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Le “Leggi di movimento” secondo Sylos Labini

Creato il 02 maggio 2015 da Zeroconsensus

 

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di Paolo Sylos Labini (*)

Tanto Ricardo quanto Marx ritengono che nel lungo periodo i profitti tendono a flettere e che l’economia capitalistica tende a generare disoccupazione; ma interpretano queste tendenze in modo molto diverso. Cominciamo con la tendenza dei profitti a flettere. Ricardo attribuisce quella tendenza ai rendimenti decrescenti della terra; per Marx, come ricorderò fra breve, essa dipende dall’aumento nella composizione organica del capitale. L’affinità fra Ricardo e Marx, dunque, non riguarda le cause, ma le conseguenze della tendenza dei profitti a flettere: freno – addirittura arresto – nel processo di accumulazione. (La posizione di Smith, che considera quella tendenza in termini molto generali, è profondamente diversa sia nell’individuazione delle cause che nella valutazione delle conseguenze.)

Quanto alla disoccupazione, Ricardo è il primo economista a considerare quella che oggi viene chiamata <<disoccupazione tecnologica>> (la considera, anzi, solo in un capitolo aggiunto alla terza edizione dei suoi Principi) Marx accoglie la tesi di Ricardo, con emendamenti non essenziali, e la sviluppa, tanto con riferimento al breve periodo, ossia al ciclo, quanto con riferimento al lungo periodo, ossia al processo di accumulazione, il quale avrebbe portato una ricchezza crescente per i borghesi ed una miseria crescente per i proletari – gli operai salariati. Nell’analisi che segue tratterò questi due problemi – fluttuazioni cicliche e miseria crescente; ma cercherò d’inquadrare questo esame in un contesto più ampio, che riguarda il significato di quelle che Marx chiamava «leggi di movimento» dell’economia capitalistica. La comprensione di tali leggi aveva, per Marx, importanza essenziale, giacché essa avrebbe consentito previsioni, sia pure non rigidamente predeterminate; a loro volta, siffatte previsioni avrebbero consentito alla classe rivoluzionaria per eccellenza, il proletariato, di elaborare una strategia volta a cambiare radicalmente la società. Era appunto questa I’impostazione che avrebbe contrassegnato il «socialismo scientifico», differenziandolo dal «socialismo utopistico»: il primo si fonderebbe su una strategia emergente da una sistematica analisi critica delle tendenze di fondo dell’economia; il secondo, invece, consisterebbe in progetti formulati a tavolino sulla base di una critica astratta, dettata semplicemente dalla coscienza morale. Si trattava invece di elaborare una strategia rivoluzionaria dopo aver individuato il soggetto storico capace, per la stessa logica del processo di trasformazione sociale, di portarla a compimento.

In certi casi, come nella Prefazione al primo libro del Capitale nel passo che cito qui sotto, Marx parla, al singolare, di una «legge di movimento»; ma come risulta chiaramente da tutta la sua analisi successiva, egli allude a un processo generale di trasformazione, che comprende una molteplicità di processi – di «leggi» – particolari:

Anche quando una società è riuscita a intravvedere la legge di natura del proprio movimento e fine ultimo al quale mira quest’opera è di svelare la legge economica del movimento della società moderna – non può né saltare né eliminare per decreto le fasi naturali dello svolgimento. Ma può abbreviare e attenuare le doglie del parto.

Le previsioni ricavabili dalle leggi di movimento non hanno e non possono avere natura deterministica perché si tratta di «leggi assolute» o tendenziali: la loro azione, avverte Marx, viene modificata da molteplici circostanze (Capitale, libro I, cap. XXIII, 4). Questa avvertenza, tuttavia, non può cancellare o addirittura rovesciare le aspettative ‘implicite in quelle «leggi»: se una data tendenza risulta più che compensata da contro-tendenze, ciò significa che queste sono state più forti di quella e meritano più di altre l’attenzione dello studioso. In altre parole, neppure i discesoli più fedeli di Marx possono presentare le previsioni come interminabili a proprio arbitrio, adattandole ai fatti: il confronto fra teorie e fatti, pur con Be necessarie qualificazioni, è significativo. dunque, è importante, anzi essenziale, valutare le «leggi di movimento» e le relative previsioni alla luce dell’andamento reale delle economie capitalistiche: senza queste «leggi», quello di Marx non è più distinguibile da uno dei tanti progetti dei socialisti utopisti.

Ciò premesso, mi propongo di attirare l’attenzione del lettore su cinque grandi previsioni di Marx: la previsione riguardante la tendenza dei salari, quella riguardante la sistematica espansione del proletariato e la flessione dei ceti intermedi tradizionali, quella relativa alla caduta tendenziale dei profitti e alla crisi generale del capitalismo, la previsione della progressiva concentrazione delle attività produttive e, infine, la tesi che il processo dell’accumulazione  capitalistica avrebbe avuto. anche nel futuro. carattere ciclico. Dico che le prime tre previsioni sono risultate chiaramente erronee (1) mentre le ultime due appaiono sostanzialmente corrette.

Pur tenendo conto che la distinzione tra analisi politica e analisi economica è essenzialmente formale, non sembra fuori luogo affermare che le prime tre previsioni – quelle che considero erronee – sono rilevanti soprattutto per il politico, mentre le ultime due interessano in modo preminente l’economista.

 

(1) La crisi economica deflagrata nel 2008 pone in dubbio, a umile parere di zeroconsensus, l’affermazione di Paolo Sylos Labini.

 

(*) Paolo Sylos Labini, Le forze dello sviluppo e del declino, Bari 1984

 



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