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Le mestruazioni e il senso unico

Creato il 10 maggio 2014 da Abattoir

degasLe mestruazioni sono spesso argomento di battute spiacevoli, discorsi da bar o, addirittura, possono rivelarsi come quel qualcosa che giustificherebbe il cattivo volgersi dei fatti, come se fossero legate a decisioni prese dall’alto, o meglio dal basso, dalla terribile “divinità” degli inferi che ogni mese porterebbe tempesta e recherebbe immensi dispiaceri al povero e supremo genere maschile che non riuscirebbe, a quanto dicono, a sopportare le continue frecciate sul fianco e i cambi d’umore letali delle prime amabili compagne con la farfallina tra le gambe.

Le donne, il genere con la farfallina, tendono a raccontare il primo mestruo come un evento che ha stravolto la loro vita: per alcune da quel momento è stato dolorosissimo e le ha trasformate in Maddalene sanguinanti, per quelle più fortunate il menarca ha solo dato un po’ più di colore alla loro vita e il fastidio di lavarsi più del solito.

Queste ultime non verranno mai considerate delle vere donne dalle prime, perché non hanno conosciuto il vero dolore e la rabbia, mista all’invidia, nei loro confronti sarà incancellabile per i secoli a venire.

Ma l’uomo dove si posiziona?

Il genere dotato di prostata non conosce quel dolore che alcune associano ai problemi di calcoli ai reni. Di conseguenza, privato dall’esperienza sensibile che nulla ha a che fare con la libidinosa polluzione notturna (che può anche recare qualche fastidio ai neo pisellini fecondatori), disconosce tutto ciò che invade quelle teste e quei corpi: fastidi, pruriti, ansie, cali dell’umore, stati simil-depressivi, voglie accecanti, irritabilità. E molto spesso tutto questo e molto altro viene associato alla pazzia: «Sei una pazza, che cazzo ti prende, e alzati dal letto, non ti si può dire niente, vaffanculo!»

In sostanza, l’uomo ha paura. Nessuno gli ha spiegato come gestire qualcosa che non conosce e di cui molto spesso prova orrore. In che senso?

Come di fronte ad una donna partoriente, il generico maschio prova impressione di fronte ad una vulva lontana dalle sue “abitudinarie faccende”: il trombo, il ficco, la scopata, il sesso. Come se fosse incastonata in un concetto fisso ed immutabile, a senso unico, come a volerne negare le altre sue funzioni o disfunzioni.

Non so se si tratta solo di gusti.

Ad esempio, il pene oltre ad essere eretto può anche trovarsi a riposo e non per questo non ricevere degli apprezzamenti. Una cosa non è bella solo da un lato. È più bella nella sua totalità. Significa guardarla in maniera oggettiva lontano dai toni stilnovisti di un Dante qualunque.

Certo, poi l’uomo tende a considerare le disintegrazioni ovaiole come le scene più raccapriccianti di un film splatter mai uscito e di cui non vuole neanche saperne. Ecco, cosa una donna deve anche sopportare, magari in maniera ironica («ironica un cazzo!» direbbe), un compagno schifiltoso e poco comprensivo. Perchè tanto in quel cesso ci sarà un capretto morto. Oh mon Dieu.

Eppure, avvicinarsi a quello per cui le farfalline soffrono può eliminare qualche senso unico. Sì, lo penso. Proprio io che per molto tempo ho trovato gli assorbenti di mia madre e di mia sorella usati in doccia, ma accuratamente accartocciati, e urlavo: «Le dovete buttare queste cose!».

Eppure, ascoltare quel dolore può farti capire molte cose. Puoi provare a sentire e placare quegli spasmi. Puoi capire che si possono accorciare le distanze tra due generi, molto diversi anche nel modo di star male. E che l’unica cosa che puoi fare è non scappare ma starle accanto; che qualche banale (per te stupido, oh uomo-banana) accorgimento può portare un sollievo ad un dolore che la donna con la farfallina proverà per quasi una settimana ogni 28 giorni circa, per una trentina d’anni o giù di lì.

Chissà come faremmo noi, al posto loro.


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