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Le interviste di Via dei Serpenti: Giulia Bozzola

Creato il 10 ottobre 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Giula Bozzola, insegnante di liceo che ha esordito con il romanzo Una classe difficile (qui la nostra recensione).

Intervista di Luisa Badolato

Quando e perché ha iniziato il suo percorso di scrittrice?
Il mio primo libro l’ho scritto nella soffitta della vecchia casa della mia infanzia, facendo compagnia a mio padre che stava lavorando a un testo di economia. Avevo cinque anni, e lui mi aveva concesso di stare lassù a patto che mi trovassi qualcosa da fare, e non lo disturbassi. Ciò che facciamo d’importante da bambini ci resta addosso in maniera indelebile.

La sua professione d’insegnante ha influenzato la scelta di scrivere Una classe difficile?
Si può parlare solo di ciò che si conosce, e la scuola è stata quasi un inizio ovvio, per me. Prima di mettermi a scrivere Una classe difficile ero convinta che solo chi aveva fatto una vita varia ed avventurosa, vivendo in luoghi diversi da quello nel quale abito io, che mi è sempre sembrato banale e privo d’attrattiva, avessero delle cose interessanti da dire. Forse non è così.

Il “rimorso di Staligial” di cui parla nel romanzo, è un’esperienza autobiografica?
Ho sempre sofferto molto per gli abbandoni, delle persone e dei luoghi. Qui in Friuli, poi, terra di forte emigrazione, dove le case e la terra assumono una fisionomia quasi umana, il legame diventa fortissimo, andarsene diventa una forma di tradimento e una sofferenza. Il “rimorso di Staligial” lo abbiamo dentro un po’ tutti, credo.

Nel suo romanzo non si fa mai riferimento a ciò che gli alunni imparano a scuola, piuttosto a quello che gli adulti imparano dai ragazzi, dai luoghi, dagli anni che passano. È solo una scelta tematica particolare o rispecchia una sua convinzione sulle lezioni che la scuola può ancora impartire?
Parlare di ciò che gli alunni imparano o non imparano a scuola avrebbe portato il romanzo sul piano del trattato di sociologia, e ovviamente questo non m’interessava. Il Una classe difficile la scuola è un punto fisico al quale convengono, obbligati, i personaggi. Lì s’incontrano ed interagiscono, si osservano, comunicano, siano essi i ragazzi oppure gli adulti, ed il tema certamente non è la scuola in quanto tale, se vale, se non vale, se va cambiata o meno, ma l’anima dei personaggi e di tutti noi.  

L’aderire perfetto del suo stile al mistero dei luoghi e alla trama struggente ma non drammatica, è frutto di una ricerca pensata in questi termini?  Quali sono i suoi obiettivi stilistici?
Non ho mai sopportato i fronzoli, mi piacciono le linee pulite, i contorni netti. E così vorrei fosse la mia prosa: nitida, senza aggettivi superflui, con periodi brevi ed essenziali. L’ambientazione, poi, ha la sua parte. Il paesaggio del Friuli è fatto di sassi, di poca terra, di montagne aspre. Ci vuole uno stile adeguato, che batta col ritmo della pioggia e delle raffiche della Bora.  

All’interno della collana Le strade di Fazi editore, ci sono romanzi che le suggeriscono una certa familiarità con Una classe difficile? Sotto quale aspetto?
A dire l’onesta verità, tutti gli altri romanzi della collana mi paiono scritti da scrittori fatti e finiti, e a loro paragone io mi sento ancora come l’escursionista della domenica che guardi ad un Walter Bonatti. Però, provo una forte empatia con la scrittura di Elizabeth Strout, mi piace molto il suo modo di descrivere i personaggi, i luoghi.  

Il grigio della copertina è lo stesso colore con cui definirebbe il suo romanzo, se è possibile definirlo?
Grigio?! Non direi proprio. Beninteso, a me la copertina piace molto, ma credo che Una classe difficile non sia un romanzo “neutro”, “tiepido”, “incolore”. È un romanzo che forse contiene troppe cose, e a persone diverse suggerisce interpretazioni anche molto differenti.   

In questa storia l’amore ha un tono smorzato, è quasi un non detto. Voleva evitare un cliché o ci sono altre motivazioni più profonde?
Intanto credo che l’amore sia una cosa talmente intima da meritare dei sottovoce. In Una classe difficile esso si mescola poi con l’amicizia, ne è un tutt’uno, e viene declinato nelle sue sfumature meno tangibili non tanto per evitare un cliché, ma perché nella realtà esso spesso si presenta in forme non canoniche e non dette, che meritano di essere raccontate. 

Ha già in mente un nuovo romanzo? Potrebbe fornirci qualche anticipazione?
Il secondo romanzo è sulla scrivania del mio studio, quasi nella sua stesura definitiva. L’ho scritto con grande fatica perché, non essendo una scrittrice di professione, devo ritagliarmi il tempo tra il lavoro, la famiglia e le lavatrici, e non è facile. Sarà molto diverso da Una classe difficile. Posso dire che non parlerà più di scuola, adesso sono abbastanza grande, posso uscire da quell’incubatrice e parlare d’altro.

Che cosa pensa dei numerosi film sulla scuola che si susseguono ultimamente, ad esempio dell’ultimo uscito, se l’ha visto, Il rosso e il blu di Giuseppe Piccioni? Ricorda un altro film, o un libro sull’argomento, che le sia piaciuto?
La scuola non lascia indifferenti, suscita sempre interesse. È un argomento che non può, di per sé, essere neutro e, diciamolo, “vende” sempre bene. Il film Il rosso e il blu sembra promettere di uscire dai soliti cliché (il professore trascinatore, i ragazzi bulli o ignoranti che magicamente si trasformano), ma cede alla tentazione di dover per forza far succedere qualcosa di anche minimamente buono, alla fine. È un peccato veniale: chi non vorrebbe un “lieto fine” per la scuola, cioè per noi stessi?

Quali sono i suoi riferimenti letterari? 
Le mie prime letture importanti sono state quelle di Jack London, Hemingway, Conrad, Faulkner. Tra gli italiani mi sono sempre piaciuti Buzzati, Morselli, Pavese, Rigoni Stern.

Che cosa sta leggendo ora e che cosa le piacerebbe leggere?
Sto leggendo Coral Glynn, di Peter Cameron. Mi piacerebbe sempre leggere un romanzo del quale, arrivata alla fine, possa dire: peccato, un’altra cinquantina di pagine me le sarei lette!  


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