Le mestruazioni sono spesso argomento di battute spiacevoli, discorsi da bar o, addirittura, possono rivelarsi come quel qualcosa che giustificherebbe il cattivo volgersi dei fatti, come se fossero legate a decisioni prese dall’alto, o meglio dal basso, dalla terribile “divinità” degli inferi che ogni mese porterebbe tempesta e recherebbe immensi dispiaceri al povero e supremo genere maschile che non riuscirebbe, a quanto dicono, a sopportare le continue frecciate sul fianco e i cambi d’umore letali delle prime amabili compagne con la farfallina tra le gambe.
Le donne, il genere con la farfallina, tendono a raccontare il primo mestruo come un evento che ha stravolto la loro vita: per alcune da quel momento è stato dolorosissimo e le ha trasformate in Maddalene sanguinanti, per quelle più fortunate il menarca ha solo dato un po’ più di colore alla loro vita e il fastidio di lavarsi più del solito.
Queste ultime non verranno mai considerate delle vere donne dalle prime, perché non hanno conosciuto il vero dolore e la rabbia, mista all’invidia, nei loro confronti sarà incancellabile per i secoli a venire.
Ma l’uomo dove si posiziona?
Il genere dotato di prostata non conosce quel dolore che alcune associano ai problemi di calcoli ai reni. Di conseguenza, privato dall’esperienza sensibile che nulla ha a che fare con la libidinosa polluzione notturna (che può anche recare qualche fastidio ai neo pisellini fecondatori), disconosce tutto ciò che invade quelle teste e quei corpi: fastidi, pruriti, ansie, cali dell’umore, stati simil-depressivi, voglie accecanti, irritabilità. E molto spesso tutto questo e molto altro viene associato alla pazzia: «Sei una pazza, che cazzo ti prende, e alzati dal letto, non ti si può dire niente, vaffanculo!»
In sostanza, l’uomo ha paura. Nessuno gli ha spiegato come gestire qualcosa che non conosce e di cui molto spesso prova orrore. In che senso?
Come di fronte ad una donna partoriente, il generico maschio prova impressione di fronte ad una vulva lontana dalle sue “abitudinarie faccende”: il trombo, il ficco, la scopata, il sesso. Come se fosse incastonata in un concetto fisso ed immutabile, a senso unico, come a volerne negare le altre sue funzioni o disfunzioni.
Non so se si tratta solo di gusti.
Ad esempio, il pene oltre ad essere eretto può anche trovarsi a riposo e non per questo non ricevere degli apprezzamenti. Una cosa non è bella solo da un lato. È più bella nella sua totalità. Significa guardarla in maniera oggettiva lontano dai toni stilnovisti di un Dante qualunque.
Certo, poi l’uomo tende a considerare le disintegrazioni ovaiole come le scene più raccapriccianti di un film splatter mai uscito e di cui non vuole neanche saperne. Ecco, cosa una donna deve anche sopportare, magari in maniera ironica («ironica un cazzo!» direbbe), un compagno schifiltoso e poco comprensivo. Perchè tanto in quel cesso ci sarà un capretto morto. Oh mon Dieu.
Eppure, avvicinarsi a quello per cui le farfalline soffrono può eliminare qualche senso unico. Sì, lo penso. Proprio io che per molto tempo ho trovato gli assorbenti di mia madre e di mia sorella usati in doccia, ma accuratamente accartocciati, e urlavo: «Le dovete buttare queste cose!».
Eppure, ascoltare quel dolore può farti capire molte cose. Puoi provare a sentire e placare quegli spasmi. Puoi capire che si possono accorciare le distanze tra due generi, molto diversi anche nel modo di star male. E che l’unica cosa che puoi fare è non scappare ma starle accanto; che qualche banale (per te stupido, oh uomo-banana) accorgimento può portare un sollievo ad un dolore che la donna con la farfallina proverà per quasi una settimana ogni 28 giorni circa, per una trentina d’anni o giù di lì.
Chissà come faremmo noi, al posto loro.