Le nuvole di Aristofane, rappresentate di recente dalla compagnia Castalia, incarnano l’evanescente abilità dialettica delle correnti sofistiche, che potrebbero simboleggiare il potere mistificatorio dei falsi miti di oggi
Si é conclusa il 16 marzo, al Teatro Arcobaleno di Roma, la commedia Le nuvole di Aristofane, con la regia di Vincenzo Zingaro, ovvero il fondatore della Compagnia Castalia, che valorizza l’ eredità del teatro classico antico nella cultura europea contemporanea. Le regie di Vincenzo Zingaro sono anche oggetto di studi e convegni presso l’università di Roma ‘La Sapienza‘ e altri atenei europei, come ad esempio l’università di Helsinki e di Berlino. Questo allestimento di Le nuvole mantiene pienamente lo spirito della commedia attica antica, anche per via dello scomodo e faticoso uso delle maschere.
Aristofane fu il massimo rappresentante della commedia attica antica, che si affermò nel V secolo avanti Cristo. Il termine commedia deriva da komos, che era il corteo delle falloforie (processioni festose in onore del dio Dionisio). Con il termine komos si indicava anche la baldoria che scaturiva dal simposio, un convegno in cui le conversazioni erano accompagnate da libagioni, canti, musica, poesia, danza e comportamenti lascivi. La parola komos, implicando quindi un qualcosa di gioioso ed allegro, si collegava al lieto fine della commedia. Gli attori erano invece ispirati alla farsa fliacica, un rudimentale genere teatrale codificato da Rintone di Taranto come ‘ilarotragico‘, che si sviluppò fra il IV e il III sec. a. C. I fliaci erano gli attori o i mimi, che recitavano con maschere grottesche e anche oscene.
Aristofane visse ad Atene tra il 450 a.C. e il 380 a.C., e quindi durante la guerra del Peloponneso (431 a.C – 404 a.C), le cui fonti sono Tucidide e Senofonte, e che si combatté fra Sparta e Atene con i relativi alleati. La prima fase della guerra (definita ‘archidamica‘) si concluse con la Pace di Nicia nel 421 a.C. Purtuttavia, la guerra riprese nel 415 a.C. con la spedizione ateniese dello stratega Alcibiade in Sicilia, un evento disastroso che ricondusse alla guerra fra le le due entità greche, che avevano costituito la Lega di Delo. Nel 413 a.C. si aprì invece la fase cosiddetta ‘deceleica‘, caratterizzata dall’intenzione di Sparta di fomentare scontento fra i possedimenti ateniesi. L’alleanza con la Persia, che sostenne Sparta economicamente, condusse alla sconfitta ateniese del 405 a.C. nella battaglia navale di Ergospotami, con il condottiero Lisandro che entrò vittoriosamente nel Pireo.
Aristofane, nelle sue commedie, invita al rispetto per quelle classi più disagiate, come il mondo rurale, che subirono pesantemente le conseguenze economiche della guerra. Per questa ragione, i suoi protagonisti sono personaggi tanto intraprendenti quanto incolti. Nella commedia I cavalieri del 424 a.C., ad esempio, il tiranno Cleonte verrà screditato da un salsicciaio, che riuscirà a disincantare il popolo. Emblematico anche il contadino Trigeo, che disseppellirà la pace su uno scarabeo alato. Anche le donne diventano protagoniste in Aristofane, seppur in un modo assai diverso rispetto ai tragici Euripide ed Eschilo. Se Lisistrata organizza uno ‘sciopero sessuale‘ per il bene della comunità, Prassagora si intrufola vestita da uomo in assemblea, e fa approvare una legge che prevede l’ingresso delle donne in parlamento.
Con il passaggio dalla commedia attica antica a quella nuova di Menandro la satira politica scompare, e il pubblico diviene soprattutto borghese, quindi quell’idea del personaggio di umile estrazione che si mette al centro della vicenda e risolve le situazioni non è più cosi’ ben accetta. Il coro (che in Aristofane era spesso costituito da figure animali, come ad esempio le rane o le vespe) perde la sua funzione centrale e i personaggi diventano ‘tipi fissi‘. Menandro diverrà a sua volta fonte della commedia latina di Plauto e di Terenzio (il primo più puramente comico, e il secondo più ‘introspettivo‘), che riprenderanno dalla commedia greca vari motivi, come ad esempio quello dell’agnizione di personaggi dalle origini ignote, che verranno riconosciuti grazie ai crepundia, ovvero oggettini (come ad esempio collanine con sonagli) che venivano apposti al neonato sia per proteggerlo (come amuleti) che per identificarlo in caso di smarrimento.
Le nuvole di Aristofane venne rappresentata per la prima volta ad Atene nel 423 a.C., nell’ambito di una competizione il cui vincitore fu La damigiana di Cratino. La sconfitta fu talmente ‘bruciante‘, che l’autore decise di preparare una seconda versione, scritta fra il 421 a.C. e il 418 a.C., che non andò mai in scena, ma che venne, a differenza della prima, conservata nel tempo. Protagonista della commedia è il contadino Strepsiade, indebitato a causa di suo figlio Filippide, scommettitore alle corse dei cavalli. Di conseguenza, Strepsiade decide di mandare il giovane alla scuola di Socrate, per far sì che impari a prevalere sui creditori negli scontri dialettici. Filippide all’inizio rifiuta tale proposta, così Strepsiade, nonostante sia alquanto avanti in età, decide di proporsi a sua volta come allievo di Socrate. Appena arrivato, incontra un discepolo, che gli menziona alcuni temi su cui si ragiona in quel luogo, come ad esempio il modo migliore per misurare il salto di una pulce, oppure la provenienza del ronzio delle zanzare. Strepsiade viene accolto da Socrate, che invoca l’arrivo delle Nuvole, le divinità da lui adorate. Nel frattempo giunge anche Filippide, che alla fine ha deciso di recarsi al famoso pensatoio di Socrate, dove si svolge lo scontro fra il ‘discorso maggiore‘ (macrologos) e il ‘discorso minore‘ (micrologos), che personificano rispettamente i valori della tradizione e le nuove correnti filosofiche. Filippide si dimostra un buon allievo e riesce a disorientare i creditori, però, in base a ciò che ha imparato dal vincente ‘discorso minore‘, rinnega anche con violenza il padre. La commedia si conclude con Strepsiade che incendia, per reazione, il pensatoio di Socrate, fra le grida dei discepoli.
I sofisti (sapienti), che divengono il principale bersaglio della commedia aristofanea, erano quei filosofi che nel V e IV sec a.C. resero l’insegnamento della loro disciplina una professione, poiché le lezioni venivano impartite a pagamento, e non più elargite in maniera disinteressata. Il sapiente, di conseguenza, ragionava non per perseguire la verità in quanto tale, ma solo per far prevalere la tesi del suo remunerativo committente. La ‘tecnica‘ dialettica dei sofisti era l’eristica, in base alla quale si dimostrava una tesi e anche il suo contrario, finché vinceva colui che, avvalendosi dell’arte della retorica (che in realtà era uno strumento tecnico codificato) era più abile a sostenere sua teoria. Fra i sofisti si annoverano Protagora (491 a.C.?) secondo cui l’uomo è ‘misura di tutte le cose‘ (e quindi solo ciò che è percepibile a livello sensoriale può esistere) nonché il siciliano Gorgia (485-377 a.C.), che divenne famoso per la ‘difesa di Elena‘, ritenuta da lui innocente poiché persuasa da Paride, ovvero vittima del grande potere della parola, a cui non si può far fronte con la sola razionalità.
Il filosofo Socrate (Atene 469 a.C., Atene 399 a.C.), nella commedia Le nuvole, compare in aria su una cesta (che nella messa in scena di Zingaro diventa un trono sospeso). Quando la commedia fu rappresentata il filosofo era ancora vivente, e pare che fosse divertito, più che offeso, dalla sua caratterizzazione. La vita di Socrate è assai difficile da ricostruire, poiché non esistono suoi testi scritti. Le poche notizie che abbiamo le ricaviamo dai manoscritti dei suoi discepoli, come ad esempio Platone e Senofonte. Aristofane ritrae il filosofo non poi così diversamente da come lo vedevano parecchi ateniesi, ovvero come una persona pedante, persa in discussioni astratte, che indugiava da mattina a sera nelle sue vane fantasticherie. Il motivo per cui Socrate viene descritto come ‘cavilloso‘ puo’ essere trovata in Aristotele, che lo indica come un amante delle definizioni, e che nei suoi ragionamenti non dava mai nulla per scontato, applicando una sorta di metodo scientifico all’etica. Non a caso Socrate stimava filosofi naturalisti come Anassimandro e Anassagora, anche se comunque non giunse mai spiegare l’universo basandosi su un principio puramente fisico.Probabilmente il filosofo divenne oggetto di comicità anche a causa del suo aspetto fisico, poiché Platone, senza nulla togliere alla sua morigerata bontà d’animo, lo descrisse brutto come un satiro, e anche vittima delle angherie della moglie Santippe, donna acida e scorbutica. La principale preoccupazione di Socrate era il sistema politico, a suo parere composto da uomini soltanto presuntuosi, e in preda a contraddizioni, poiché incapaci di ammettere i propri limiti. Per Socrate, infatti, la vera sapienza consisteva, paradossalmente, nell’abbracciare la propria incapacità di venire a capo con le aporie, ovvero con quelle strade senza uscita del pensiero, in base alle quali due verità si contraddicevano fra di loro. Il motto ‘conosci te stesso‘ era quindi un invito a non dimenticare la propria circoscritta condizione umana. Socrate parlava anche di un genio (daimon) che si pone a metà fra gli dei e l’uomo, e che induce verso le scelte giuste sul piano morale. Fu forse per questo che si vociferava che Socrate volesse introdurre nuovi dei accanto a quelli tradizionali.
Figlio di una levatrice, parlo’ di maieutica che, sul piano filosofico, consisteva nel ‘far nascere‘ i pensieri dell’allievo attraverso un logico dialogo, composto da battute brevi e chiare (brachilogia) e non compiendo ampi discorsi retorici (macrologia). Con grande umiltà, il filosofo amava soffermarsi a parlare con la gente, che era affascinata dalla sua carismatica personalità, seppur anteponesse la limpida coerenza logica alla sofisticata arte oratoria. Nonostante ciò, Socrate venne additato da Anito e Licone, i nuovi esponenti del governo, come corruttore dei giovani e sovvertitore dell’ordine tradizionale. Fu quindi messo sotto processo come antagonista politico, anche se si era distinto per il coraggio con cui aveva difeso la polis in battaglia. In realtà, Socrate era avverso a quel modello educativo (paideia) che sopiva la libertà delle coscienze e del pensiero.Era poi considerato un pernicioso maestro anche perché aveva avuto come discepolo Alcibiade, che era passato dalla parte degli spartani e quindi era considerato un traditore. Anche Crizia, che era stato a capo dei trenta tiranni prima che si instaurasse un regime democratico nel 403 a .C., era stato un suo allievo. Socrate, che Aristofane descrive come un simpatizzante dei sofisti, in realtà volle difendersi senza il loro aiuto, ovvero senza arzigogoli dialettici e anche senza portare i propri figli in tribunale, come era usanza dell’epoca. Il filosofo rifiutò l’esilio poiché era consapevole del fatto che cambiare città non gli avrebbe comunque impedito di continuare a insegnare, e quindi, dimostrando assai più coerenza dei suoi stessi giudici, scelse la condanna a morte.
Aristofane erge le nuvole a simbolo di certi fenomeni passeggeri che influenzano le masse col loro potere mistificatorio. Le nuvole del V secolo a. C. potrebbero quindi diventare quelle dei falsi miti di oggi, nonché di una demagogia politica che sussiste da millenni. Le nuvole di oggi sono quei potenti che si impongono attraverso la manipolazione mediatica, che distraggono dai problemi reali giocando sul puro gusto del gossip, che prevalgono con una tanto vuota quanto plateale arroganza, che temono gli elettori consapevoli, che rifuggono da ogni forma di spessore ideologico ed intellettuale. Le nuvole di oggi sono gli avvocati mercenari, che difendono l’ indifendibile, oppure sono l’inconsistenza di un pensiero che riscrive, a seconda della convenienza, intere pagine di verità documentata. Le nuvole di oggi sono le veline ed i prodotti dei talent-show, sono i plastici che servono a ricostruire i delitti nel salotto di Bruno Vespa, e anche i medici, gli psicologi e perfino i sacerdoti che si fanno belli nei talk-show. Le nuvole di oggi sono le disfatte anime che tornano dall’ ‘Isola dei famosi‘ o che escono dalla casa più spiata d’Italia. Sono quei tronisti che emulano il dio Costantino uscito dalle mani di Maria de Filippi, e che diventa perfino più credibile dell’imperatore della storia.
Tuttavia, ciò che più affligge è la tanta gente che a queste nuvole rivolge fiduciosamente lo sguardo, senza l’ombrello di uno spirito analitico, e pronta ad assimilare ogni infarcita sciocchezza che piove dal cielo. Le varie mode proposte dalla sottocultura, per dirla con un paradosso del politologo Giovanni Sartori, sono un qualcosa di talmente insidioso che può modificare l’uomo perfino geneticamente, trasformandolo da Homo Sapiens ad Homo videns: Sartori delinea i potenziali danni educativi sia della televisione che dello schermo informatico, poiché la società moderna sembra dimenticare che la tecnologia, non essendo una divinità bensì una creazione a sua volta umana, sotto certi punti di vista è tutt’altro che infallibile e perfetta:Non ho ricette salvifiche, non pretendo di fermare la tecnologia, ma non credo nemmeno che debba essere mitizzata in modo acritico. Spero che i genitori diventino più responsabili, che evitino di sostituire la balia con il televisore. Spero in una scuola capace di salvare la lettura e di contrastare il post-pensiero, invece di riempire le aule di televisioni e di computer. E spero in giornali migliori. E poi, anche se la mia fosse una battaglia perduta in partenza, non importa. (Giovanni Sartori, Homo videns, cit.da Corriere della Sera, art. di Aldo Grasso e Riccardo Chiaberghe, 24 ottobre 1997).