Magazine Cinema
Le migliori cose del mondo
di Lais Bodanzky (Brasile 2010)
Il cinema brasiliano negli ultimi anni ha esportato opere che si sono distinte per due caratteristiche: la prima, che è propria di quella cinematografia, è stata quella di una spiccata attenzione al sociale, ed in particolari alla situazione delle classi più deboli, portata avanti con una robusta adesione alla realtà, la seconda invece, va ricercata in una capacità di raccontare che appartiene tanto alla scrittura quanto alle immagini. Ed è stata propria questa seconda componente che ha permesso a registi come Fernando Meirelles (The Constant Gardner, 2005), Walter Salles (On the Road, 2012) e José Padilla assoldato per la nuova versione di "Robocop", di arrivare alla mecca del cinema con operazioni di ben altro impegno economico. Siamo pronti a scommettere che a questa fuga di talenti si unirà presto anche Lais Bodanzky autore appunto di "Le cose migliori del mondo" il film appena giunto nelle sale dopo il passaggio al festival di Roma della scorsa edizione nella sezione "Alice nella città".
La storia del film si concentra sui dolori del giovane Hermano,detto Mano, liceale con il testosterone alle stelle ed una passione per la più bella della scuola di cui è pazzamente innamorato. Tra spensieratezza e presa di coscienza gli fanno da contorno i compagni di classe impegnati nelle prove generali della vita che verrà, ed un privato lacerato dalla scoperta dell'omosessualità del padre, in fuga dalla famiglia per amore di un ragazzo più giovane. Sullo sfondo le vicissitudini del fratello maggiore, sensibile e poetico ma ferito dal disimpegno della sua ragazza decisa a prendersi una pausa da un rapporto troppo soffocante. Un assedio vissuto da Hermano con vergogna e frustrazione, ma fortunatamente supportato dal conforto di Carol, amica di sempre e confidente premurosa.
Se il confronto con analoghi prodotti arrivati nelle nostre sale è inevitabile, bisogna dire che il risultato è decisamente a favore del film brasiliano. Innanzitutto per la scelta di utilizzare un estetica reale e non edulcorata, con adolescenti che sono tali a cominciare dal fisico acerbo, e con i brufoli sparsi a piacimento lungo i lineamenti del viso, nel modo di camminare e di vestire. Segni tipici di un' età che altrove, in certi film italiani ma anche americani, sono barattati con la necessità di una perfezione irreale ma spendibile sul piano degli incassi e del divismo. E poi sul piano narrativo, per la capacità di rappresentare i vari passaggi della storia, e le azioni che Mano pone in essere, in maniera tutt'altro che definitiva, lasciando sempre aperta una possibilità di cambiamento. In questo modo il film riesce a restituire la percezione di una prospettiva giovanile in continuo divenire, rispondente più all'istinto che alle sovrastrutture. Mano infatti è sì invaghito di Valeria, la ragazza dei sogni, inseguita e corteggiata per cercare di far breccia nel suo cuore glaciale, ma allo stesso tempo reagisce a quell' input in maniera complessa, sfuggendo ai clichè che solitamente imprigionano i caratteri di questi prodotti in situazioni monocordi, anche dal punto di vista morale. A questo proposito è indicativo il processo di accettazione del genitore da parte di Mano, dapprima incapsulato dentro una dimensione di totale rifiuto, e poi gradualmente sdoganato con un avvicinamento che il film mette in scena senza enfasi, ma con un minimalismo ed una delicatezza che riescono a farci sentire vera quella trasformazione. Lais Bodanzky regala ai suoi ragazzini sfumature, incertezze e prese di posizione tipicamente giovanili, evitando di dividere il mondo in buoni e cattivi, o di giudicare i comportamenti di personaggi come Valeria, bella ma incostante, o dell'amico dongiovanni, pronto a tutto pur di allargare la schiera delle sue conquiste, ed anche dei genitori di Mano, in qualche modo responsabili del trauma emotivo che dà il via alla storia.
Tutto suona vero nel film del regista brasiliano alle prese con una storia di formazione in cui entrano in gioco non solo l'amore e l'amicizia, ma anche il rispetto e la tolleranza, questi ultimi contenuti nella lezione di civiltà che Mano ed alcuni compagni di scuola mettono in atto quando, decidendo di reagire all'ostracismo ed al monopolio dei compagni più bigotti, organizzano un comitato studentesco il cui nome "Mondo libero" diventa il manifesto di una vocazione progressista di cui il film, seppur in maniera sobria, è intriso. Con una voce over che accompagna le immagini senza sostituirle, "Le cose migliori del mondo" è un film solido, girato con stile corposo e lineare, che alterna momenti di riflessione ad improvvise accelerazioni, con sfondi sfocati o fuori sincrono fatti apposta per sottolineare lo sfasamento di Mano rispetto al resto del paesaggio, o di sequenze come quella più volte ripetuta in cui il ragazzo ripreso di spalle si carica la bicicletta sulle schiena ed inizia a salire i gradini che lo conducono alla casa del professore di musica da cui prende lezione. In quella salita c'è la fatica di vivere il momento, ma anche la bravura di un regista che riesce a comunicare in maniera semplice ma profonda. Da consigliare anche a chi la scuola l'ha finita da tempo.
(pubblicato su ondacinema.it)
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