Chiara Gamberale;
Chiara Gamberale è nata nel 1977 a Roma, dove vive. Ha scritto “Una Vita Sottile”, “Color Lucciola”, “Arrivano I Pagliacci”, La ZOna Cieca” e “una Passione Sinistra”. è ideatrice e conduttrice di programmi radiofonici e televisivi come “Gap”, “Quarto piano scala a destra” e “Trovati un Bravo Ragazzo”. Dal 2010 è in onda su Radio2 con “Io Chiara e l’Oscuro. Collabora con “La Stampa”, “Il Riformista” e “Vanity Fair”.
Sito : iochiaraeloscuro.blog.rai.it/chiara/
Titolo: Le Luci Nelle Case Degli Altri
Autore: Chiara Gamberale
Edito da: Mondadori
Prezzo: 20,00
Genere: Narrativa
Pagine: 392 p.
Voto:
Trama: Mandorla è la bambina felice di una ragazza madre piena di fantasia. Maria, la mamma, lavora come amministratrice d’immobili e ha lo speciale dono di trasformare ogni riunione condominiale in toccanti sedute di terapia di gruppo… Quando un tristissimo giorno Maria muore cadendo dal motorino, i condomini di via Grotta Perfetta 315, quelli che più le volevano bene, scoprono da una lettera che proprio nel loro stabile la piccola Mandorla è stata concepita… ma su chi sia il padre, la lettera tace. Proprio perché con tutti Maria sapeva instaurare un legame intenso, nessun uomo tra i condomini si sente sollevato agli occhi degli altri dal sospetto di essere il padre di Mandorla. È così che verrà presa la decisione di non fare il test del DNA su Mandorla, e stabiliscono di crescere la bambina tutti assieme. È questo il fatale presupposto di una commedia umana che, con l’alibi del paradosso, in realtà ci chiama in causa tutti. E mentre, di piano in piano, Mandorla cresce, s’innamora, cerca suo padre e se stessa, ci si avventura con lei verso rivelazioni luminose e rivelazioni scomode, si assiste a nuove unioni e a separazioni necessarie. L’autrice costruisce attorno al cuore pulsante della sua protagonista un romanzo corale dove i grandi archetipi si mescolano agli struggimenti contemporanei, la verità e la menzogna cambiano continuamente di segno per dare vita a una voce fresca e profonda, che condurrà, fiduciosa soprattutto dei suoi dubbi, verso un finale sorprendente.
Recensione:
Recensione di TheLunaticGirl (Serena Betti)
“Le telefonate che si ricevono a quest’ora, pensava Tina trascinandosi dalla cucina al salotto per rispondere, si dividono sempre in due categorie. Ci sono quelle che al momento di andare a dormire avrai dimenticato e quelle che invece ti torneranno in mente: a loro volta le seconde si dividono fra quelle che ti concilieranno il sonno e quelle che ti impediranno di prenderlo.”
La telefonata che quel giorno Tina Polidori ricevette, faceva parte di quest’ultima categoria. Quella telefonata, fatta da un poliziotto per avvisare della morte di Maria, l’amministratrice condominiale amata che aveva cambiato la vita di tutti gli abitanti di Via Grotta Perfetta 315, stravolgerà come un tornano la vita dei residenti.
“Vorrei che tuo papà fosse un astronauta che cammina sulla luna e pensa sempre a noi, e non un uomo come tanti che abita a via Grotta Perfetta 315 e una sera di marzo, forse per noia, forse per curiosità, nell’ex lavatoio del sesto piano, ha fatto l’amore con me.”
Scrive Maria nella lettera indirizzata a Mandorla, ma che finisce nelle mani dei condomini, gettando il panico. Nessuno vuole destabilizzare il proprio equilibrio, nessuna donna vuole scoprire se il proprio uomo le ha tradite per una donna così bella e carismatica come Maria. Preferiscono vivere nell’ignoranza, camminare su una corda in bilico piuttosto che affrontare la verità. Così la piccola Mandorla, adottata legalmente dalla signora Tina, diventa la figlia di tutti, sballottolata da un piano all’altro, vivendo per un determinato periodo di tempo, da tutti i condomini.
“Non mi consolerà mai di non essere una cosa. Me ne sarebbe andata bene una qualsiasi: davvero. Ferro da stiro, mouse del computer, aspirapolvere, porta, piatto, bidone dell’immondizia. Se per esempio adesso fossi una cosa programmata per raccontare-come-sono-andate-le-cose-a-Pavarotti, funzionerei, se funzionassi, e non funzionerei, se mi fossi rotta o avessi le pile scariche. AL massimo ogni tanto basterebbe portarmii a riparare. è che non c’è un posto dove si possa portare a riparare l’infanzia. Tanto più se ti è capitato di averne cinque.”
Mandorla è convinta che suo padre sia un astronauta, ha paura di Porcomondo, responsabile di tutti i mali, è troppo grande per stare bene con quelli della sua età, ma troppo piccola per gli adulti che la circondando.
Mandorla ama gli oggetti, ama le “le luci nelle case degli altri”, che hanno il potere di raccontare storie più stabile della sua; ama così tanto gli oggetti che prega sempre di poter trasformarmi in uno di loro, e nel cercare di essere qualcosa che non è, cerca se stessa.
Mandorla è un’equilibrista: continua a portare un piedi di fronte all’altro sapendo che potrebbe cadere in qualsiasi momento, che sotto di lei c’è una corda e poi il vuoto. Un buco che diventa sempre più grande nel corso degli anni, e che crescerà a dismisura con la scoperta della lettera della madre. Il suo nuovo pensiero fisso sarà “Chi è mio padre?” e allora guarderà le sue cinque famiglie con occhi diversi, ricercando somiglianze e differenze che le possano far capire la verità, senza chiederla apertamente.
Mandorla, ragazzina tra adulti più infantili di lei, è intelligente e con occhio acuto riesce ad entrare dentro alle persone che la circondano, per trarne l’essenza.
Chiara Gamberale ci regala una protagonista piena di sfaccettature. Reale. La scrittrice è riuscita ad entrare nell’animo di un personaggio così complesso, sviscerandolo e rendendolo comprensibile e vicino ad ogni lettore. Questo lavoro di analisi e caratterizzazione, non si limita al personaggio di Mandorla, ma investe con attenzione, tutti i condomini, creando un insieme di figure così diverse tra loro, ma sempre fedeli a se stessi e uniti dal destino della ragazza.
Al primo piano troviamo Tina Polidori. Abbandonata da tutti, tranne dalla madre che la riprovera di essere la causa di tutte le sue tragedie e da un suo ex alunno, Tina ha bisogno di punti stabili a cui appoggiarsi: ogni giorno compra 16 tortellini che cucina al mattino, divide tutto ciò che la circonda in due categorie e, se “gli esseri umani possono dividersi tra quelli che si sentono in diritto di esistere e quelli che si sentono in dovere di farlo, lei sicuramente era fra questi ultimi”.
L’avvocatessa Caterina, insieme al figlio Lars e al marito Samuele Grò vivono al secondo piano. Samuele è un nullafacente ex regista, convinto che il film Pretty Woman gli sia stato copiato, è ossessionato dal successo altrui: considera Lorenzo Ferri un suo avversario, odia Gabriele Muccino e crede che presto anche lui riuscirà ad arrivare al successo che merita. Caterina, invece, lavora, bada alla casa e si prende cura del marito, convinta che proprio o poi metterà la testa a posto e riuscirà a realizzare qualcosa.
Al terzo piano vive Michelangelo, fannullone menefreghista che, per motivi a lui ignoti, finisce sempre per attirare persone a cui, invece, le persone, le cose, le situazioni, stanno a cuore. Per questo motivo abita insieme a Paolo, gioielliere romantico, desidesideroso di donare e ricevere amore.
Il quarto piano è abitato da una delle coppie più assurde, ma allo stesso tempo più stabili: Lidia Frezzani e lo scrittore Lorenzo Ferri. La vaghezza e la tranquillità di Ferri cozza inevitabilmente con il bisogno di emozioni forti e il tentativo di controllare le cose di Lidia, ma per qualche strano motivo, i due funzionano insieme. Litigano, sbraitano ma a volte arrabbiarsi è un scusa necessaria per poter poi far pace, per sentirsi vivi. “è una cosa faticosa fare pace. Bisogna averci il fisico“. Ma allora perchè litigare? In nome di cosa? Perchè “hai presente quando vai dal medico e quello ti tasta e ti chiede fa male qui? E all’improvviso tu gli dici si? é successa una cosa importante: quel medico ha scoperto dov’è che ti fa male. Lorenzo- senza assolutamente volerlo, per carità- l’ha fatto. Sei grato per tutta la vita a chi ci riesce. E l’infinito di quella gratitudine va a finire che lo chiami amore”.
Il quinto piano è invece abitato dalla famiglia Barilla che, così com’è lontana da terra per la sua posizione all’interno del palazzo, così era distante agli occhi di Mandorla e di altri condomini, dagli altri esseri umani. Il capofamiglia è Cesare, ingegniere brillante e che, dalla povertà di un paese di poco più di 1000 anime, era riuscito a diventare ricchissimo e ad essere un nome importante in tutta Roma. La moglie, sempre pronta ad appoggiare il marito, per Mandorla è l’emblema perfetta “del prototipo di madre”, irragiungibile. Seguono poi Giulia e Matteo, primo ed unico amore dell’orfana.
La Gamberale ci ha regalato uno spaccato dell’Italia, in cui realtà così diverse vengono a convergere. Tutti noi ci possiamo ritrovare in almeno uno di questi personaggi, o possiamo vedere in loro il nostro vicino scontroso, l’amico perennemente tra le nuvole, il cattivo ragazzo di cui ci siamo innamorate da piccole, l’uomo perfetto che abbiamo preso a modello di riferimento ecc…
Il libro vuole insegnare che ogni persona che incrocia il nostro cammino ci modifica: ogni interazione è un dare e un ricevere allo stesso tempo, a prescindere dal fatto che questo contatto avvenga tra due adulti, due bambini o un adulto e un ragazzino. Mandorla cresce, ma con lei crescono anche tutti i membri della altre cinque famiglie. Come la madre, la piccola è riuscita a portare un vento nuovo, che odora di cambiamento.
Senza paura, con saggezza e disarmante ironica, la Gamberale tocca tutti gli argomenti che ognuno di noi deve affontare nel corso della vita: dall’amore di coppia, al rapporto uomo-donna (“Gli uomini rimangono incantati quando allo zoo vedono per la prima volta una giraffa: ma poi a casa preferiscono tenere un cagnolino”); ai meccanismi più intimi delle persone (“Credo che il desiderio di chiedere aiuto non debbe mica per forza avere a che fare con la speranza di riceverlo davvero“); al matrimonio (“Certe persone quando si fidanzano diventano una testa sola, un cuore solo: si chiama comunione dei beni”).
Il libro fruga nei sentimenti della gente e lo fa dalla prospettiva innocente di una ragazzina, a cui tutto è permesso. I suoi occhi ingenui le permettono di entrare con semplicità anche nelle questioni che agli adulti appaiono così intricate. Per questo motivo di fronte alla questione del gay pride, per esempio, può dire:
< Che vuol dire “pride” > < Vuol dire orgolio. Andiamo a manifestare il nostro orgoglio di essere diversi.La nostra felicità.> <Ma se siamo così felici che ci importa di farlo sapere a tutti?Tina dice che quando le cose ti vanno bene porta sfortuna dirlo in giro. >
La semplicità è la chiave del romanzo che si ripercuote anche nello stile non complesso e senza fronzoli della scrittrice.
“Le Luci nelle Case Degli Altri” è un libro che senza voler parlare direttamente d’ amore, ne parla in ogni momento, (“Tu la chiami ansia di parole, io lo chiamo bisogno d’amore. Il punto sta proprio nell’ascoltare. e forse solo se qualcuno ci sta a una certa distanza, è in grado di farlo. Se si avvicina troppo, bum. Scoppia qualcosa e per l’esplosione diventiamo sordi”) ti culla e ti permette di essere un po’ bambina e un po’ adulta allo stesso tempo.