Gli italiani migliori del 2015? Aru, Longo Borghini e Nibali. Poi magagne pesanti anche sul ciclismo amatoriale e delusioni di corsa che non hanno scuse. Mentre i telecronisti RAI inneggiavano a Nibali dicendo che l'Italia tornava a vincere una classica monumento dopo diversi anni, dimostravano quanta considerazione c'è in Italia per il ciclismo femminile, non ricordando la vittoria di Elisa Longo Borghini al Fiandre. Lei, Elisa, c'è sempre, come c'è stato Adriano Malori, come non c'è stato Diego Ulissi, che per mesi ha potuto pensare solo al Mondiale per poi ritrovarsi a correre una gara anonima e deludente. Brutte storie emergono dal settore ciclismo dopato, visto che la metà dei dopati prò 2015 (una dozzina il totale) trovati positivi dall'UCI sono roba nostra. A livello generale in Italia, cioè considerando i ciclisti della domenica e i professionisti, gli amatori sono l'80% di tutti i dopati italiani. Tra gli uni e gli altri spunta la fine veramente cretina di Paolini che ha buttato nel water tonnellate di elogi, e speriamo che su di lui ci venga risparmiata una specie di operazione recupero d'immagine, sapendolo grande amico del CT Cassani, che a lui non avrebbe mai rinunciato. D'altronde va detto che se sei un ex dopato hai ottime possibilità di avere successo come preparatore ciclistico. Santambrogio e Riccò si sono messi a fare i simil-preparatori-allenatori-consiglieri di ciclismo, con quale titolo non si sa. Il primo era ripartito facendo il panettiere, poi ha capito che la bicicletta era la sua vera vita, cosucce doping a parte. Riccò gira per Tenerife per accompagnare cicloturisti e amatori. Scommettiamo che entrambi hanno un buon successo? Si perché il perdonismo facile post-doping è sport praticato ad un ottimo livello nella nostra Nazione. Lo dimostrano le passerelle televisive di ex atleti con problemi doping, che hanno la possibilità di ritrovarsi davanti alle telecamere per dire cosa sia il ciclismo, come lo si deve correre, e alcuni di loro lavorano anche come esperti e commentatori tecnici. Basterebbe una ricerca nel web, nemmeno chissà quanto approfondita, per capire chi è quel tal esperto che può metter giudizio sugli atleti di oggi, tra una ripassatina di scuro per i capelli o di rasoio sulla zucca.