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Le interviste dei Serpenti: Vanni Santoni

Creato il 30 aprile 2014 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

A partire da maggio 2014, Tunué, casa editrice specializzata in graphic novel e saggistica pop, lancia una nuova collana dedicata alla narrativa e diretta da Vanni Santoni e che verrà presentata al Salone del Libro di Torino il 10 maggio (alle ore 14 nello Spazio Autori).
Scrittore e giornalista, autore pubblicato da Feltrinelli, Mondadori e Voland tra gli altri, e creatore – insieme a Gregorio Magini – del metodo Scrittura Industriale Colletiva (qui trovate l’intervista a Santoni e Magini in occasione dell’uscita di In territorio nemico, primo romanzo scritto con il metodo SIC e pubblicato da minimum fax nel 2013), Vanni Santoni ha risposto ad alcune  domande sulla sua nuova avventura editoriale. 

Vanni Santoni
Raccontaci in poche parole che cosa è (per te) Tunué.

Lo faccio raccontandoti il momento in cui per la prima volta entrai in contatto con essa: era un Lucca Comics di qualche anno fa, e quando mi trovai a passare accanto al loro stand uno di loro, poteva essere Emanuele di Giorgi, mi fermò e con baldo piglio da mercante mi disse se mai avrei voluto, se mai avrei potuto potuto, privarmi di due capolavori, e mi mostrò due volumi a fumetti che non avevo mai sentito dire. Mi lasciai persuadere e li acquistai. Non mentiva, dato che si trattava di Perché ho ucciso Pierre di Ka & Alfred e Rughe di Paco Roca, picchi altissimi del fumetto europeo contemporaneo. Da lì mi rimase la certezza del fatto che si trattasse di un editore di grande qualità, e fui dunque molto felice quando, anni dopo, mi vennero a cercare per dirigere la  futura collana di narrativa.

Come nasce l’idea di una collana di narrativa in una casa editrice specializzata in graphic novel e fumetto?

Dopo essersi affermata nel campo del graphic novel, credo che aprire anche alla narrativa fosse un passo naturale per una casa editrice che tra l’altro coltivava già un rapporto privilegiato con la narrativa italiana contemporanea – basti pensare agli adattamenti a fumetti di romanzi usciti in questi anni come Il tempo materiale di Giorgio Vasta, Uno indiviso di Alcide Pierantozzi o Canale Mussolini di Antonio Pennacchi. Inoltre Tunué si è sempre distinta, anche nel fumetto, per la capacità di trovare e lanciare nuovi talenti, ed è quello che stiamo facendo con le prime uscite, Stalin+Bianca di Iacopo Barison e Dettato di Sergio Peter.

Qual è il progetto editoriale della collana? Esordienti, classici, recuperi? Solo italiani o anche stranieri? Quanti titoli sono previsti in un anno?

Fin dall’inizio abbiamo deciso di non darci limiti, se non quello di fare romanzi italiani. In generale la linea è quella che un tempo si sarebbe detto “di ricerca”, come prova del resto il fatto che Peter è un esordiente assoluto e Barison quasi (prima di Stalin+Bianca aveva soltanto pubblicato con un piccolo editore un testo tratto dal suo blog), ed esordienti o quasi saranno anche vari dei prossimi autori che pubblicheremo. È chiaro che l’identità della collana non prevede di pubblicare classici o testi più o meno antichi; non escludo invece, se ve ne sarà la possibilità, l’idea di fare qualche “recupero” mirato di testi recenti e validi ingiustamente finiti fuori catalogo, come già meritoriamente hanno fatto il Saggiatore con Ultimo parallelo di Tuena e Last love parade di Mancassola, o minimum fax con Lo spazio sfinito di Pincio o Assalto a un tempo devastato e vile di Genna. Per ora, comunque, cerco soprattutto nuovi autori: l’attività mi esalta, anche perché per ora ha dato frutti molto buoni. Faremo quattro titoli l’anno.

Da cosa nasce la decisione di pubblicare i testi con licenza Creative Commons?

Credo che di questi tempi pubblicare in CC sia, prima ancora che un piccolo dovere morale, una necessità storica. Lo faccio sempre con i miei libri – quando gli editori me lo permettono – e ho subito proposto l’idea a Tunué, che l’ha prontamente accolta. Lo stesso vale per la questione del prezzo di copertina, che è anch’esso un parametro di accessibilità: ho chiesto espressamente che fosse basso, e Tunué è riuscita a esaudire la richiesta portandolo alla cifra, straordinaria di questi tempi per l’editoria non di massa, di 9.90 euro.

Tunué narrativa

Le copertine dei primi due libri in uscita per la nuova collana di narrativa di Tunué

Chi cura il progetto grafico della collana e quali sono le sue caratteristiche?

Il progetto grafico di Romanzi di Tunué è opera dello studio Tomomot di Venezia. Prima ancora di cominciare avevo espresso la volontà di un piano grafico ridotto al minimo, senza fronzoli e possibilmente senza immagini – pensa che inizialmente avevo proposto questo come modello – e sono felice che anche quest’idea, che non è un vezzo ma viene dalla volontà di porre anche il testo al centro, e dire al lettore che non gli vendiamo specchietti, lucciole o perline, ma romanzi, sia stata accolta. Ovviamente poi rispetto alla mia aspirazione al rigore (non mi dispiaceva neanche l’idea di  fare dei quaderni neri, anni ’40) serviva anche un’impronta di originalità e freschezza che credo Tomomot abbia centrato in pieno.

I primi due libri della collana sono Dettato di Sergio Peter e Stalin+Bianca di Iacopo Barison. Saranno presentati in anteprima nazionale il 10 maggio a Torino. Tu che cosa puoi dirci, senza bruciare l’anteprima?

Sono due romanzi molto diversi tra loro, accomunati dalla giovane età degli autori, rispettivamente classe ’86 e ’88, e dalla qualità della scrittura, che per me è sempre il parametro fondamentale di scelta. Altrove avevo definito Dettato come uno stereoscopio di visioni nostalgiche, solo apparentemente bucoliche, che ricorda Walser, ma anche il Celati di Narratori delle pianure e il Calvino delle Città invisibili; Stalin+Bianca è invece un melodramma adolescenziale, un piccolo e immaginifico “road-novel” che ricorda il Miguel Angel Martín più lieve, ma anche, nei sottotoni distopici, l’influenza certe atmosfere di Cronenberg e DeLillo.

Com’è stato il lavoro di editing sui primi due testi della collana? Sei intervenuto molto? È stato lungo e laborioso? Hai qualche principio che guida il tuo lavoro di editor?

Nessun principio vincolante, se non quanto ho imparato dai bravi editor con cui ho avuto la fortuna di lavorare per i miei libri. Anzitutto che l’editing è un processo maieutico: più che “intervenire” si deve agevolare la fuoriuscita del vero testo, che a volte sta nascosto sotto cose inutili, o rimane in parte inespresso a causa di vicoli ciechi o insufficiente consapevolezza da parte dell’autore delle proprie reali intenzioni o vocazioni stilistiche. Sia con Barison che con Peter abbiamo fatto un lavoro lungo e certosino, ma sempre improntato al rispetto, anzi alla valorizzazione, dell’anima di ciascun romanzo.

Questa è la tua prima esperienza come editor. Qual è stato il percorso che ti ha portato a ricoprire questo ruolo?

Avendo cominciato a scrivere in una rivista autoprodotta che faceva regolarmente riunioni dedicate all’editing dei reciproci racconti, avevo già sviluppato un minimo di sensibilità in questo senso, e in effetti già facevo l’editor a livello informale: spesso tra amici capita di scambiarsi le bozze per un giro di editing “fuor di casa editrice”… Quando trovi mio nome nei ringraziamenti di qualche romanzo uscito in questi anni, di solito è per un lavoro di questo tipo. Al di là di ciò, penso che sia stato il progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva ad aver avuto il ruolo più cruciale nel formarmi in questo senso: l’attività di compositore di un’opera SIC ha diversi punti in comune con l’editing, senza dimenticare che a lunghi e dettagliati processi di editing abbiamo sottoposto tutti i lavori prodotti con il nostro metodo, e specialmente In territorio nemico.

Credi che per uno scrittore il mestiere di editor risulti più “facile”, più naturale o invece c’è il rischio che il proprio stile influenzi il lavoro sui testi altrui?

L’editing è un processo empatico, di rapporto con l’autore – o, ancor più precisamente, di agevolazione del rapporto tra l’autore e il suo testo, e dunque non credo, almeno nel mio caso, che lo stile che l’editor ha quando scrive i suoi libri influenzi troppo il lavoro che viene svolto sui libri altrui.

Quali sono i canali attraverso cui trovi i libri da inserire nella collana? Manoscritti, riviste letterarie, blog, consigli di altri scrittori…

Il primo canale a cui guardo è senz’altro quello delle riviste letterarie, oggi per lo più online. Per questo mi è spiaciuto molto sapere della recente chiusura di Scrittori Precari, che tra tutte era quella che più si dedicava alla ricerca e pubblicazione di nuovi talenti, ma ovviamente le varie Nazione Indiana, Carmilla, minima&moralia e le più recenti ma già affermatissime Le parole e le cose e Doppiozero, così come la stessa Via dei serpenti, costituiscono letture quotidiane imprescindibili, anche al di là dello scouting, visto che ormai il dibattito letterario si è spostato per lo più in rete. Fin da quando ho cominciato a cercare autori mi sono mosso su tre canali: quello dei manoscritti che arrivano direttamente, e copiosamente in casa editrice, un afflusso che possiamo oggi considerare fortunato, dato che ci ha dato Dettato; quello degli autori che mi vengono suggeriti da colleghi di cui mi fido e di cui conosco la competenza; e quello dei giovani autori che scopro in giro per la rete o su rivista, come è stato il caso di Iacopo Barison, che scovai addirittura su MySpace, diversi anni fa, e che da lì ho sempre seguito.

Quali autori consiglieresti di leggere a chi vuole scrivere? Quali sono stati gli scrittori di riferimento nella tua formazione letteraria?

Ho sempre letto molto, ma da quando ho deciso di fare questo mestiere ho letto così tanti romanzi da rendere difficile fare elenchi o tracciare genealogie senza commettere ingiustizie. Forse il mio scaffale aNobii può dare un’idea, anche se è decisamente incompleto, anzi è più una specie di minuscola campionatura, fatta anche secondo parametri puramente affettivi.
Di certo a chi vuole scrivere consiglio anzitutto di leggere tanto: una dieta solida e variata di classici, senza dimenticare di inserire qualche grande romanzo contemporaneo, e saltuariamente anche qualcosa di recentissimo e non necessariamente grande, dato che per capire dove sta andando la letteratura occorre anche seguire i propri contemporanei.
Le mie basi profonde stanno per lo più nel romanzo francese e russo del diciannovesimo secolo e nella poesia inglese dello stesso periodo, ma negli ultimi anni ho lavorato molto anche sulla letteratura americana e italiana, e sulla poesia tedesca e francese, del Novecento. Sono solo all’inizio.

Quest’anno le candidature al Premio Strega sono state numerose e assai variegate. A parte la tua personale previsione (se vuoi) sul vincitore,  ha ancora senso parlare di Premi letterari in questi tempi di self-publishing e libri digitali?

Credo che abbia certamente senso parlare di premi letterari se servono a orientare il lettore e (azzardo) il “canone”. Purtroppo negli ultimi anni i premi – i pochi, o meglio i due, che ancora hanno effetti sulle vendite – sono stati sfruttati dalle case editrici come “acceleratori commerciali”, il che ha svilito tale funzione, ma prima di sputare sui premi a priori bisogna tener conto di quanto ci sia in realtà voglia e richiesta di orientamento. Il punto è magari trovare il modo di rendere più votato alla qualità il processo selettivo. Magari noi, che non facciamo altro che seguire il campo letterario, non lo vediamo, ma molti lettori sono abbastanza disorientati: ho amici, e parlo di lettori forti, che vengono spesso a chiedere cosa comprare, specie sulla contemporanea, perché in un contesto in cui le collane principali di molti grandi editori possono includere di tutto, dal trash alla letteratura più alta, in cui le uscite si moltiplicano e la loro durata si riduce, chi non dedica davvero il grosso del suo tempo a seguire la scena può trovare difficoltà a scegliere “a buio” o anche solo a “vedere” le uscite buone nel delirio di nuovi libri che si accavallano l’uno sull’altro prima di finire anzitempo nelle tenebre. Ben vengano dunque i premi, a patto di saper mettere anche in discussione le loro modalità di selezione, e ben vengano nuovi esperimenti in questo senso, penso ad esempio al premio Dedalus-Pordenonelegge che, sia pur con diversi limiti strutturali e un regolamento che, nel suo continuo mutare, aveva portato molti giurati alla disaffezione, proponeva ai lettori delle classifiche assai più interessanti e rappresentative del “buono” letterario di quelle di vendita, o delle cinquine dei premi più noti. Tra l’altro il bisogno di orientamento rimane e diventa anzi ancor più disperato nell’era del self-publishing, il cui problema centrale, ancor più che per l’editoria tradizionale, è proprio la selezione: in un oceano di testi che non hanno neanche passato il vaglio della selezione editoriale (vaglio che, pur nei limiti impliciti al fatto che l’editoria è anche commercio, rimane ancora piuttosto valido), come può il lettore “beccare” quello buono, o almeno decente? Credo che questo sia il vero nodo interno all’intera questione del self-publishing, ma il paradosso è che la risposta altro non è che tutta una serie di filtri, processi produttivi, di identificazione, categorizzazione, riconoscimento e comunicazione che prende oggi il nome di “editoria”: non credo sia del  resto un caso che i principali concorsi legati al mondo del self-publishing mettono in palio non servizi o vantaggi in tale ambito, ma la pubblicazione con editori tradizionali di buona reputazione.

Un’ultima curiosità: quali libri ci sono in questo momento sul tuo comodino?

La pelle di Curzio Malaparte, Gli imperdonabili di Cristina Campo, Middlemarch di George Eliot (in rilettura), Beloved di Toni Morrison, Underworld di Don DeLillo, la nuova edizione dei Romanzi di Luigi di Ruscio, Da cosa nasce cosa di Bruno Munari, Mumin e la cometa di Tove Jansson, Tulips & Chimneys di E.E. Cummings. E spero che arrivi presto il corriere così che possa aggiungere le copie fresche di stampa di Dettato e Stalin+Bianca (che in libreria arriveranno il 15 maggio).


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