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Le lotte al cremlino

Creato il 12 ottobre 2015 da Conflittiestrategie

La leadership di Putin in Russia non è in discussione. Nonostante l’Occidente continui a sperare in una caduta della sua popolarità le cose vanno in direzione esattamente opposta. L’indice di gradimento riservato al Capo del Cremlino dai suoi connazionali non è mai stato così alto, nonostante le numerosi crisi politiche ed economiche in cui il Paese è rimasto coinvolto. Dalla faccenda ucraina al crollo del rublo, dalle micro-tensioni negli stati della sua orbita egemonica fino all’intervento in Siria, i dossier sul tavolo di Putin si sono moltiplicati ma il gruppo dirigente ha saputo affrontarli con abilità e risolutezza. La compattezza degli organi di comando di fronte alle difficoltà e la loro capacità di reazione alle problematiche emergenti, spesso ordite da provocatori esterni e da quinte colonne interne, ha spento le velleità dell’opposizione sedicente liberale, la quale ha toccato il punto più basso della sua esistenza, nonostante alcuni episodi che avrebbero potuto favorirla, vedi l’omicidio Nemtsov, avvenuto a due passi dalla residenza ufficiale del Presidente. Oggi in Russia non ci sono persecuzioni verso i dissidenti, né angherie contro partiti e movimenti di opposizione, anche quelli più eccentrici (vedi Pussy Riots), perché tali elementi si sono attirati le antipatie generali a causa delle loro posizioni antipatriottiche e le continue dissacrazioni dell’etica pubblica o della fede ortodossa in costante crescita dopo i divieti dell’era comunista. I cosiddetti antigovernativi si sono fatti fuori da soli e non sarà il riconoscimento ed il sostegno finanziario da parte degli avversari atlantici di Mosca a risollevarli dalle loro sorti di emarginazione. Costoro hanno bruciato un capitale di credibilità politica ed ideologica agendo scopertamente contro il loro paese ed i risultati sono stati devastanti in termini di voti e di feeling con l’opinione pubblica.
Ovviamente, questo quadro rassicurante non mette Putin al riparo dalle lotte intestine ai vari apparati e settori statali che si contendono il potere politico ed economico. Il think tank americano Stratfor ha ricostruito le vicende di questi drappelli e le sfere dalle quali operano i decisori che contribuiscono a sviluppare, in competizione/collaborazione, le strategie dello Stato russo. Nonostante all’esterno appaia una certa omogeneità di scelte e di vedute della leadership russa, Putin si è ritrovato in situazioni abbastanza intricate in cui fare la sintesi tra le differenti vedute non è stato affatto un gioco da ragazzi.
Secondo Stratfor quelli che seguono sarebbero i campi e le personalità predominanti del potere russo (di cui Putin è, per l’appunto, il terminale di sintesi):campi

Nel primo campo operano FSB (servizi segreti) e Chiesa ortodossa. In esso gravitano alcune personalità molto influenti come Igor Sechin ( Chairman di Rosneft); Sergei Naryshkin (Chariman della Duma di Stato); Nikolai Patrushev (Segretario del Consiglio di Sicurezza); Sergei Ivanov (capo dell’amministrazione Presidenziale); Sergei Sobyanin (Sindaco di Mosca). Tutti questi uomini hanno legami con l’intelligence.
Nel secondo campo operano Fso (Protezione e comunicazione presidenziale); GRU( Servizio segreto militare); Mvd (forze dell’ordine e polizia federale). In questo campo agiscono come uomini di rilievo come Ramzan Kadyrov (presidente ceceno); Vladislav Surkov (ex vice capo di Stato Maggiore).
Nel terzo campo: Rostec (impresa di stato del settore della difesa) ed il suo Ceo Sergei Chemezov; Rosoboronexport (gestisce l’import-export militare).
Nel quarto: Le forze armate russe e Sergei Shoigu (ministro della difesa)
Nel quinto: la Commissione investigativa (prima autorità investigativa federale che risponde all’Ufficio del Presidente).
Secondo Stratfor Putin si è trovato più volte alle prese con necessari bilanciamenti di potere all’interno di queste cerchie non sempre allineate sulle posizioni presidenziali. Alcuni eventi, come la guerra civile in Ucraina, hanno fatto traballare l’unità degli intenti tra le parti. Alcuni settori, infatti, ritenevano più efficace un intervento diretto contro Kiev anziché il mero supporto esterno ai miliziani. Altri (minoritari), invece, credevano che sarebbe stato meglio cedere al nemico e lasciar andare il vicino al suo destino. Questa diatriba sarebbe giunta ad un punto critico e qualcuno sarebbe arrivato anche a chiedere la testa di Putin incapace di prendere una decisione immediata.
La famosa sparizione di Putin, nei primi di marzo 2014, sarebbe legata a queste divisioni nei gangli del potere russo. Da questa disputa l’FSB sarebbe uscito nuovamente vincitore, grazie alle mosse di Putin e del suo entourage, che hanno posizionato dei fedelissimi nei posti chiave, ridimensionando le aspirazioni di alcuni personaggi dell’élite, i quali puntavano ad un cambiamento di strategia per uscire dall’angolo in cui la Russia si era, a loro dire, messa. Per il momento, quest’ultimi, hanno avuto torto e visti i risultati conseguiti da Putin, possiamo dire che è stato meglio così.


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