Cornice fiabesca di questi racconti è la notte prima di un'esecuzione capitale in un lontano reclusorio a strapiombo sul mare. Quattro uomini, legati a un fantomatico Padreterno, si favoleggiano il ricordo di felicità, vera o posticcia, che porteranno con sé nel momento della decollazione.Quando ciò avvenga, è mistero avvolto nell'insondabile gioco di rifrazioni tra i continui indizi storici disseminati e gli strepitosi anacronismi che infestano una comprensione piena e immediata. Ma non è per capirci di più, compulsando ancora le pagine di qualche dizionario in disuso, che vale la pena o si sente il bisogno di rileggere, e poi rileggere, Le menzogne della notte: pochi romanzi della recente letteratura italiana godono, come questo, della sincerità di tanto generosi e densi slanci lirici.Ci sono, certo, scrittori artefatti in grado di simulare estatiche e improvvise accensioni dell'animo, né vale la pena di inimicarsi qui qualche lettore per controversie estetiche sui più blasonati nomi dei mass-media. Ma il gusto di plasmare la parola, di renderla saporita invenzione d'un estro fecondo, appartiene a Bufalino come forse a nessun altro. Lo ammetto: ho preferito il leggero e fresco, arioso crepuscolo di Diceria dell'untore, con il suo scanzonato ritmo liberatorio, al boccaccesco e ammiccante mentire di Le menzogne della notte. Ma questo pià celebrato romanzo ha, dalla sua, l'inarrestabile balenio di una narrare sorgivo, un umanissimo senso della misura tra i luminosi fulmini dell'intelletto e i numinosi accessi della carne e dell'anima che inseguo.




