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Le mie recensioni: "rush" di ron howard, ovvero la storia di niki lauda e james hunt
Creato il 14 ottobre 2013 da CarlocaLa Formula 1 è senz'altro il più "cinematografico" degli sport. Sarà perché è una partita giocata costantemente sul filo del rischio, un rischio autentico, con i suoi interpreti impegnati ad ogni centimetro di pista in un duello con la morte o con l'invalidità permanente (certamente più in passato che al giorno d'oggi, ma permane comunque un cospicuo margine di pericolo). Il fascino perverso della sfida alla "grande falciatrice" racchiude in sé molto di romanzesco, quasi di "epico", tanto da poter dire che i piloti dei bolidi, o quantomeno alcuni di essi, abbiano addosso le stimmate dei perfetti eroi "di celluloide". Ecco perché "Rush" si può considerare un film riuscito. Non era scontato, nonostante la mano ferma di Ron Howard in regia e l'indubbio interesse del soggetto: perché sempre di film "sportivo" si tratta, e trasferire sul grande schermo storie vere di sport è sempre stata un'impresa difficile, spesso miseramente naufragata. VITE... DA FILM - "Rush" invece funziona, per i motivi detti in apertura e perché i protagonisti della vicenda narrata hanno avuto davvero una vita densa di drammi, colpi di scena, imprese leggendarie e tragedie, un intreccio di avventure talmente cinematografico e letterario che sembra esser stato partorito dalla fervida fantasia di uno scrittore o di uno sceneggiatore. Tutto incredibilmente vero, invece, nell'incrocio delle parabole professionali ed esistenziali di Niki Lauda e James Hunt. L'opera di Howard narra la rivalità fra questi due "numeri uno" del grande circo automobilistico, un dualismo che parte da lontano, fin dai tempi della gavetta nei circuiti delle corse giovanili, ma che in realtà si accende e regala le più violente emozioni in un solo anno, quel 1976 indimenticabile per la Formula 1, allorché Lauda, campione del mondo in carica (su Ferrari) e avviato a bissare il titolo, incappa nel celebre, pauroso rogo del Nurburgring, quando la sua monoposto prende fuoco e le fiamme lo avvolgono, mettendone in pericolo la sopravvivenza e restituendolo infine al mondo con il volto deturpato dalle ustioni. L'austriaco recupera poi la forma fisica a tempo di record, torna in pista e sembra in grado di difendere il suo primato in classifica dagli assalti di Hunt, che durante la sua forzata assenza ha recuperato terreno, ma nell'ultima e decisiva gara, in Giappone, in condizioni climatiche proibitive (pioggia scrosciante, pista ai limiti della praticabilità), simili a quelle che avevano causato il suo incidente in Germania, Lauda decide di ritirarsi, dando via libera al collega, finalmente iridato dopo anni da eterno secondo. PERSONALITA' IN CONTRASTO - Una pagina di sport memorabile, raccontata con ragguardevole rigore storico (tanto da restituirci intatta la tensione emozionale indotta dagli eventi dell'epoca, "vivi" quasi come in una presa diretta) e attenzione ai dettagli tecnici, visto il notevole realismo con cui sono state ricostruite le fasi salienti dei Gran Premi, senza tralasciare alcunché, comprese le soste ai box. Epopea il cui appeal sulle grandi folle derivò anche dal forte contrasto di personalità fra i duellanti, e qui sta forse il vero capolavoro di "Rush", che ha saputo delineare finemente la psicologia di Lauda e di Hunt e l'abisso che li separava nel modo di concepire la vita e l'automobilismo, grazie a due performance da mattatori degli attori protagonisti: così, ecco da una parte il gaudente James (interpretato dal belloccio Chris Hemsworth), spesso oltre il confine della trasgressione, insofferente alle rigide regole della vita da atleta; e dall'altra Niki (Daniel Bruhl), tutto casa e lavoro, perfezionista fino alla pedanteria in pista come in fase di preparazione della vettura e della corsa. Due ritratti sostanzialmente attendibili, al di là delle esagerazioni funzionali al pathos della trama, e tenuto conto dell'arricchimento narrativo portato da dettagli più verosimili che autentici, riguardanti soprattutto il pilota inglese (il sesso in aereo con la hostess o con l'infermiera all'ospedale...), ma che in un film ci stanno, a patto di non snaturare profondamente le caratteristiche di vicende e personaggi (torna alla mente, in proposito, una celebre fiction su Rino Gaetano, che del cantautore calabrese propose un'immagine, quella del "poeta maledetto", piuttosto lontana dalla realtà). LA CELEBRAZIONE DELL'EROE DELLA NORMALITA' - "Rush" propone allo spettatore due diverse morali. La prima, la più naturale, che ci è parsa sottolineata con forza nella scrittura del film, è che nella vita arriva più lontano chi riesce ad accettare i sacrifici, a lavorare sodo, a guardare ogni cosa con maturità e raziocinio, senza abbattersi nei momenti negativi e senza volare più alto del lecito in quelli positivi. E' un'esaltazione dell'eroe silenzioso, della "formica" che batte la cicala. L'interpretazione di Bruhl farà magari risultare un po' scostante e glaciale il buon Lauda, ma alla fine rende perfettamente l'idea dell'uomo in tutte le sue sfaccettature caratteriali e professionali: burbero, ligio al dovere ma capace di andare oltre i propri limiti fisici e psicologici, di amare lo sport ma di percepire alla perfezione i veri valori della vita e per essi rinunciare alla gloria (l'addio al titolo mondiale sotto la pioggia, dopo essersi rivisto, in un flashback, in ospedale con la moglie al capezzale). Un eroe comune, forse un po' noioso, non accompagnato da fanfare e squilli di tromba ma non per questo meno meritevole di lode; un uomo che, alla lunga, riesce ad avere la meglio sugli eventi avversi: perché se il suo rivale dopo quel titolo mondiale del '76 non batterà più chiodo agli alti livelli (e scomparirà purtroppo prematuramente, negli anni Novanta), l'austriaco vincerà ancora tanto, e addirittura sarà di nuovo trionfatore iridato nell'84, dopo che pochi anni prima aveva appeso il... casco al chiodo. Bruhl trasmette tutto questo, ma fa emergere anche il Lauda fuoriclasse: non uno sportivo mediocre che ottenne risultati solo ammazzandosi di lavoro, ma un talento vero e puro, un mostro di perfezione nella messa a punto dell'auto e un gigante al volante; ma per far fruttare il talento, ci dice "Rush", occorre adeguatamente canalizzarlo: il campionissimo di Vienna c'è riuscito, il campione di Londra no. HUNT, OVVERO NON UN EROE NEGATIVO - In un... secondo strato, però, non vi è una condanna netta del personaggio Hunt, o meglio del suo modus vivendi: non perché sia lecito abbandonarsi agli eccessi distruttivi, ma perché il biondo pilota ha comunque lottato con tutte le sue forze per giungere in alto, si è "sbattuto" nelle formule minori, ha sfidato la sorte affrontando la pista anche in situazioni di grande difficoltà. Emblematica la frase con cui, alla fine, si congeda da un Lauda mai, in fondo, da lui troppo odiato: rispondendo al rivale, che gli consiglia di archiviare la gioia per il titolo appena conquistato e rimettersi subito al lavoro, Hunt dice che lo farà, ma prima ha voglia di divertirsi ancora un po', di godersi il fresco trionfo, perché altrimenti la vita non ha senso se non ci si regala certi momenti, diciamo così, di "svacco". La verità, ossia il giusto modo di concepire la propria esistenza, sta probabilmente, nel mezzo, un mix fra la dedizione al lavoro di Lauda e la leggerezza di Hunt, entrambe sfrondate dagli eccessi. Ma se Niki è senza dubbio l'eroe positivo, James non è l'antieroe negativo, merita quantomeno il beneficio del dubbio. Di certo, nel confronto con due tali colossi della storia, tutto il resto in "Rush" scolora: persino figure di gran rilievo come Enzo Ferrari, il mitico Drake confinato in un cono d'ombra (eppure fu personaggio assolutamente decisivo nel far decollare la carriera di Lauda), un Clay Regazzoni pilota sulla cresta dell'onda ma la cui indimenticata verve umana non ho ritrovato nell'interpretazione un po' sotto traccia di Pierfrancesco Favino, e la moglie di Niki, una Alexandra Maria Lara fin troppo ingessata ed espressivamente monocorde.
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