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di Gaetano Vallini«Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca». Il grande campione di ciclismo Gino Bartali non aveva dubbi su quali trofei vantare. Quelli conquistati tagliando per primo il traguardo lungo strade polverose senz’altro. Ma forse non era a questi a cui teneva di più. I più cari probabilmente erano quelli che per decenni ha custodito gelosamente nel cuore: le tante persone — uomini, donne, bambini, anziani — salvati grazie anche alla sua coraggiosa opera dalla persecuzione antiebraica dei nazifascisti. Opera di salvataggio raccontata, insieme ad altre analoghe, nel documentario My Italian Secret. The Forgotten Heroes («Il mio segreto italiano. Gli eroi dimenticati») del regista newyorkese Oren Jacoby, presentato ieri, giovedì, al Festival internazionale del film di Roma, nella sezione eventi speciali. «Ero uno studente di cinema a Roma — ricorda il regista — quando ho sentito parlare del rastrellamento nazista degli ebrei del 16 ottobre 1943. Anni dopo, ho conosciuto la storia allora poco nota degli italiani che rischiarono la vita per salvare degli stranieri innocenti dai tedeschi». Quella di Gino Bartali che contrabbandava documenti falsi nascondendoli nel telaio della sua bici girando il centro Italia e supportando così la rete clandestina messa in piedi dall’arcivescovo di Firenze, cardinale Dalla Costa, e dal vescovo di Assisi, monsignor Nicolini. Come pure quella del dottor Giovanni Borromeo, che inventò una malattia, il contagiosissimo e pericolosissimo «morbo K» (K stava per Kesserling e il famigerato Kappler), per spaventare la ss e salvare gli ebrei ricoverati in uno speciale reparto dell’ospedale Fatebenefratelli, all’isola Tiberina, proprio di fronte alla sinagoga. «Ingegnosi atti di coraggio, storie per me irresistibili», sottolinea Jacoby, già candidato all’Oscar nel 2005 per Sister Rose’s Passion, dedicato alla vita di una suora domenicana impegnata a lottare contro l’ideologia antisemita. Il regista è così partito per un viaggio lungo l’Italia per raccontare le vicende di quanti, incuranti del grave pericolo che correvano con le loro famiglie, si prodigarono per mettere in salvo gli ebrei. Storie di eroismo nascosto e mai vantato — perchè semplicemente andava fatto — che videro come protagonisti personaggi noti, gente comune, nonché sacerdoti, monaci e suore, che non esitarono ad aprire case e conventi, persino le clausure se necessario. Ma Jacoby ha scelto di compiere questo viaggio a ritroso nel tempo e sui luoghi in cui quei fatti accaddero portando con sè alcuni dei salvati, raccontando le loro storie e documentando il loro commovente incontro con chi li nascose o con i loro discendenti.Il risultato è toccante ed è apprezzabile che il documentario sia stato proiettato nel giorno di apertura del festival e proprio il 16 ottobre, facendo così da contraltare a un film tedesco presentato ieri. Si tratta di We Are Young, We Are Strong («Noi siamo giovani, noi siamo forti») sulle violenze contro gli immigrati perpetrate nel 1992 a Rostock da gruppi di sbandati, tra cui numerosi neonazisti inneggianti ad Auschwitz. Ricordare, dunque, per non dimenticare, perché i semi dell’odio non sono ancora del tutto distrutti, e non si può abbassare la guardia.
(©L'Osservatore Romano – 2 ottobre 2014)
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