Dalle nostre parti non lo si conosce molto, ma coloro che seguono l’universo a stelle e strisce, con ogni probabilità, saranno al corrente del fatto che il lacrosse è uno sport di squadra originario del Nord America che si gioca su un campo all’aperto e il cui obiettivo consiste nell’infilare nella porta avversaria la palla tramite una sorta di racchetta triangolare munita di tele all’estremità.
Trattandosi dello sport che viene giocato anche da alcuni personaggi della popolare saga cinematografica American pie, non poteva essere altro che Steve Rash, autore di American pie presents Band Camp (2005), a firmare Crooked arrows (2012), che, mai arrivato nelle nostre sale, vede il belloccio Brandon Routh di Superman returns (2006) e Dylan Dog-Il film (2010) nei panni di Joe Logan; incaricato, appunto, di guidare una squadra di lacrosse composta da giovani nativi americani.
Giovani che incoraggia ad avvicinarsi alle proprie radici e ai quali insegna il vero significato dell’orgoglio tribale, senza immaginare di ricevere lui stesso la lezione di vita più grande; man mano che, ispirati dal patrimonio culturale che custodiscono e fiduciosi nel loro potenziale emergente, contrariamente a ogni aspettativa riescono, insieme al coach, ad arrivare alla finale di campionato contro la squadra di un’esclusiva scuola privata.
Nel corso di circa un’ora e quaranta di visione che è Sony pictures Home Entertainment a rendere disponibile su supporto dvd tricolore corredato di tutt’altro che disprezzabile sezione extra, in quanto spaziante dal commento audio del produttore Mark Ellis e del co-produttore Neal Powless a quattro dietro le quinte riguardanti, tra l’altro, i legami tra il lacrosse e la storia dei nativi americani e una vera tribù indiana che pratica l’attività sportiva in questione.
E’ soltanto un making of di ventidue minuti, invece, ad accompagnare un’altra novità dell’home video digitale targato sony: Tre uomini un destino comune (2012) di F.C. Hamman, basato su eventi realmente accaduti.
In questo caso, abbiamo un criminale disperato che evita la morte per miracolo, un meccanico angosciato che si ritrova intrappolato tra la sofferenza e i debiti e un giovane alcolizzato che sogna di sfuggire alla disperazione ed all’indigenza; tutti e tre alla ricerca della speranza presso la Mighty Men Conference tenuta dal predicatore Angus Buchan, agricoltore di origine scozzese la cui trasformazione spirituale ha ispirato milioni di persone.
Al servizio di un dramma che, tra malattia in agguato, incidenti automobilistici ed evidenziata differenza tra l’essere religiosi e l’essere credenti, punta in maniera principale sulla prova degli attori nello sviluppare una vicenda volta da un lato a spingere lo spettatore a chiedersi se la scelta di un uomo possa cambiare la vita di molti e se le vie del Signore siano il più delle volte diverse dalle nostre, dall’altro a ribadire che la vita è un soffio e, di conseguenza, non possiamo permetterci di perdere tempo.
Per chi è in cerca di una serata casalinga maggiormente indirizzata alla spensieratezza, invece, è Koch Media a lanciare La clinica dell’amore (2012), concepito a quattro mani dal compianto Artus de Penguern e Gábor Rassov.
Ne sono protagonisti i due fratelli chirurghi John, sensibile e romantico, e Michael, incoerente ed incostante, i quali, rispettivamente con le fattezze dello stesso de Penguern e di Bruno Salomone, lavorano in tandem nella clinica diretta dal padre; fino al giorno in cui il secondo sposa Priscilla alias Héléna”Il truffacuori”Noguerra, bionda infermiera della quale è perdutamente innamorato il primo, spinto dalla delusione, di conseguenza, ad emigrare in Canada.
Fornendo, quindi, il giusto punto di partenza per una commedia che, tra trashissime sequenze che vedono coinvolti addirittura dei grotteschi orsi e abbondanza di black humour, è destinata ad evolversi con il ritorno di John in Francia, dal momento in cui il fratello lascia Priscilla per la sensuale infermiera Samantha Bitch (!!!), interpretata da Natacha Lindinger, approfittando del conseguente infarto del padre per trasformare la clinica in un centro di chirurgia plastica sull’orlo del fallimento.
E, sempre attingendo dalle novità Koch, concludiamo con Transit (2012) di Antonio Negret, in cui il Jim Caviezel de La passione di Cristo (2004) ricopre il ruolo di un padre di famiglia che, arrestato per evasione fiscale e perso, di conseguenza, il rispetto da parte di moglie e figli, propone loro di andare insieme in campeggio al fine di ritrovare l’armonia di un tempo.
Se non accadesse che l’uomo prima si trova costretto a trascorrere una notte in cella dopo essere stato fermato dalla polizia per guida spericolata, poi scopre che nel portabagagli del suo SUV è finita una sacca contenente quattro milioni di dollari appartenenti a quattro spietati assassini intenti a riaverla.
Mentre prende forma un on the road senza tregua immerso nelle paludi della Louisiana che, tra pericolosi alligatori in agguato e la formosa Diora Baird di Non aprite quella porta-L’inizio (2006) inclusa nel cast, coinvolge in maniera efficace attraverso una sequela di inseguimenti su quattro ruote, scontri a fuoco e un assedio finale.
Del resto, se la regia non risulta affatto disprezzabile, non possiamo fare a meno di notare, in qualità di produttore esecutivo, il Joel Silver che ha finanziato buona parte dei migliori action-movie degli ultimi trent’anni, da 48 ore (1982) a Jimmi Bobo-Bullet to the head (2012), entrambi di Walter Hill.
Francesco Lomuscio