Le moderne comunità virtuali e nuovi riti di espulsione

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Laddove c’è un Tempio
là ci sono preti zelanti..
 ...ciò che vale nel micro vale anche nel macro

In questi giorni ho appreso un termine nuovo “bannare”, per certi versi è simile al verbo “bandire”, cioè allontanare, mandar via, per altri, invece, è più simile al termine “espellere”, cacciar via. Un utente di un forum o di un sito qualunque può essere “bannato” quando scrive delle offese gratuite nei confronti di un altro utente, o quando viola le comuni norme del vivere civile che ha sottoscritto al momento dell’iscrizione al sito. Ma si può essere “bannati” anche per altre ragioni meno nobili che con quelle sopraesposte non hanno nulla da condividere. È questa seconda forma di “bannazione” che trovo più interessante da esaminare e da segnalare ai sociologi che studiano i newmedia. E lo trovo molto interessante in quanto applicano gli stessi riti e gli stessi meccanismi di espulsione che si verificano nelle comunità tradizionali. In pratica, esistono delle comunità virtuali che, in maniera quasi sbalorditiva e sorprendente, ripetono e mettono in atto questi stessi riti di espulsione così come accadeva nelle comunità premoderne.

Nell’Atene antica, ad esempio, era previsto l’istituto dell’ostracismo, in virtù del quale un cittadino, ritenuto pericoloso per la polis, poteva essere mandato in esilio per dieci anni, se dopo una pubblica discussione 6000 concittadini con voto segreto si fossero trovati concordi nel determinare l’allontanamento. I romani, invece, al tempo di Silla, promulgarono le liste di proscrizione che mettevano fuori legge tutti quei cittadini che avevano appoggiato o favorito i rivoluzionari al tempo della prima guerra civile. Le comunità medioevali misero in atto forme di emarginazione nei confronti di tutti coloro che non venivano considerati degni di vivere in mezzo a loro; inoltre, costringevano gli ebrei a vivere nei ghetti (da qui il nome “ghettizzare”), in modo tale che al momento opportuno, quando cioè serviva un capro espiatorio da immolare sull’altare, sapevano dove andare a prenderli. Anche le città-Stato medievali hanno conosciuto forme di espulsione quali l’istituto dell’esilio. Le moderne dittature hanno praticato altre forme di espulsione, ad esempio, durante il fascismo gli uomini ostili al regime venivano mandati al confino. Naturalmente, non bisogna confondere i riti di espulsione con l’eliminazione fisica tour court del “nemico”: i primi lasciano comunque in vita l’espulso, ma a condizione che non faccia più parte della comunità, i secondi, invece, tendono ad eliminarlo definitivamente.

Vediamo adesso, dopo questo breve excursus storico, come viene praticato il moderno rito di espulsione o la bannazione nelle moderne comunità virtuali. Anzitutto bisogna specificare che ciò che sto descrivendo non accade in ogni comunità virtuale, ma soltanto in quelle dove si crea tra gli utenti un forte spirito di corpo o un forte senso di appartenenza. Sia l’uno che l’altro sono del tutto circoscritti all’oggetto condiviso di discussione in base al quale la comunità virtuale si è riconosce. Per fare un esempio, l’oggetto in base al quale la comunità virtuale si riconosce può essere l’Arte. Ogni utente aderisce a quella comunità virtuale perché sa che in quel sito al centro dell’attenzione trova questo oggetto condiviso. Si discute e, come si dice in gergo, vengono “postate” cose che riguardano l’arte. L’oggetto, dunque, diventa il centro di interesse verso cui convergono tutte le attenzioni. Ognuno porta il suo modesto o immodesto contributo alla discussione in base alle sue conoscenze e competenze. Le comunità virtuali vivono e si affermano grazie alla continua partecipazione attiva degli stessi utenti: più contributi vengono “postati” più “commenti” si fanno ai singoli contributi e più le loro possibilità di crescere si fanno concrete. Naturalmente, in queste comunità ognuno deve essere libero di poter esprimere il suo contributo senza subire condizionamenti o censure preventive, sempre nel rispetto reciproco e nei limiti della reciproca educazione. Di solito e abitualmente è quanto accade in quasi tutti i siti che esprimono queste comunità. Di solito, appunto, esiste una redazione responsabile del sito che sorveglia con discrezione e tatto quanto accade all’interno di queste comunità evitando certi abusi e agendo in base a segnalazione di utenti vittime di offese o altro. La direzione agisce in base ai suoi poteri allo scopo di evitare che accuse reciproche tra utenti possano degenerare in liti o altro e finire con il danneggiare il sito. Si tratta dunque di una funzione moderatrice e discreta svolta, potremmo dire, dietro le quinte. Allo stesso tempo si guarda bene dall’entrare nel merito del contributo, se non per controllare se, in caso di segnalazione, l’utente abbia violato una delle norme sottoscritte al momento dell’iscrizione. Fatte salvo queste norme, l’utente può “postare” liberamente ogni suo contributo ed esprimere liberamente la sua concezione dell’arte, le sue “poetiche” nelle forme e nei modi da lui ritenuti più opportuni.

Esistono, invece, delle comunità virtuali nelle quali talvolta gli stessi membri della redazione sono parte in causa, ossia essi svolgono sia la funzione moderatrice che quella di utenti, e ciò li porta inevitabilmente a scambiare il loro ruolo di moderatori con quello di portatori di una linea editoriale mai esplicitata né dichiarata, scambiano il sito, del quale sono per statuto responsabili, per una sorta di “Rivista artistica”, atta a promuovere determinate tendenze artistiche e a rifiutare o a criticare tutti coloro che non sono allineati alla loro concezione dell’arte. Chi agisce in questa duplice funzione finisce con il creare necessariamente un “corto circuito” con alcuni utenti che hanno ed esprimono idee e concetti diametralmente opposti alla loro concezione. Per fare un esempio, quando uno di questi membri della redazione scrive un commento critico e piccato a un contributo di un utente in quale veste l’ha scritto? Come redattore o come utente? E se l’utente risponde a sua volta per le rime al suo commento critico e piccato a chi ha risposto all’utente o al redattore? E se poniamo caso, l’autore del commento oltre ad essere direttore ne è anche l’amministratore cosa accade quando l’utente risponde al suo commento? Come si risolve questa ambiguità di fondo? Poniamo ancora il caso che per un motivo o un altro, a torto o a ragione, vuoi perché gli è antipatico vuoi perché non sopporta ciò che scrive, l’amministratore/utente nella sua ambigua funzione abbia preso di mira un utente qualsiasi e comincia a scrivere quotidianamente nei suoi confronti post offensivi usando un linguaggio allusivo, ad esempio gli scrive quanto è deficiente, saccente, presuntuoso e quant’altro, l’utente oggetto di persecuzione a chi potrà segnalare il fatto di essere oggetto di persecuzione? All’amministratore? Al comitato redazionale? Pare un po’ difficile dal momento che lo stalking è messo in atto proprio dal “funzionario” che dovrebbe tutelare l’utente dalla possibilità di esserne vittima.

Ma l’aspetto più importante da analizzare è osservare il clima di servilismo e cortigianeria che inevitabilmente si crea all’interno di questa comunità virtuale costruita intorno alla figura di questo utente/amministratore ambiguo. Ad esempio, i suoi criteri di cooptazione redazionale sono abbastanza semplici: coopta inevitabilmente i più servili e servizievoli, coloro che sono immediatamente disposti a salire sul carro delle sue ragioni, coloro che immediatamente sanno tradurre in atto le sue aspettative, coopta insomma i più zelanti. Di solito nomina come suo vice un utente semianalfabeta, che di arte non ci capisce un tubo, che, ad esempio, è capace persino di scrivere una dissertazione (sic!) per dimostrare che la poesia di Rimbaud discende dal pesce-ghiozzo senza suscitare negli astanti una risata irrefrenabile, ma anzi suscitando nel pubblico servile e servizievole delle vere e proprie digressioni per esaltare la geniale intuizione! Insomma, in questa comunità virtuale vengono meno tutte quelle prerogative critiche che aiutano a far crescere l’oggetto, scopo del sito stesso, che, ad esempio, poteva essere la discussione sull’arte. È chiaro che l’utente che non si riconosce e non si allinea a questo clima cortigiano venga subito additato come un disturbatore della comunità, e che di conseguenza si cominci a mettere in atto quei meccanismi di persecuzione che lo spingono a fare un passo falso, ad auto-dichiararsi “colpevole”, sino al punto di apparire agli occhi degli zelanti meritevole di un castigo esemplare che l’ambiguo amministratore nella sua duplice veste è pronto ad infliggergli: ad impalarlo (virtualmente) o a bannarlo per sempre!


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