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È difficile recensire un'autobiografia. Si ha come l'impressione che qualsiasi parola, pensiero od osservazione, non possa rendere veramente giustizia non soltanto al libro, ma alla vita che vi sta dietro. Soprattutto quando la vita in questione è quella di un personaggio di importanza fondamentale, una Donna con la “D” maiuscola, non direttamente connessa alla mia vita piuttosto che alla vostra ma corresponsabile della nostra libertà attuale, del nostro stile di vita ed anche del modo di pensare di molte di noi. Perché lei ha combattuto sul fronte partigiano, perché lei credeva in un ideale talmente alto da non poter essere oscurato, perché lei era una donna e questo non le ha mai impedito di fare qualsiasi cosa le passasse per la mente. È difficile recensire un libro quando ti rendi conto che, dalle sue pagine, traspare non soltanto un modello ma un vero e proprio mito: si crea imbarazzo, profonda insicurezza, forse anche un pò di timore. Così cercherò di parlare di Portrait con umiltà e profondo rispetto, cercando di mostrarvi tutto quello che ho provato leggendolo, portandovi le mie riflessioni e le mie considerazioni.
Credo che mai come in questo periodo storico si senta la mancanza, non soltanto di un ideale verso cui tendere ma, soprattutto, di un modello costruttivo e positivo. Un modello non è un capobranco da imitare ciecamente, un cane-guida per ciechi e nemmeno una forma vuota a cui adattarsi: un modello è una via, qualcuno che sussurra al tuo orecchio “so dove vuoi andare e so che puoi riuscirci. Io ce l'ho fatta: puoi farcela anche tu”. Nell'epoca degli attori Hollywoodiani, così glamour all'apparenza ma, nella realtà dei fatti, svuotati da una non-vita votata ad eccessi che non portano a nulla se non al deperimento, nell'epoca delle donne oggetto e nell'anno delle farfalle, leggere un libro come Portrait mi ha, non soltanto aperto un mondo, ma donato forza, coraggio ed una terribile voglia di fare, la volontà inarrestabile di seguire la via, quella di una donna come Joyce Lussu, partigiana, madre, moglie, scrittrice, femminista, modello.
Per chi non lo sapesse l'autrice, Joyce Lussu, è una delle donne che, durante il regime fascista, ha rischiato la sua vita per liberare l'Italia. É una di quelle donne che non ha mai riconosciuto il gap “uomo-donna”, gridando al mondo la sua voglia di fare, la sua necessità di essere utile non soltanto al suo paese ma anche a tutti coloro che le stavano vicino, evitando di demandare il suo dovere di essere umano (combattere per i propri ideali) al sesso forte solamente per la paura di perdere tutto, vita inclusa.È una di quelle donne che non accetta di sottomettersi, perché nessuno è superiore a lei, esattamente come lei non lo è nei confronti di nessun altro.Non rinuncia alle proprie vocazioni (la scrittura e la politica) pur dovendo combattere con la figura ingombrante del marito, Emilio Lussu, anzi prende in mano la sua esistenza e si crea una propria carriera collaterale, uno spazio all'interno del quale non esiste nessuna competizione con l'uomo tanto amato, spazio che le permetterà di portare in Italia uno (tra i tanti) dei poeti che più amo, Nazim Hikmet.
Le sue parole mi hanno commosso, la sua vita mi ha galvanizzato, il suo mondo mi ha attratto talmente tanto da sentirmi incompleta una volta terminato questo libro, Portrait.
Cosa ho colto quindi da questo libro? Quello di cui avevo bisogno, credo. La forza di andare avanti, sempre, con coraggio e con l'orecchio attento a percepire la volontà della propria anima.
Un libro da leggere, rileggere e leggere ancora. Un modello, finalmente, vero e positivo, una via da seguire, spessore.
Lo consiglio a tutti.
Voto: posso assegnare un centinaio di mele?
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