Le letture di Emy - Recensione: “Cockeyed” di Ryan Knighton
Creato il 10 settembre 2012 da Lafenice
“Cockeyed”
è un romanzo di memorie scritto da Ryan Knighton e pubblicato da Edizioni San Paolo.
L’autore canadese ci narra - senza autocommiserazione e con
toni lievi e sottilmente ironici - episodi della sua vita segnati dalla
progressiva perdita della vista causata dalla retinite pigmentosa, una malattia
degenerativa della retina che provoca dei fori nel suo campo visivo.
L’immagine
di copertina è piuttosto esplicita sul contenuto del libro, ma anche il
particolare sottotitolo - con la doppia traduzione del titolo - rappresenta
bene l’argomento trattato, infatti, lo
strabismo costituisce il punto d'inizio della
malattia, la quale porterà l’autore a vivere situazioni talvolta ridicole e al
limite dell’assurdo.
All’inizio
del romanzo incontriamo Ryan
quando è ancora un ragazzino che
porta occhiali con lenti a fondo di bottiglia e vive a Vancouver con la sua
famiglia, alla quale è molto legato. Lo vediamo alle prese con i suoi primi
lavori estivi, svolti in maniera goffa e inefficiente, e con i suoi piccoli e
inspiegabili incidenti d’auto, di cui comprende la causa non appena appresa la
diagnosi del medico.
L’inevitabile
perdita della visione notturna non lo turba quanto dovrebbe e diviene il
pretesto per soddisfare il suo desiderio d’indipendenza.
“A chi frega, pensai. Di certo non a
me, non all’epoca. Non con quel festival di ormoni nel mio corpo di
diciannovenne. Sentivo di avere preoccupazioni più urgenti de mio vociferato
futuro da cieco. Andarmene a vivere da solo, per esempio, non sarebbe stato
male.”
Così
si trasferisce vicino all’università locale, in un appartamento che condivide
con Jane, studentessa sorda con cui ha in comune
l'intolleranza
per il proprio problema fisico.
“Eravamo la Strana Coppia, e la cosa
ci giovò. Convivere con l’invalidità dell’altro era una sorta di mal comune e
mezzo gaudio.”
Ryan
sottolinea il suo rifiuto per la malattia nascondendola al resto del mondo e avventurandosi
per i locali notturni di Vancouver dove spopola il punk rock,
ma presto è costretto a riconoscere i suoi limiti e a rassegnarsi a utilizzare
un bastone bianco per ciechi, che prima rifiutava per una forma di orgoglio. L’uso
del bastone cambia la sua concezione del tempo e dello spazio, poiché lo porta
a concentrarsi sul presente percorrendo gli spazi un passo alla volta, senza
fretta. Impara a spostarsi memorizzando le distanze tra casa sua e i luoghi che
frequenta e ciò che si trova lungo quei percorsi. Viaggiare e frequentare posti
nuovi diviene una vera e propria (dis)avventura
perché in quel caso non può contare sulla sua memoria o sulla sua ridottissima
visione a cannocchiale.
“Quando mi allontano dal luogo in cui
vivo il mio mondo non diventa più grande. Diventa spaventosamente piccolo.”
La
cecità causa a Ryan vari momenti d’imbarazzo, specialmente quando è costretto a
chiedere aiuto per raggiungere i bagni pubblici o quando le persone pensano che
lui le stia fissando (situazione che a volte lo porta a nascondere la sua
malattia), e influenza inevitabilmente le sue relazioni sociali e il suo
lavoro.
Con
la dolorosa perdita di un familiare, Ryan arriva ad una nuova presa di coscienza:
“[…] la sua morte mi obbligò a lasciar spazio
a un mondo che non ruotava attorno alla mia cecità. Sento tutti i giorni la
mancanza delle cose, ma che cosa sono? Lo dice la parola. Cose. […] Certo, io
le cose non le vedo, ma fu alla morte di Rory che, per la prima volta, mi venne
davvero a mancare qualcosa. Pensavo di sapere cosa fosse la perdita, e invece
cosa ne sapevo? Poco.”
Ma è
la vicinanza della donna che ama (Tracy) a sostenerlo e a renderlo più
forte. La loro situazione comporta rinunce e cambiamenti, ma niente che non riescano
a superare insieme.
“Sono cresciuto con un’altra persona
che è l’estensione del mio corpo e della mia vita attiva. Non parlo in senso
figurato. […] lei vede per me come avrei voluto fare io."
La
nuova esperienza al campeggio per ciechi (la parte più stramba e divertente del
libro) lo arricchisce e, finalmente, gli fa capire che accettare la sua cecità non
significa perdere la sua identità come individuo.
L’autore
impara, così, a convivere con la sua malattia (progredita fino al 99%), e,
nonostante essa sconvolga tutti gli aspetti della sua vita e il modo di
percepire il mondo che lo circonda, affronta ogni situazione, anche
l’inevitabile, senza più tirarsi indietro.
“Cockeyed”
è un romanzo piacevole e diverso dal solito, che alterna situazioni condite di umorismo,
momenti bui e commoventi e fasi profonde e riflessive. Un viaggio attraverso l’esperienza
e le emozioni del protagonista, che “mi ha aperto gli occhi” e mi ha fatto
riflettere su aspetti della cecità che non avevo mai considerato o immaginato.
Consigliato
a chi apprezza le letture introspettive e fuori dall’ordinario.
PS:
l'autore ha scritto un seguito intitolato "C'mon papa", in
cui racconta i primi due anni di paternità.
Voto:
3 mele e mezzo.
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