Le notti bianche di Luca Giordano

Creato il 06 febbraio 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Perché un autore riesca a essere profondo in ciò che scrive, è necessario che sia tale anche il mondo che lo circonda. Per questo Luca Giordano, narratore e poeta, non si accontenta di vivere il mondo delle luci come tutti noi, ma scava anche nelle ombre sia delle notti insonni, che dell’animo umano, laddove si trascura che ve ne sia.

Anche lui con le idee chiare, non è certo tipo che si lascia intimidire dall’ambiente letterario, Luca. Ha una grande cultura e molte cose da dire e, come altri nostri ospiti, non esita a farlo con i toni fermi e decisi, ancorché pacati, che gli appartengono.

 1) Luca, l’insonnia sembra un denominatore ricorrente in molti autori ed è momento di lettura per molti. Perché secondo te la notte ispira così tanto, sia chi scrive, sia chi legge?

Non ti darò la risposta razionale, ovvero che c’è un motivo oggettivo: la notte è il momento in cui si ha più tempo, è il momento in cui tutti hanno da fare un’altra cosa e tu puoi lavorare o leggere senza essere disturbato, ma cercherò di scavare un po’ più a fondo. La notte è un resto, qualcosa in più in cui non si può fare nient’altro che dormire. Io, con il gusto della contraddizione che è comune a molti scrittori, recupero questo resto, lo trasformo in qualcosa di superbo, perché anche lo scrittore più mediocre, nel momento in cui crea, vive un’emozione particolare. Alda Merini dice questo in una splendida sintesi:

“I poeti lavorano di notte

quando il tempo non urge su di loro,

quando tace il rumore della folla

e termina il linciaggio delle ore.”

E poi:

“La cosa più superba è la Notte,

quando cadono gli ultimi spaventi

e l’anima si getta all’avventura.”

L’insonnia è l’elemento fondamentale per lavorare di notte. La mia insonnia è di origine farmacologica, peraltro in parte risolta. È capitato di leggere libri in una notte, il giorno dopo è perso, ma quella notte! E. L. Masters, Dino Campana, Pasolini ho passato con loro momenti fantastici, sono parte della mia vita, come la nascita di un figlio, una notte d’amore. Sono esperienze che però hanno bisogno di una durata, non le si può vivere con continue interruzioni. Quanto è facile di giorno essere interrotti!

Rifiutare il sonno,  simbolicamente, è in parte rifiutare la morte. Per me almeno, perché per me l’insonnia era provocata spesso da incubi di morte che impedivano di riaddormentarmi. È rifiuto dell’incompletezza. Si arriva alla fine di una giornata e si sente che qualcosa manca, che preme per uscire, più urgente del riposo, più urgente del sonno. E questa inquietudine a volte si risolve nell’alzare lo sguardo da sé ascoltando Dio, o l’umanità intesa come pensiero collettivo, che indica il cielo, in un anelito all’infinito.

Infine la notte è il luogo del sogno, che penso sia la dimensione più vera dell’uomo perché come dice Prospero ne “La tempesta” di Shakespeare:

“Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita e’ circondata dal sonno.” La poesia si nutre di sogni e ne è anche fonte.

2) La poesia come espressione popolare: è veramente così, o è ancora un genere soltanto abusato da aspiranti artisti?

David Maria Turoldo, poeta religioso poco conosciuto ma molto profondo, diceva che ciascuno ha dentro di sé delle poesie, ciascuno potrebbe scrivere un libro. Questo non vuol dire essere un poeta o un autore, vuol dire però che la poesia è presente in tutti, anche se scrivere delle poesie belle e originali è una cosa molto difficile, ci vuole tempo e fatica, per poi essere letti spesso da pochi, come si lamentava Pasolini. Non bisogna disprezzare il desiderio di scrivere, esso è un contenitore di molti aspetti: una legittima paura dell’oblio, della morte, è il desiderio di donare qualcosa di sé agli altri, il desiderio di comunicare. L’unico aspetto negativo, l’egocentrismo, è trasversale. Anche ottimi poeti hanno un atteggiamento egocentrico che guasta se non l’opera, certamente la loro umanità. A volte gente che non ha studiato tanto o non ha una cultura particolare ha un orecchio per la poesia. Ma è raro. Calliope è una musa esigente, vuole cultura, competenza specifica, sensibilità, profondità di pensiero e non dà molto altro che una fama limitata e la soddisfazione di aver fatto qualcosa di bello.

3) Perché tanti scrivono poesie invece di racconti o romanzi, soprattutto sul web?

Credo sia per la brevità, nell’illusione che proprio perché brevi, sia più facile scrivere poesie. Ovviamente questo è falso, infatti il Web è infestato di aforismi e liriche di una banalità disarmante. Però credo ci sia anche un motivo valido. Stando su Internet saprai che è difficile che un utente legga più di un certo numero di righe, e probabilmente in quest’intervista difficilmente arriverà fino a qui. La potenziale brevità e la sintesi sono caratteristiche della poesia che la rendono molto più attuale di quello che si possa pensare.

4) Lavorare con un laboratorio di arte sperimentale con i disabili, aiuta e se sì in che modo, a infrangere certi cliché della poesia (ad esempio, l’uso di scontate metafore o parole)?

Certamente, per prima cosa, il cliché dell’ermetismo, mi hanno aiutato ad essere meno autoreferenziale. Quando gli ho letto delle mie liriche più ermetiche di altre, mi sono sentito dire un sincero: “ma che stai a di’?”. Aiuta a rimanere con i piedi per terra. Hanno una creatività originale. Una persona con disturbi del linguaggio mi parlava creando delle espressioni geniali queste sono alcune. È emozionato perché rivede una persona dopo tanto tempo: mi sento pallido come una freccia. Ha voglia di tuffarsi in acqua: ora vado e mi tuffo come un papavero. Gli bruciano gli occhi: mi graticolano gli occhi. È sorpreso perché lo sono andato a trovare senza avvertirlo: ci sono rimasto come una finestra. Poi c’è un altro capitolo che esula dalla brevità di questa intervista, quello della “Comunicazione Aumentativa”, una forma di logopedia molto avanzata e complessa che permette di esprimersi a persone chiuse in se stesse, ad esempio le persone con autismo, che reinventano la struttura della frase e fanno accostamenti di parole geniali. Sono persone rimaste chiuse in se per anni che improvvisamente scoprono la possibilità di esprimersi: è un’esplosione di comunicazione, concentratissima e con un’efficacia notevole.

5) Cosa vuol dire ‘scrivere con animo ‘onesto’, e dove trovi che non venga fatto dagli autori odierni?

L’onestà in questo caso è un guardarsi dentro: ho veramente qualcosa da dire? Amo veramente la letteratura e quello che rappresenta? Molte persone non lo fanno e scrivono con un obiettivo che non è quello di fare una bella poesia, raccontare bene, in maniera interessante, una storia, ma quello di un’esibizione, che nasce da altre esigenze, come ti dicevo prima. Però la disonestà in questo caso è solo un errore di prospettiva, non è un crimine.

6) Cosa non ti piace in particolare della letteratura di oggi?

Quelle opere che sono viste fondamentalmente come operazioni commerciali, di cui si vendono moltissime copie ma che saranno lette da pochi. Con autori che si sono fatti un nome in altri campi, generalmente in televisione. Ho in mente alcuni titoli ma non ho intenzione di farli perché li ho letti pochissimo e potrei sbagliarmi e quest’errore sarebbe irreparabile, comunque l’autore non è il responsabile principale di questa stortura.

7) Tu e l’editoria: un suo aspetto che detesti e perché.

Odio quello che ha portato alla rovina l’attuale editoria, uffici marketing che avrebbero considerato “La Recherce” di Proust insopportabilmente lungo e prolisso, Celine lo avrebbero appena tollerato, Melville rispedito al mittente e avrebbero chiesto a Gogol di cambiare argomento, perché le “anime morte” fanno tristezza. I miei editori sono state persone squisite: Mariella Bettarini e Gabriella Maleti per la Gazebo, Gordiano Lupi e Giulio Maffii per Il Foglio Letterario

8) Dove siamo carenti a livello culturale in Italia?

L’Italia ha élite culturali di alto livello, ma con una scarsa dinamicità. Adagiate su schemi che hanno più di un secolo. Problema risolto in vari modi dagli altri paesi europei. La nostra ricchezza culturale, molto di più fino agli anni 80, poi sempre meno, è stata spesso nella provincia. Basta vedere come della provincia siano venuti molti intellettuali, Pasolini, Silone. Del resto in Italia è così anche per l’arte. Piccoli centri di provincia contengono grandi opere d’arte, e quindi di cultura, si pensi solo a Perugia, Ravenna, Matera, Catania, Salerno, Siena, Pisa, l’elenco sarebbe lunghissimo, ma la provincia è in profonda crisi economica e identitaria. Un altro aspetto è l’educazione. Pesano trent’anni di disprezzo nei confronti degli insegnanti e dalla nullità dell’investimento nella cultura, c’è un vuoto educativo e mancanza di risorse. Se leggi le biografie degli intellettuali capita spesso di incontrare l’affermazione che essi devono moltissimo ad un qualche professore che li ha formati. Se mancano gli educatori, mancheranno anche gli intellettuali, il sapere e la cultura non sono un fatto individuale ma collettivo, in questo pesa anche la crisi delle piccole identità che sono i mattoni dell’identità linguistica italiana.

Chi è Luca Giordano:

Nato nel 1969 a Roma, liceo classico e poi laurea in lettere storiche con una tesi sul “1956 in Ungheria e l’opinione pubblica italiana”. Ha pubblicato nel 2011 la silloge  “L’intruso” con “Il foglio Letterario” in una collana curata da Giulio Maffii, e nel 2012  “Passa dal Corpo il Cielo” con la Gazebo Libri di Mariella Bettarini e Gabriella Maleti. Attualmente collabora con i ”Laboratori di arte sperimentale” che la Comunità di Sant’Egidio porta avanti con disabili mentali.



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