Nell’anno 1880 l’apertura del Canale di Cuez riduce la durata di un viaggio intorno al mondo a soli centocinquanta giorni; il gatto Biagio, però, sicuro di poterlo fare in ottanta, scommette con Lord Porcon e, se dovesse perdere, diventerà suo schiavo, mentre in caso di vittoria si trasformerà nel padrone di tutte le sue ricchezze.
Accade ne Il gatto con gli stivali in giro per il mondo (1976) di Hiroshi Shidara, lungometraggio d’animazione giapponese che, terzo e ultimo capitolo della serie iniziata tramite Il gatto con gli stivali (1969) e … continuavano a chiamarlo il gatto con gli stivali (1972), viene riscoperto su supporto dvd dalla romana Mosaico Media, corredato del documentario di sedici minuti Il ghiro dormiglione nella sezione extra.
La giusta occasione per riscoprire un cartoon cult che, liberamente ispirato al romanzo Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, vede il protagonista affiancato dal maialetto Teodoro e dai topini padre e figlio Tobia e Carletto impegnati ad affrontare i continui agguati del professor Pelagatti, emissario di Lord Porcon, e dei “gattolieri”, ratti moschettieri irriducibili nemici dei gatti… in un mondo popolato in maniera esclusiva da animali parlanti.
Ma, come di consueto, non si tratta dell’unico titolo recuperato dal dimenticatoio da Mosaico, la quale, in fatto di particolari rivisitazioni di personaggi delle favole, rende disponibile su disco anche il rarissimo I sette nani alla riscossa (1951) di Paolo W. Tamburella, che, live action in bianco e nero con inclusa nel cast la storica Ave Ninchi, prende ovviamente le mosse dalla vicenda di Biancaneve.
Una Biancaneve interpretata da Rossana Podestà e in questo caso sposata con il principe Biondello alias Roberto Risco, il quale, alla notizia che il duca Bernardo ha assalito il regno, parte per la guerra e viene fatto prigioniero; perché si tratta, in realtà, di un tranello orchestrato da chi ha interesse a isolare e privare di ogni difesa la donna, che si avvia alla ricerca del compagno per finire anch’ella nelle mani degli uomini del Principe Nero, ovvero George Marchal, intento a farla diventare sua moglie. E, come il titolo stesso suggerisce, è l’intervento dei sette nani a permettere alla coppia di continuare a vivere felice e contenta.
Rimaniamo nell’ambito di riesumate produzioni nostrane in bianco e nero con Scipione l’africano (1937) di Carmine Gallone, chiacchieratissimo kolossal in costume che, aggiudicatosi la Coppa Mussolini presso la quinta Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, annovera tra le comparse un giovanissimo Alberto Sordi.
Circa un’ora e cinquanta di visione volta a seguire l’Annibale Ninchi poi rivisto ne La dolce vita (1960) qui nei panni di Publio Cornelio Scipione, che, nel 216 A.C., in seguito alla calata di Annibale dalle alpi e al massacro di cinquantamila romani nella pianura di Canne, viene incaricato dal senato di combattere Cartagine, collezionando una serie di vittorie destinate a condurre l’esercito di Roma vicino alla città nemica, con la quale si contende il primato del Mediterraneo.
Ci spostiamo, invece, dalle parti del dramma a tinte erotiche con Il corpo (1963) di Masashige Narusawa, incentrato sulla giovane Sakiko che, con le fattezze di Michiko Saga, parte da un piccolo villaggio di pescatori – dove i suoi umili genitori lavorano in un bagno pubblico – per trasferirsi a Tokyo, diventando in breve tempo l’amante del proprio capo.
Capo che la costringe a tenere un registro con tutte le sue spese quotidiane concedendole, però, la possibilità di fare una vita più agiata; fino al momento in cui viene arrestato per evasione fiscale e lasciato dalla donna che, su consiglio del suo maestro di ballo, accetta un impiego all’interno di un night club incontrando prima un membro del parlamento che non intende essere coinvolto con lei, per poi decidere di diventare una prostituta dal momento in cui, aspirando a una vita di lusso, si rende anche conto della propria attrazione fisica nei confronti di entrambi i sessi.
E il sesso non manca neppure in Quando la moglie non basta (1972) di Stanley Long, elaborato inglese costituito da cinque episodi riguardanti la tematica dell’adulterio – ma non privi d’ironia – e pullulanti bellezze femminili generosamente svestite, da Jane Cardew a Maggie Wright.
Cinque episodi che partono da un uomo di mezza età che tradisce la compagna con una bambola alla vigilia delle nozze d’oro, per approdare a una moglie contenta della relazione a tre sviluppatasi tra lei, il marito e l’amante di lui.
Passando per una modella impegnata a sedurre e a convincere di divorziare un ricco sposato insieme a cui vorrebbe convolare a nozze, una prosperosa seduttrice che fa di tutto per spingere un suo collega d’ufficio al tradimento con lei e un quarantenne che arriva a prendere una sbandata per una giovane amica della figlia.
Concludiamo con una vera e propria bizzarrìa di celluloide che, attribuita a tale Antony Weber, alcune fonti vogliono datata 1973, altre 1984: Grida di estasi.
Con un plot riguardante gli ultimi giorni di vita di alcuni sopravvissuti a una reazione atomica a catena che, all’alba del 12 Dicembre 2061, sembra aver distrutto la Terra ad eccezione di un milione di individui su una popolazione di dodici miliardi di persone, infatti, i circa ottanta minuti di visione altro non sono che l’assemblaggio di spezzoni – probabilmente operato a suo tempo dalla distribuzione italiana – provenienti da tre diverse pellicole: La città verrà distrutta all’alba (1973) di George A. Romero, un ignoto documentario provvisto di immagini di esplosioni nucleari e corpi carbonizzati e l’hard Cries of ecstasy, blows of death, dall’anno di produzione imprecisato.
Perché, pur non contenendo i dettagli pornografici, ciò che ne viene fuori gioca la carta dell’exploitation tirando in ballo il fatto che la consapevolezza della fine imminente spinge diversi personaggi ad annullare ogni freno inibitorio sul piano sessuale per rendere possibile qualsiasi perversione.
Insomma, grazie a Mosaico Media, c’è di nuovo da godere!
Francesco Lomuscio