Le migliori risposte al ministro Profumo sull’ora di religione nelle scuole

Creato il 01 ottobre 2012 da Uccronline

Il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ha affermato di ritenere necessario «rivedere i programmi di religione» visto che nella scuola «ci sono studenti che vengono da culture, religioni e Paesi diversi. Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole, così come concepito oggi, non abbia più molto senso. Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica». Queste dichiarazioni -a titolo personale, come ha poi intelligentemente rettificato- hanno suscitato diverse polemiche e fiumi di inchiostro, basti sottolineare che il quotidiano “Repubblica” ne ha approfittato per una classica campagna laicista pubblicato una media di tre articoli al giorno contro l’insegnamento dell’ora di religione nelle scuole.

In molti -come il filosofo Costantino Esposito e il filosofo Michele Marsonet-, hanno giustamente fatto notare che Profumo evidentemente ha un’idea di insegnamento della religione cattolica (Irc) che nulla ha a che vedere con quello attuale. Infatti, come ha spiegato il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, «l’Irc è già cambiata. Non è di certo una lezione di catechismo, bensì una introduzione a quei valori fondanti della nostra realtà culturale che trovano la propria radice proprio nel cristianesimo», in un’ottica «attenta alla realtà multireligiosa e multietnica presente nella scuola  italiana».

L’antropologa Ida Magli ha criticato le parole del ministro Profumo spiegando: «Ogni religione costituisce un tratto fondamentale di una cultura e di conseguenza, per quanto riguarda l’Italia, il cristianesimo cattolico fa parte della sua storia politica e sociale, della sua filosofia, della sua etica, della sua arte. Il fatto che vi siano stati lungo il passare dei secoli così come oggi, credenti e non credenti, non cambia nulla a questo dato di fatto e la scuola di Stato non può ignorarlo. Per quanto riguarda invece l’insegnamento della religione cattolica in quanto tale, non sembra che si possa contestare la soluzione di lasciare la scelta di seguirlo se lo vogliono agli studenti stessi. In conclusione c’è una sola domanda da porre al ministro Profumo e ai nostri governanti in generale: volete che l’Italia rimanga una nazione, con la sua lingua, i suoi costumi, la sua storia, la sua civiltà, oppure che diventi un territorio geografico abitato da un insieme di persone con lingue, costumi, religioni diverse che ben presto cancelleranno perfino il ricordo dell’italianità?». A parte la già citata campagna di “Repubblica” (e del prevedibilmente noioso “Fatto Quotidiano“), critiche sono arrivate da sinistra -come le parole del deputato Pd Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari europei: «Ridimensionare l’ora di religione vuol dire negare quelle che sono le nostre radici»- come da destra: «l’insegnamento della religione nelle scuole è previsto dall’articolo 9 del Concordato; ed esso non ha finalità di catechizzare gli alunni o di preparare alla ricezione dei Sacramenti, nè tanto meno presuppone un atto di fede da parte dei destinatari oppure è riservato ai soli credenti», secondo il senatore PDL Franco Asciutti, capogruppo in commissione Istruzione al Senato. Anche il ministro Andrea Riccardi è intervenuto nel merito.

Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino – Montefeltro, ha spiegato che l’ora di religione non ha «niente a che spartire con la catechesi, che ha altre finalità e altri metodi e che si realizza nell’ambito della vita ecclesiale», è invece una possibilità «per tutti i cittadini italiani che lo desiderano di incontrare il cristianesimo come avvenimento di vita, di cultura e di società». Secondo il filosofo (non credente) Massimo Cacciari invece, «la nostra tradizione religiosa insegnata obbligatoriamente a scuola. Non solo, la teologia dovrebbe essere presente in tutti i corsi universitari di filosofia». E poi molto sapientemente: «non ha nessun senso insegnare Storia delle religioni. Così come si insegna Storia della letteratura italiana e non storia delle letterature mondiali, storia dell’arte italiana e non storia dell’ arte cinese, non vedo la necessità di insegnare il buddismo zen o la religione degli aztechi. Chi suggerisce di studiare tutte le storie delle religioni finisce per volere, in pratica, che non se ne studi nessuna».

Come ha ricordato anche Fausto Carioti, l’insegnamento della religione a scuola «non prevede adesione confessionale, non è catechismo. E’ educazione a capire cos’è il cristianesimo e dunque cos’è l’Italia: proprio per questo tantissime famiglie immigrate, dell’Islam e di altre religioni, ogni anno lo scelgono per i propri figli. E per questo stesso motivo, più aumenta la presenza di immigrati, più -al contrario di quanto sostiene Profumo- ha senso spiegare ai nuovi arrivati cos’è questo Paese e da dove viene la sua cultura». Tanto più, ha continuato l’ottimo articolo su “Libero”, «che l’ora di religione è facoltativa e chi la ritiene pericolosa può sostituirla con soluzioni alternative». E’ vero, l’ora alternativa funziona male/non funziona in tutte le scuole, ma questo problema non lo si risolve certo modificando l’ora facoltativa di religione. Anzi, come ha fatto presente il filosofo Antonio Allegra, l’alternativa maggiore oggi è «semplicemente uscire o entrare un’ora prima: inutile spiegare quanto sia difficile lottare contro questa tentazione, ovviamente diseducativa e discriminatoria nei confronti degli studenti che invece si avvalgono dell’ora di religione». I quali, essendo una materia facoltativa, faticano a prestare vera attenzione e per questo la storica Lucetta Scaraffia -come ha fatto Cacciari- ha proposto che diventi un insegnamento obbligatorio.

E’ utile ribadire ancora, come ha fatto Carioti e come ha fatto il filosofo Massimo Borghesi, che chi non ritiene interessante seguire l’Irc ha tutto il diritto di esercitare una forma di obiezione di coscienza (in questo caso sono d’accordo anche abortisti e radicali!) e scegliere di non partecipare alle lezioni, come fa il 10,4% degli studenti italiani. Tutti gli altri -il 90,6% secondo i dati del 2011-, aderiscono all’ora di religione, confermando, come spiegato su “Avvenire, sia l’apprezzamento dell’insegnamento sia la consapevolezza della stragrande maggioranza delle famiglie della necessità di una formazione culturale anche religiosa dei propri figli.


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