Le mie calze bucate.

Creato il 21 marzo 2013 da Gianlucaweast @gianlucaweast

(c) 2013 weast productions

Le mie calze bucate sono sempre meglio di una t-shirt bucata. Se ti sparano in un piede, ce la fai. Se ti sparano alla maglietta, quasi sicuro che no. Le mie calze bucate non mi fanno arrossire quando mi tolgo le scarpe e me ne sto seduto per terra a gambe incrociate, fra persone che sono venuto a vedere da lontano. Sono il segno della fatica. E delle poche cose che uno si porta con sé. Le mie calze bucate sono come i cerchi sul tronco di un albero che ne svelano l'età, che non gli daresti mai. Le mie calze bucate sono il contachilometri dei miei piedi, distanze macinate in silenzio. Le mie scarpe bucate valgono più di qualsiasi tessera plastificata con scritto sopra "Stampa": te la fanno strapagare affinché tu abbia il diritto (ufficiale) di dirti giornalista. Che balle infinite... Le mie calze bucate valgono più di ogni accredito. Parlano tutte le lingue del mondo. E sono le benvenute ovunque. Suscitano sorrisi, comprensione, divertimento, domande. Come te lo sei fatto quel buco che sembra uno sbadiglio? Per starvi dietro, ragazzi, incasinati come siete in questa Siria che sto raccontando lentamente, giorno dopo giorno, con qualche immagine. Per strapparla ai luoghi comuni, ma chi ci riesce? Le mie calze bucate mi sono valse altre due calze non bucate. Bianche, di cotone. Me le ha date una ragazza siriana, fuggita dalle bombe con tre sacchi di plastica: dentro aveva tutto quello che restava della sua vita. Okay, la ragazza ha preso le calze, le ha tirate per la lunghezza (ho il 44 e mezzo....) e me le ha date. Profugo, anch'io, fra i profughi. Non gliel'ho detto. Ma, in quel momento, ho capito che è così: nessuno mi crederebbe se gli dicessi che sono un profugo svizzero. Quindi non lo dico a nessuno. Mi limito a pensarlo. E a rivendicarlo, con le mie calze bucate.

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