi di Paolo Cesari).
E poi c’è la poetica di Bruno, che è quella che io ho assorbito in quasi dieci anni di rilettura delle Botteghe color cannella. E naturalmente, c’è la Nadia che sono e si infila in qualsiasi cosa scrivo, giocandomi anche qualche scherzo di cui mi accorgo solo rileggendo, molto tempo dopo.
I giornali, i critici, gli editori, gli scrittori, tutti affermano che la cultura e tutto il resto è in crisi. Oggi fare lo scrittore non è facile, qual è il consiglio migliore che hai ricevuto e quale ti senti di dare a chi decide di scrivere e “basta”?
Fare le cose con amore, scrivere (e pubblicare) solo ciò che ha un’urgenza, costruire il proprio percorso con passione. La sciatteria e il lamentarsi non portano da nessuna parte; la determinazione e la fiducia pressoché ovunque.
E quando non scrive e basta cosa fa Nadia?
Legge, su carta e su kindle. Perde tempo sui social-giocattoli. Naviga in internet. Ogni tanto prende qualche sbandata per una serie tv o un regista o un attore e guarda tutto quello che ha fatto. Va molto a teatro, per lo più off, e raramente ai concerti, per lo più quelli coatti da stadio. Ascolta musica, quasi sempre la stessa. Scrive un sacco di email e qualche lettera. Da qualche tempo prova, ahimè, a suonare la chitarra. Un tempo cucinava, adesso preferisce stappare bottiglie di buon rosso e accompagnarle con fiumi di patatine fritte. Litiga con il suo pazientissimo fidanzato. Programma viaggi che non ha soldi per fare, però trova molto utile immaginarsi da un’altra parte.
Che cos’è la scrittura per te? In percentuali. Quali sono stati i libri indispensabili per la tua vita? Quali non vedi l’ora di leggere? Che cosa vorresti venisse pubblicato?
Oddio, con le percentuali sono pessima, me ne resta sempre qualche decina fuori. Per esempio ti direi: leggere sessanta per cento, scrivere cinquanta per cento, ma vedi? Ce ne sono dieci di troppo.
I libri necessari e in perenne rilettura sono molti, ovviamente, proviamo con i primi che mi vengono in mente (Schulz escluso): Il racconto di Sonecka di Marina Cvetaeva, gli Appunti sparsi e persi di Amelia Rosselli, tutti i racconti di Dorothy Parker, Fammi un indovinello di Tillie Olsen. Uhm, quattro donne… Mi tocca bilanciare. Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino sono una triade per me inscindibile, e la loro sicilianità mi riempie di orgoglio. Tre anni fa, con inspiegabile ritardo sulla mia adolescenza, ho preso una sbandata per Fitzgerald e allora ho letto tutto quello che ha scritto ed è diventato la mia fonte preferita di citazioni. E poi: Camere separate di Tondelli, un libro che mi spezza il cuore tutte le volte. E ancora: le poesie di Dylan Thomas, Alta fedeltà di Nick Hornby, C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo di Efraim Medina Reyes. Recentemente mi sono innamorata di un best seller vintage: La valle delle bambole, di Jacqueline Susanne, è stato definito il vero grande romanzo americano travestito da romanzetto rosa ed è straordinariamente attuale.
Cosa non vedo l’ora che venga pubblicato? Il prossimo romanzo di Francesca Bonafini, una storia post-tondelliana che ho letto in prima stesura e non vedo l’ora di rileggere rilegata. E vorrei che si traducesse di più dall’Europa Orientale, in particolare dall’Ungheria.
Cosa ti auguri per te e per Bruno?
Fra dieci anni, un’email di un ex bambino che mi scrive: ho comprato un libro di Schulz perché ricordo di averlo conosciuto attraverso quel libro illustrato…
I tuoi prossimi progetti.
Imparare l’ebraico. Ofra Amit mi ha regalato l’edizione israeliana delle Botteghe color cannella.