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Le interviste dei Serpenti – Pietro Del Vecchio

Creato il 24 maggio 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

di Sabina Terziani

Le interviste dei Serpenti – Pietro Del Vecchio
Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Pietro Del Vecchio, fondatore dell’omonima casa editrice nel 2007. Nel novembre scorso l’editore romano ha rinnovato la propria immagine sul web e rivoluzionato la veste grafica dei suoi libri. La proposta editoriale di Del Vecchio si sintetizza nelle tre collane: formelunghe, formebrevi e poesia.

Cosa spinge in un’Italia come quella di oggi ad aprire una casa editrice? Ci puoi dare una risposta razionale e una irrazionale?
Non ho nessuna risposta illuminante, meravigliosa o che squarci veli. Posso raccontarti come è nata per me. Facevo filologia romanza all’università di Roma e a un certo punto mi sono immaginato molto avulso e alieno dalla vita e dalla concretezza, in mezzo a codici romanzi in provenzale del XIII secolo, per cui ho detto che c’era bisogno di dare forma e sostanza a una serie di passioni. Ho preso la palla al balzo e ho chiesto un prestito a mio padre e da lì ho cominciato a immaginare di poter convogliare una serie di esperienze, competenze e passioni in qualcosa di molto concreto. Competenze rispetto al mestiere editoriale che mi sono quasi dovuto inventare, venendo dal mondo universitario. Razionalità e irrazionalità sono intimamente unite. Parto sempre da un colpo di follia ragionato a cui arrivo con tempi biblici. Mi macero per tre, quattro anni e poi alle persone che mi stanno intorno sembra che faccia una pazzia da un momento all’altro.

Le interviste dei Serpenti – Pietro Del Vecchio
Negli ultimi tempi sono cambiate un po’ di cose in Del Vecchio Editore. Ci puoi delineare quello che è stato lo sviluppo, editoriale ed estetico, della casa editrice?
Come casa editrice, dovendoci inventare un mestiere, anche noi abbiamo fatto i nostri errori e siamo passati attraverso le nostre sconfitte, le nostre consapevolezze. Sicuramente il pensiero della forma-libro ha attraversato la casa editrice fino a giungere alla realizzazione attuale che mi sembra al momento quello che più ci rispecchia. Abbiamo vissuto un anno di riflessioni e di ragionamenti. Poi la fase concreta, in realtà è durata assai meno. Una volta incontrato Maurizio Ceccato di Ifix, in quattro mesi abbiamo ragionato concretamente, abbiamo portato le prime proposte e costruito il libro così come lo vedete. Siamo molto contenti del risultato, innanzitutto perché il libro che abbiamo immaginato è, come direbbe Maurizio, un oggetto retrofuturista, che recupera tutta una tradizione di iconografie e disegni che hanno attraversato il passato recente, la cultura popolare. Cose come i vecchi timbri a stampa, i caratteri mobili, l’immaginario dei manifesti pubblicitari degli anni Venti, Trenta e Quaranta. Naturalmente, accanto a questa operazione estetica abbiamo ragionato molto sui paratesti. In quarta di copertina non metteremo né strilli né opinioni dell’editore, né sinossi perché crediamo che al lettore serva inquadrare il libro, un primo approccio attraverso poche parole chiave che sono come dei tag. Non interpretazioni a posteriori dell’editore, dell’editor, del lettore, bensì parole prelevate dall’interno del testo. Naturalmente non sono frutto di una mera analisi quantitativa, non abbiamo usato word per contare quante volte compare la parola x, ma abbiamo ragionato sul significato che il testo ha per noi nel complesso. Per noi è importante anche valorizzare la voce del traduttore, per cui metteremo sempre d’ora in poi il nome del traduttore in copertina e daremo, nelle cosiddette pagine di servizio, la possibilità al traduttore di raccontare, in una rubrica che abbiamo chiamato “la scatola nera del traduttore”, il suo approccio alla traduzione. Sarà una rubrica tecnica ma non tecnicistica, per cui il traduttore racconterà più che altro il mood con cui si è interfacciato con il testo. Nella collana Formelunghe abbiamo una sorta di “istruzioni per l’uso”. Sembra quasi tautologico proporle, ma il libro è un oggetto che si apre, si sfoglia e si legge in un certo modo. Giocando con la forma delle istruzioni per l’uso dei bugiardi medici diamo una chiave di lettura sicuramente meno dogmatica di quanto possa essere un discorso che s’intitola “l’opinione dell’editore”.

A sentire gli editori, sembra che la cosa più difficile sia trovare dei buoni autori italiani. Anche secondo te è una sfida ardua? Quali sono i vostri canali per scoprire talenti italiani? Vi arrivano molti manoscritti?
La prendo un po’ alla larga. Sono convinto che ci raccontino una serie di menzogne. Ci sono delle autonarrazioni molto potenti di cui ci convinciamo e di cui le case editrici, in buona e in cattiva fede, si convincono. Per esempio alcune frasi che ricorrono moltissimo sono: non si vendono racconti, gli italiani non leggono racconti, la poesia non si vende. Ebbene, noi abbiamo un’autrice, Deborah Willis, che con Svanire sta vendendo benissimo. I prodotti di qualità, quando incontrano lettori di qualità vendono indipendentemente dalla forma con cui sono veicolati. Un lettore consapevole, che si accosta a una raccolta di racconti non la scarta a priori perché è una raccolta, ma perché non è ben scritta o non si interfaccia con il messaggio dell’autore e così via. Possiamo mettere tutto ciò in relazione con la domanda di prima se esistono buoni italiani. Dipende semplicemente dal tipo di progetto editoriale che ha la casa editrice, dalla qualità di lettura che le case editrici hanno al loro interno. Gli autori in gamba, come dimostra il premio Calvino, che molti editori stanno saccheggiando (noi compresi, ovviamente), esistono, si trovano e vanno semplicemente selezionati, uscendo dalle consorterie degli amici degli amici. A noi arrivano moltissimi manoscritti, dai cinque ai dieci al giorno. Lavoriamo molto bene sia con i premi sia con le agenzie.

Le interviste dei Serpenti – Pietro Del Vecchio
Siete tra i pochi piccoli editori ad avere una collana di poesia. Questa scelta coraggiosa ha un ritorno economico o di immagine?
Che sia una scelta coraggiosa dipende dai punti di vista. Sicuramente ci sono tirature e vendite minori ed è fondamentalmente un problema culturale, nel senso che ad esempio nei paesi anglosassoni la poesia è qualcosa di vivo. Loro recuperano la tradizione bardica, per cui la poesia ha un rapporto concreto e diretto con la vita delle persone. Non è un dato culturale astratto che si insegna soltanto nelle università e che ogni tanto vende. Ritengo che l’idealismo crociano abbia devastato la cultura italiana dall’inizio del secolo scorso. Dovremmo eliminare dalle nostre menti queste figure sacrali e totemiche che ci hanno devastato l’immaginario. Abbiamo tirature piuttosto basse (250-500 copie) per i nostri volumi di poesia, e devo dire che le vendite in libreria sono inferiori rispetto a quelle che ricaviamo dal sito o che derivano dagli eventi che organizziamo. Una parte consistente del ritorno economico è costituita dalle sovvenzioni garantite dagli istituti di cultura esteri. Lavoriamo molto bene con il Goethe Institute, visto che facciamo moltissima letteratura tedesca.

Da piccolo editore, come vedi quelle grandi rogne che sono promozione e distribuzione?
Non funzionano varie cose all’interno del sistema. Una delle anomalie più grandi è che, a differenza di quello che avviene negli altri paesi, da noi ci sono pochi soggetti che detengono tutti i passaggi del processo. In Francia alle case editrici non sono concesse librerie proprietarie, solo Gallimard ha una libreria a Parigi, mentre da noi c’è Feltrinelli, tanto per fare un esempio. Abbiamo una legge del libro piuttosto vergognosa, che non regola lo sconto, o fa finta di regolarlo per cui vige un regime di sconto libero e praticabile in ogni momento dell’anno. Mi viene da sorridere quando sento parlare di filiera del libro perché percepisco una certa malafede. Non è possibile immaginare l’esistenza di una libera concorrenza in questo momento in Italia. Assistiamo negli ultimi anni a una progressiva disintermediazione tra domanda e offerta, per cui si assiste a fenomeni di vendita diretta, vedi Amazon e affini. Mentre in altri contesti, con regole che funzionano, la situazione produce effetti positivi, in Italia siamo in un regime di deregolamentazione per cui questa cosa è controproducente. Non sono completamente contrario alla disintermediazione. Sono a favore laddove i soggetti coinvolti non funzionano. Ci sono tantissime librerie che si fregiano del titolo di indipendenti ma che in realtà non fanno un buon lavoro di ricerca dei titoli, di composizione del catalogo e per questo sono destinate alla chiusura. Si comportano come librerie di catena, ma non ce la faranno mai. Se mi offrono lo stesso trattamento di Feltrinelli senza peraltro riuscire a garantirmi il 25% di sconto che invece la libreria di catena mi offre, perché dovrei rivolgermi a loro? Recentemente abbiamo organizzato una presentazione per un nostro autore su invito della libreria. Ci è arrivata una mail del libraio che ci chiedeva se potevamo portare anche le persone perché non sapeva se riusciva a far venire gente. Io mi chiedo: ma tu, libraio, come pensi di poter sopravvivere se non hai un rapporto con i clienti. Lo dico con dispiacere, ma tra quattro-cinque anni assisteremo alla morte di moltissime librerie indipendenti. Rimarranno solo quelle vere e saranno il cardine del sistema, perché una piccola casa editrice che lavora bene con cento-centocinquanta librerie indipendenti funziona perché incontra librai attenti ai libri, che hanno voglia di confrontarsi sulle idee.

Le interviste dei Serpenti – Pietro Del Vecchio
Ci puoi anticipare quali sono i libri su cui punterete di più nell’immediato futuro?
Abbiamo allargato i nostri orizzonti. Mentre prima eravamo concentrati sul panorama franco-tedesco, per la fine del 2013 faremo uscire un inedito di Max Frisch, un autore svizzero a cui teniamo molto, riscoperto dalla casa editrice tedesca di origine, la Suhrkamp, intitolato Il silenzio. È una storia giovanile di formazione e crescita che riguarda l’ascesa sul Nordgrat, la madre di tutte le montagne europee del XX secolo. A dicembre uscirà invece un autore messicano, Daniel Sada. Lo traduciamo per la prima volta e proponiamo il suo romanzo Quasi mai. Lo dico in un periodo di bolañofilia assoluta, ma Bolaño stesso lo considerava uno dei maggiori autori ispanofoni del XX secolo.


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