"Fu sempre per un caso che ci trovammo delle oche in prigione. Ignoro chi le avesse allevate e chi fossero i legittimi proprietari, fatto sta che per un certo periodo divertirono molto i detenuti e acquistarono una certa notorietà anche in città. Le oche erano nate all'interno della prigione e vivevano in cucina. Quando la covata fu cresciuta, l'intera starnazzante brigata prese l'abitudine di accompagnare i detenuti al lavoro. Non appena si udiva il rullio del tamburo e i forzati si avviavano all'uscita, le oche ci correvano dietro schiamazzando, con sbattiti d'ali scavalcavano, una dietro l'altra, l'alta soglia del portello, infallibilmente si dirigevano verso il fianco destro e lì si schieravano in attesa che fosse terminata la distribuzione del lavoro. Si aggregavano sempre alla squadra più numerosa, poi, giunti sul posto di lavoro, si mettevano a beccare lì nei paraggi. Non appena la squadra si avviava per tornare al penitenziario, le oche si muovevano subito anche loro. Per tutta la fortezza si sparse la voce che le oche andavano a lavorare con i detenuti. "Guardate, arrivano i detenuti con le oche!", esclamavano i passanti. "Ma come avete fatto ad addestrarle così?". "Prendete, è per le oche!", aggiungeva un altro offrendo un'elemosina. Eppure, nonostante tutta la loro devozione, in occasione di una qualche festività le oche furono tutte fatte fuori."
F. M. Dostoevskij, Memorie da una casa di morti, 1859
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