Le nozze di Laura è una storia al limite tra la realtà e il sogno, tra il passato e il futuro, tra il moderno e l’antico, tra la tradizione e la capacità di cambiamento, tra il bisogno sociale di scoprire un’umanità diversa e il bisogno personale di crescere imparando a saperci difendere da chi ci vuole fare del male.
Laura è una donna di quasi trent’anni che da un paesino sperduto della Calabria si trasferisce in cerca di fortuna nella metropoli romana.
Più che di fortuna, Laura è in cerca di se stessa, di quel qualcosa o qualcuno che possa cambiarle la vita, elevarla a un qualcosa di importante per cui vivere.
E crede di averlo trovato, nel giorno del suo compleanno, in una sala di teatro; le si avvicina uno sconosciuto che dopo avere individuato la sua preda, la seduce, la mette incinta, e poi la scarica sopra di un taxi pagato ad ore, dileguandosi nel nulla…
Tutto sarebbe troppo per chiunque, ma mai come per questa provinciale un pò attempata che sognava il principe azzurro ed invece si è trovata a darla via come una sciocca, come una vera deficiente, come una incommensurabile stupida che mentre rincorreva un sogno si deve risvegliare in un incubo.
Mortificata, disperata, offesa, piena di vergogna e confusa, quando si arrende all’idea d’essere stata raggirata per bene, decide di tornare al paesello da mamma e papà, che appena la vedono e ancora non sanno nulla della sua tragedia, le comunicano che andrà a lavorare in azienda insieme alle altre lavoranti, a incartare i limoni.
E’ un modo di dirle che deve scansarsi, che deve imparare a capire come gira il mondo, che deve smettere di stare nel mondo delle nuvole, che deve cominciare a pensare a trovare marito, a sistemarsi, a far figli (lei che un figlio se lo porta già nella pancia)…
Giù in azienda, tra le altre donne di paese, fa subito amicizia con una ragazzona con cui si confida e chiede aiuto su come uscire in tempi veloci dalla sua condizione.
La nuova amica che vede le cose per come stanno e non per come le vorremmo vedere, le consiglia in tutta sincerità di abortire, le fornisce un indirizzo sicuro, la mette in guardia sulle difficoltà a cui andrebbe incontro se dovesse decidere di tenere il bambino.
Il fatto è che Laura non se la sente di buttare via quello che si porta nel ventre, sa di essere una donnina non bellissima, non intelligentissima, non specialissima, ma l’istinto a proteggersi le impedisce di rinunciare a qualcosa che sente comunque bello, comunque prezioso, comunque speciale.
Nel paese chiede aiuto anche a una zia, molto diversa dai suoi genitori, in grado di comprendere perfettamente lo stato psicologico della nipote, forse perchè lei stessa si ritrova in casa un figlio diverso, sfortunato, un figlio mai cresciuto che soffre di una specie di demenza infantile ed innocua, dove vaneggia di sentimenti cristiani capaci di far sentire importanti tutte le persone, tutte le situazioni qualunque esse siano, nelle quali si trovano per loro sventura a venire gettate.
La zia rimasta vedova le racconta sempre di suo zio che tanto le voleva bene, e che mentre era in vita aveva pensato di scolpire di suo pugno un letto speciale per Laura, raffigurante nella sua testata le nozze di Cana.
Tra le comparse femminili di quel celebre matrimonio, al quale ebbe l’onore d’essere presente Gesù, sembra ci fosse proprio una certa Laura, Laura come la Laura della nostra storia, che ancora non ha rinunciato a trovare il lieto fine alla propria condizione.
Succede un giorno che mentre la nostra beniamina sta nel bar del paese a confidarsi con Teresa, entra un giovane lavorante di colore a chiedere una lattina di lemonsoda.
Il proprietario del locale fulmina con lo sguardo la commessa dietro al bancone, che risponde mesta che la lemonsoda è finita.
Il giovane insiste, anche se con garbo.
Il diniego viene ripetuto e il giovane desiste.
Laura non comprende quella crudeltà, quella indifferenza.
Poco dopo raggiunge lo stesso che nel frattempo si è riunito ai suoi compagni sotto un albero nella piazza, e le offre il bicchiere di lemonsoda.
Il giovane lo accetta, sorpreso e compiaciuto, lo offre ai suoi cugini, per finire ne prende un sorso e poi ne versa la rimanenza sul suolo, in omaggio ai morti.
E’ un attimo, ma sufficiente per far nascere tra i due un’ immediata sintonia. I due protagonisti di questa tragedia che si sta trasformando in favola si scambiano parole gentili, piene di implicite promesse e di calore umano.
Lo spettatore di certo sta già commentando nei suoi pensieri “Dopo un emerito truffaldino tutto italiano, ci mancherebbe proprio solo un extracomunitario a concludere l’opera di demolizione di questo essere ingenuo e sprovveduto”.
Ma le vie del Signore sono evidentemente infinite.
Lui è un ragazzo del Ciad, appartiene alla religione animista, è bello di aspetto e anche di cuore, e sta studiando da medico perchè vuol portare aiuto alla gente della sua Africa.
Sembra che la situazione classica del mondo globalizzato si stia rovesciando; non ci troviamo davanti ad un’italiana che viene rincorsa da uno straniero, ma c’è uno straniero che viene rincorso da un’italiana in difficoltà.
Laura si sta innamorando di Karimu perchè vede in lui, semplicemente, tutta la bontà e la gentilezza che non ha saputo trovare in un uomo italiano, ma è anche il suo stato di donna incinta e abbandonata che fanno accelerare questo processo di avvicinamento.
Karimu si sta innamorando di Laura perchè vede in lei uno strumento della divina natura che è venuto in soccorso della sua esistenza, e l’accoglie con serenità nonostante il suo essere straniera, cioè diversa e lontana per religione e per cultura di appartenenza.
Laura è piccola e grassottella, Karimu è un gigante di muscoli e vigore fisico.
Laura è figlia di un proprietario di terra, Karimu è un lavorante pagato ad ore che alloggia presso un campeggio dove non esistono luce, gas, servizi igienici, nessuna parvenza di una vita normale.
Però Laura rischia da un momento all’altro di venire rifiutata dalla sua stessa catena sociale, mentre Karimu ha grandi progetti per sè e per chi decidesse di entrare nella sua vita.
Tutto sommato non è una coppia che non abbia qualcosa da scambiarsi e da donarsi reciprocamente.
Più la si guarda e la si ascolta parlare, più questa coppia assai strana ci convince, e spariscono ai nostri occhi di spettatori partecipi le loro differenze, le loro solo apparenti inconciliabilità.
Scopriamo anche un Karimu più tecnologico di noi stessi europei, che attaccandosi alla rete presenta la sua famiglia a Laura e Laura alla propria tribù.
Non resta che portare la lieta novella a mamma e papà, non c’è che dire loro che lei si è innamorata di un bracciante che però diventerà medico, e che porta in grembo un bambino per uno sbaglio commesso a Roma, quando ancora era una deficiente che viveva nel mondo delle favole.
E non resta che raccontare a Karimu che lei è incinta, che porta in sè il figlio di un altro.
Questa favola per essere tale non ci lascia la possibilità di abbandonarci ai sogni; Laura non sa come confidarsi con Karimu, non vuole deluderlo.
Mentre riesce abbastanza bene a vuotare il sacco ai suoi genitori, che in poche parole la cacciano di casa come un’appestata immonda e uscita di senno.
Una volta per strada Laura cerca ricovero presso la zia, e suo cugino vedendola in difficoltà decide di farsi portavoce del suo segreto presso il promesso sposo.
Naturalmente la reazione di Karimu non è subito di comprensione; la prima domanda che gli sorge spontanea è sui sentimenti sinceri di Laura.
Sposarsi per amore con una straniera sì, ma sposare una straniera solo per venire preso in giro no.
Non conta nemmeno che nel frattempo il padre di Laura lo abbia cacciato dalla piantagione di limoni, facendogli terra bruciata intorno.
Non conta nemmeno che ci si debba metter in moto verso nuovi alloggi, nuove destinazioni di cui non c’è mai nessuna certezza.
Conta che la sua promessa sposa lo abbia ingannato, non sia stata subito sincera con lui.
Laura se ne rende conto prima che Karimu fosse in grado di prendere la propria scelta, e allora corre al suo campo e le urla dalla rete di recinzione tra le lacrime e senza pudore alcuno, che lei è stata stupida, che lei non lo merita, che lui avrebbe incontrato una nuova ragazza degna del suo bene, perchè così doveva essere ed era giusto che fosse.
La favola si sta concludendo senza nessun matrimonio, senza nessun lieto fine.
Nel frattempo la zia al culmine della propria lucida follia decide di organizzare un banchetto al quale invitare chiunque si fosse trovato a transitare in quello spazio di terra.
Mentre che nessuno si vuole fermare, arrivano solo un gruppo di prostitute che lasciano volentieri la strada per assistere alle nozze di una giovane sconosciuta che offre per una volta tanto cibo e un pò di allegria.
Peccato che Laura non abbia molto da essere allegra.
Stretta nel suo abituccio bianco che sta diventando sempre un poco più stretto, sotto il suo velo di sposa improvvisata Laura è infinitamente triste, sola senza il suo sposo.
Karimu è già partito per Bologna dove troverà nuove sistemazioni e dove concluderà i suoi studi, in qualche maniera.
Quando ormai tutto sembra perso, Laura si alza e stanca sta per andarsene, ma succede il miracolo, quello della felicità che arriva ad abbracciarci quando ormai pensiamo ci abbia voltato le spalle.
Karimu ha avuto il tempo di pensarci bene, ed ha capito che nel pianto di Laura c’era tutto il suo amore sincero e vero.
E sincero lo era di sicuro, visto che per sposare il suo principe Laura aveva detto no ad un pretendente del paese molto più ricco e molto più tutto di lui…
Il riferimento evangelico alla misericordia ed al bisogno d’amore degli esseri è sempre incombente in tutta la storia, la cinepresa è sempre affondata sui volti, sui corpi fragili, imperfetti e indifesi delle persone, che però dentro la loro fragilità conservano e coltivano la forza del fare la cosa giusta e la cosa bella nel momento del bisogno.
La coppia nuziale si ricongiunge, e c’è da crederci che saprà da lì in avanti superare ogni altro genere di difficoltà, avendo ormai superato la più difficile.
Bello il pensiero che due esseri così diversi si possano conciliare, armonizzare, vincendo tutto.
Bello il pensiero che una religione cosiddetta minore come quella animista, possa insegnarci il sentimento universale della pace e della solidarietà.
Bello il pensiero che una religione tanto complessa e in difficoltà come quella cristiana, possa sapere nella vita di tutti i giorni, infondere coraggio alle persone vere, soprattutto ai più semplici e ingenui.
Una vera parabola sull’amore universale.