Magazine Opinioni
Avvenimento N°1. La moglie del presidente e gli osseti.
Attraverso la ghiaia polverosa, su una grossa Jeep nera è venuta da me la prima first lady della Georgia. Sulla strada a Tskhinvali c'erano pieno di giornalisti dei giornali georgiani e dei media televisivi: Rustavi-2, Imedi e Mze. Ma lei, camminando con leggerezza sui tacchi, venne dritta verso di me. Le guardie del corpo presidenziali, ragazzi in giacca e cravatta con piccole pistole e occhiali da sole alla moda, spostarono i giornalisti che si avvicinavano troppo. Il sole d'agosto era allo zenit. La moglie del leader della Georgia allungò la sua morbida mano e chiese semplicemente: «Lei viaggerà con me sull'elicottero diretto verso l'Ossezia del Sud?»
Un giovane viso europeo e capelli luminosi. Senza dubbio, un metro e ottanta. Parlando dolcemente un russo imperfetto, Sandra Roelofs disse che il suo corteo intendeva portare dei regali ai bambini nell'enclave georgiana, il paesino di Tamarašeni. Al confine amministrativo il reparto sud-osseto non la lasciò passare, le persone indossavano delle maschere nere. Allora lei chiamò il marito e da Tbilisi fu mandato un elicottero da quattro posti. Presto Air Force fu lì. Lei invito me e il mio operatore a volare verso quella stessa enclave georgiana insieme alla missione umanitaria. Fu l'estate del 2006. Alla guerra tra Russia e Georgia per l'Ossezia del Sud mancavano ancora due anni, ma di notte il cielo sulle cupe montagne si illuminava con raffiche di traccianti. Allora sparavano non per il pragmatico desiderio di uccidere qualcuno, ma piuttosto per uno speciale trucco caucasico o per una preoccupazioni rispetto all'avvicinamento della tempesta. Quando, dopo l'ennesima notte di fuochi, mi rivolsi per delle considerazioni al comandante delle forze internazionali di mantenimento della pace, il generale Nabzdorovu, lui di solito rispondeva: «Allora. Georgia e Ossezia, le parti non dichiarano nè morti nè feriti? Non dichiarano. Quindi, si suppone che le persone abbiano festeggiato le nozze a colpi d'arma da fuoco.» Chiaramente, Sandra mi ha ricorda come è un giornalista che viene dalla Russia, in base ai reportage televisivi. A causa del cordone delle forze di sicurezza i colleghi delle testate locali ci osservavano costantemente, cercando di sentire la conversazione di un ragazzo, quasi un delinquente da Mosca, con la moglie del presidente.
Mi guardò negli occhi una bellissima donna fiamminga. La lasciai passare. Oh, che dolce sensazione di superiorità sui colleghi-avversari, moltiplicato all'ipertrofica presunzione. Sull'elicottero, seduto davanti al Sandra Roelofs e alla sua non meno bella guardia del corpo, alla fine capii: per fortuna, mi ha scelto in quella bolgia di reporter non per il viso virile non rasato e gli eleganti occhiali Jaguar. I giornalisti russi sono «merda umana». Shit. Un anno dopo, in una battuta di pesca in montagna, Eduard Kokoity, mi confermò che diede l'ordine di abbattere i nostri elicotteri. Dissuaso dai suoi assistenti, all'ultimo momento si lasciò convincere, che «ammazzare la moglie Saakašvili va ancora bene, ma uccidere i giornalisti dalla Russia è più la spesa che l'impresa.»
«Però che uomo intelligente è Miša - ho pensato con audace cinismo, cercando di non guardare nè i jeans azzuri della bodigard né le ginocchia nude della first lady (e in una piccola cabina era difficile). - Se ci uccidono, si sarà un motivo per iniziare la guerra con i separatisti, così anche i problemi familiari sono risolti in un colpo solo.» La piccola macchina fece una curva a gomito sopra la montagna lussureggiante iniziando l'atterraggio nel enclave georgiana al centro dell'ostile regione di Tskhinvali. O il pilota dalla paura si perdette nella località (no, lui non è chiaramente il coraggioso Mimino) o per motivi di sicurezza, atterrammo in un'altra enclave georgiana, Kekhvi. Abbiamo incontrato una decina di «Volga» e di auto d'epoca. In ognuna c'era un gerogiano in borghese armato con fucili. Io e l'operatore siamo saltati dentro la nona, anche il corteo con la polvere e le urla, suonando animatamente, corse a gran velocità lungo le strade vuote. In Ossezia del Sud i villaggi di etnia georgiana e osseta sono mescolati in modo casuale. Da queste parti si usa dire «a scacchiera». Accanto a me sedeva un tizio con una camicia bianca sudata, con un «Kalashnikov» sulla finestra aperta. Mi incoraggiò l'odore di cipolla e di vino. In una situazione di pericolo le minuzie familiari della vita quotidiana ti tranquillizzano - odorano di vita, non di morte.
Abbiamo trascorso due ore a Tamarašeni. Nel corso di una manifestazione presso una scuola la bellissima Sandra ha detto qualcosa di rassicurante agli abitanti del villaggio che piangevano di gioia. Immaginate di vivere nel deserto, possiamo dire che alla vostre spalle c'è il nemico, e davanti a voi dal cielo scende una dea. Beh, se non una dea, una persona vicina al presidente. Oltre alla sua lingua nativa, l'olandese, conosce il francese, il tedesco, l'inglese, ha appreso il georgiano e il russo - in una parola, un vero angelo in carne e ossa.
Ricordo come due conoscenti donne a Tbilisi (signorine quasi con radici reali) prendevano in giro la signora Roelofs: lei non si veste come una first lady, si comporta come una campagnola, benché sia stata fortunata a uscire fuori da quel luogo remoto che sono i Paesi Bassi. In realtà, è certo che a Saakašvili è andata bene con la moglie. Un tempo lei non disdegnava il lavoro nero nel reparto della Croce Rossa Internazionale nei villaggi remoti dell'Ovest Georgia, imparò a parlare con la popolazione locale in dialetto megrelio. Gli amici e i giornalisti di Tbilisi mi convinsero seriamente che non era per Miša la poltrona di Presidente, se non fosse stato per la popolarità di Sandra là, nell'ovest del paese, in Mingrelia, che tradizionalmente non possono sopportare quelli della capitale.
Nel volo aereo di ritorno ci hanno gentilmente respinti indietro: sembra che la signora Roelofs abbia promesso di sfollare col suo elicottero due abitanti del villaggio in ospedale. Non c'era più posto, e così fu necessario per noi riuscire a tornare quel giorno a Tbilisi. In primo luogo, là si organizzava un collegamento satellitare per trasmettere il reportage a Mosca; in secondo luogo, l'indomani era prevista l'intervista con Saakašvili.
Ci assegnarono una vecchia mercedes. L'autista e assistente, uomini di mezza età con i baffi e abiti scuri, mi sembravano preoccupati.Chiaramente non erano entusiasti del viaggio imminente. Da Tamarašeni a Tbilisi c'era un'ora e mezza, ma la strada passa attraverso Tskhinvali. Già all'uscita della città, la macchina frenava con un cigolio. «Merda, siamo già al capolinea» - mi sussurrò in modo chiaro Slava, il mio operatore, e starnutì per la folata di polvere. Alla fine di una strada periferica, di sera, c'erano una ventina di uomini armati con dei fucili in silenzio . Mimetiche nere e passamontagna. Le armi non erano dietro le spalle ma davanti pronte a sparare.
In questi momenti è meglio fare ciò che ti dice l'istinto. Il mio era in silenzio, ma, per fortuna, in quel momento il cellulare si svegliò. L'editor di Mosca Lera, forte e in modo vivace mi squillò: «Vadim, come stai? Ci vogliono ancora due ore prima del collegamento da Tbilisi, ce la fai?»
La patria lontana mi ha fatto tornare in me. Scesi e mi diressi verso gli uomini in nero, tenendo in piena vista il cartellino per i giornalisti. Parlai in modo convincente, rivolgendomi al più alto, che stava un po' più avanti degli altri. «Noi siamo un gruppo di una emittente televisiva russa. Siamo in ritardo per il trasferimento del materiale video verso Mosca. Questo può essere fatto solo a Tbilisi. Potete portarci fino al confine con la Georgia?»
Senza parlare mi mostrò la sua mano, affinché mi sedessi in macchina, e dopo tre minuti estenuanti (di trattative per radio) ci fecero dei segni - andiamo! Solo dopo il passaggio del confine, ho capito per quale motivo i ragazzi che ci accompagnarono hanno sudato così tanto. Il fatto non è indossare delle giacche ad agosto, ma portare delle pistole nelle fondine sotto i vestiti e avere il tesserino da ufficiale del MGB georgiano. «Se non voi, avrebbero sicuramente sepolto noi in un fosso lungo la strada» - ha detto il più anziano. Non un veggente, ma anche allora sembrava che la famosa guerra tra georgiani e osseti sarebbe successa sicuramente. Al mattino un uomo alto e grosso con un abito blu, entrò velocemente in sala con una bandiera di stato, e sorridendo allegramente, disse: «Beh, ho visto in tv, come lei e mia moglie avete volato ieri. Uno spettacolo affascinante!»
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