“Esistono due motivi per leggere un libro: uno perché vi piace, l’altro è che potrete vantarvi di averlo letto.” – Bertrand Russell
Fondamentalmente sono in accordo con il filosofo, matematico e saggista gallese Bertrand Russell, uomo dalla grandissima cultura che, come evidenzio nella citazione iniziale, amava la conoscenza in quanto tale.
Vivere secondo il principio del conoscere a priori è uno dei metodi che rende la vita di sicuro più pensante a livello umano/mentale ma che innalza, in gran parte, la coscienza umana rendendola più sapiente non solo nei confronti del passato della nostra civiltà ma soprattutto del presente.
Detto questo vorrei dare il benvenuto ad una nuova collana editoriale della casa editrice Rupe Mutevole Edizioni, con la quale Oubliette Magazine collabora da anni. L’esigenza della nuova collana è stata percepita per stare al passo con i tempi e, dunque, per entrare a far parte del macro cosmo multimediale dell’editoria. Vi presentiamo dunque cinque nuovi e-book editi dalla casa editrice durante la primavera.
Vi ricordo che le collane editoriali cartacee sono venti. La denominazione delle collane è in linea con la politica della casa editrice, troviamo infatti: “Letteratura di Confine”, “Trasfigurazioni”, “Mappe di una nuova èra”, “Saggi”, “Rivelazioni”, “Poesia”, “Fairie”, “Atlantide”, “Oltre il confine”, “Scritti in scena”, “Sopralerighe”, “Heroides”, “Echi dalla storia”, “Visioni”, “Margini liberi”, “Echi da internet”, “Radici”, “Supernal Armony”.
Ed eccovi i nuovissimi e-book firmati Rupe Mutevole.
“Autobiografia di un artista” di Mauro Salvi
C’è chi fa l’artista e chi è un artista. Dopo aver letto “Il buon vino si vede dal tappo” di Mauro Salvi, da uomo pieno di dubbi e infinite incertezze, ora una certezza ce l’ho: Mauro è un artista a tutto tondo. La sua autobiografia è un mondo. Dove il ricordo si fonde con l’infinito. Dove tutto si muove sui fogli di carta con frenetico realismo sognante e che fa sognare. Uno scrittore con un piede per terra e l’altro che prende a calci le nuvole. E le prende a calci con dolcezza. Da uomo che sa guardare se stesso senza bisogno di uno specchio. Questo libro è un viaggio che passa con disinvoltura da un tuareg, al letto della nonna che sa di lavanda e naftalina. Dalla campagna al mare.
Fino ad arrivare in una casa sperduta tra i boschi. Dalle passanti ad un amore iniziato da una sigaretta e catapultato nel per sempre. La vita di un artista è un viaggio interminabile. La memoria gli fa disegnare momenti e luoghi, reali o della mente, con lucidità e poesia. Mauro Salvi, nella sua autobiografia, ha spietatamente e dolcemente percorso i suoi anni con meticoloso amore. La sua è una navigazione a vista che passa nell’immenso. Questo libro sa di buono. Sa di arte. Sa di un uomo che fa l’uomo. Dalla prima all’ultima riga. Non amo paragonare uno scrittore ad un altro scrittore. E non lo farò. Soprattutto perché Salvi è unico nel suo modo di accarezzare e prendere a sberle i fogli di carta.
Prefazione di Enrico Nascimbeni
“Al limite del buio” di Aldo Boraschi
Una tiepida notte di maggio un insospettabile pensionato viene accoltellato vicino alla antica porta della cittadina di Lavagna. Giovanni Battista Bernabò, la vittima, ha un passato che non offre nessun indizio agli inquirenti che indagano sul caso. Solo due farfugliate parole, consegnate da Bernabò ad un Carabiniere prima di morire, permettono a Fabio Riccò, giornalista di una piccola emittente televisiva di Caperana, di svelare un mistero che risale ad un secolo prima. Un noir che lega – drammaticamente – uomini e donne, passato e presente, bene e male. La mano assassina si nasconde lì, dove è difficile trovarla. Proprio lì, al limite del buio…
“Il sole stava planando dolcemente verso Portofino. Fabio tacque. E allora gli fu subito chiaro lo sciabordìo delle onde, il loro frangersi contro i pennelli e infine la lenta risacca. Al largo, il mare era percorso da pallide vele. Avrebbe voluto guardarle, continuare la contemplazione, per un tempo decisamente più lungo di qualche attimo”.
“Dalidà” di Aldo Boraschi
Un treno, un percorso breve ma ricco di spunti di vita, di parole, di persone che giocano con la loro vita. E con quella degli altri.
Un barista, un uomo come tanti che vuole ricreare il suo piccolo angolo felice, donando piccoli tocchi di classe che la gente apprezza ancor di più, in un’epoca frenetica come la nostra.
Un caffè può addolcire la vita, può essere quel raggio di sole che filtra attraverso nubi dense e ci dona il sorriso tanto agognato.
Un caffè può avvelenare la vita, se fatto male, senza passione. Può persino arrivare a uccidere.
Se un uomo muore, si fa un po’ di confusione mediatica e poi si butta via tutto. E se muore un magistrato? Eh, in questo caso la faccenda è diversa, il primo indiziato verrà direttamente scaraventato nella bocca dello squalo mediatico e sputato in pasto a un pubblico ansimante di notizie fresche. False? E che se ne importa. A volte un’enfasi eccessiva porta a questo.
Tratto da uno scritto di Roberto Baldini
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“Anzol” di Haria
“Tutti i sentieri non tracciati confluiscono ad Anzol, perché Anzol è il centro di un labirintico sogno non segnato sulla carta del Destino.”
Un incipit che non nasconde l’ombra di curioso mistero e di fatalità che ripercuote le pagine del lungo racconto della città di Anzol. Anzol è una piana limitata da rovi. Ne “La prima sorte” inizia la saga della città. Cena, la veggente, si nasconde nella piana per evitare il mondo degli uomini, un mondo crudele e governato dalla violenza e dall’ignoranza. Quando una coppia con una donna incinta entra nella piana, Cena decide di prendere con se la donna e di lasciar ai limiti della piana il suo compagno. Al momento della nascita Cena lascia la piana per altre erranti visioni ed i due restano ad Anzol con il loro bambino che sarebbe divenuto, per profezia di Cena, il fondatore della città. Così avvenne. La coppia ebbe anche altri figli e la vita scorreva ad Anzol libera dalle regole degli uomini. La natura è stata la padrona sino all’arrivo di altre persone che decisero di stanziarsi nella piana.
Tratto da una recensione di Alessia Mocci
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“La farfalla con le ali del tempo” di Daniela Di Lembo
Sono qui, davanti al nostro grande camino, pronto ad intraprendere un nuovo viaggio. In tutti questi anni ho lasciato che questa fosse la mia ultima tappa prima di prendere i bagagli ed affidare alla lontananza la mia speranza di riuscire a sopportare meglio il nuovo corso degli eventi, per poi accorgermi sempre che la consapevolezza di ciò che era accaduto non si lasciava confinare dietro un portone. Questa stanza era ormai dentro di me, e del suo uscio spalancato avevo perso definitivamente la chiave. Non sarebbe bastato mettere delle distanze tra me ed i nostri luoghi quando la sofferenza era ormai tatuata nel mio cuore, e quel segno lo faceva pulsare al ritmo del dolore. Quel dolore che era sempre pronto ad urlare, ogni volta che non sembravo dargli soddisfazione. L’ho portato sempre con me, come un bagaglio invisibile ed intimo ma più ingombrante delle valigie che usavo. L’unico di cui non mi riuscissi a liberare, il solo che non poteva andare smarrito, perché ero io ad essermi ormai smarrito in esso.
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Written by Alessia Mocci
Addetta stampa ([email protected])
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