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Le notti bianche di Pachuca ovvero Cielito lindo, un bradipo in Messico – Seconda parte –

Da Danilo Baccarani @dumbbac
Compendio semiserio alla conoscenza della città di Pachuca e del popolo messicano.
Non c'è uomo che rassomigli a un altro uomo.
Honoré de Balzac
I personaggi
L’autista personale
Per gli spostamenti, l’organizzazione mette a disposizione i cosiddetti transportation, piccoli van da sette posti che fanno la spola dallo stadio all’albergo.
Si concorda un orario e si va. O si torna. Tutti sono marchiati dal logo dell’evento e sono della stesa casa sudcoreana, sponsor della federazione. Ogni van un autista dell’organizzazione.
Tutti, tranne uno.
Non mi chiedete perchè. Ma lui è avulso dal sistema.
Occhiali da sole. Automobile Chrysler Suburban. Vetri oscurati.
Tutto fuorchè un’automobile adatta a fare del trasporto.
Il nostro autista sembra uscito da un film: lui e la sua auto adatti ad una scena con Benicio Del Toro, in pieno deserto a Tijuana.
Un auto da narcos.
Fa da autista a tre persone. E basta. Io sono uno di quei tre.
Mi sento molto sicuro.
Il maitre del ristorante
L’albergo sembra caduto dal nulla in un desolato avvallamento. La zona è fuori mano rispetto alla città. Di fronte all’albergo un centro congressi e un centro commerciale.
L’albergo è nuovo. Una piccola bottega per lo shopping. Una palestra piccola piccola.
Un ristorante di proprietà di un italiano, personale messicano, cucina italo-messicana.
Tra le specialità della casa, le tagliatelle al telefono (?), le fettuccine Alfredo e le lasagne bolognesa.
Il responsabile del personale è un uomo sulla quarantina. E’ triste. Molto professionale. Occhiali, giacca e cravatta d’ordinanza, si aggira per la sala con l’aria di chi non sa cosa fare. Le braccia penzoloni. Lo sguardo non molto sveglio.
A colazione consegno il mio voucher con il numero della camera e il mio cognome al fine di ottenere, allo stadio, il mio cestino del pranzo.
Mi guarda inebetito. Non sa cosa fare, ma soprattutto non sa cosa stia facendo io.
In quel preciso istante ho capito che non avrei fatto pranzo.
E così è stato.
Il volontario Arturo e il portiere attacchino
Pienotto. Sguardo sveglio. Parla un inglese perfetto e mi accompagna all'ufficio accrediti. Parla, parla, parla...tantissimo.
Attraversiamo lo stadio El Hidalgo detto anche Huracan e mi racconta della sua squadra del cuore, il Pachuca, e dei grandi giocatori che ci sono nelle gigantografie dentro alla pancia dell'impianto sportivo.
Mi soffermo davanti alla foto di un portiere che ricordavo nelle figurine Panini...ma non ne ricordo il nome...so che è boliviano...USA1994...uhm, uhm...e lui mi guarda incredulo e mi dice: Ma tu ricordi Carlos Trucco? E io rispondo che sì, il volto mi è familiare ma che non ne ricordavo il cognome.
Non faccio in tempo a dire una parola che mi accompagna verso gli uffici e mi dice: Vieni, ti presento una leggenda. Senor Trucco...
Davanti a me, Carlos Trucco, mediocre portiere della Bolivia ai mondiali americani.
Piacere. Piacere. Di dove sei? Italiano. Ah...mio bisnonno era piemontese...ma io non parlo l'italiano.
Lo trovo nell'antistadio mentre attacca uno dei manifesti della competizione.
Il portiere attacchino. Questa mi mancava.

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