[Le onde] 12. Atlantide

Creato il 03 giugno 2012 da Spaceoddity
Le onde
di Roberto Oddo
12. Atlantide
Martin apre la porta e ci precede dentro. La casa è buia e dovrebbe prendere aria, magari per far passare la luce delle stelle di Colonia. Greta china lo sguardo in segno di rispetto, mi porge la mano senza perdere il contegno e mi indica la stanza. La stanza è di là dal corridoio, in un appartamento piccolo, sebbene a suo modo curato. Kostas mi segue dentro e dentro c'è poca gente, tutti sconosciuti che tacciono, sì, ma tacciono in tedesco: perfino questo è insopportabile per lui, che rende i dovuti omaggi, omaggi che non comprendono, e mi dice che si ritira nell'altra stanza. Nell'altra stanza, però, dove non c'è un morto che giace in attesa della sepoltura, ci sono persone che in tedesco parlano: così non fa in tempo a sedersi e vaga irrequieto tra le sedie messe lì alla rinfusa, occhieggiato dallo sguardo ironico di Martin, che se ne sta in disparte anche dagli abbracci occasionali di sua madre. Entro per accertarmi che tutto sia a posto, guardo quel volto e lo imparo a memoria per l'ultima volta. Lo porto con me uscendo dalla camera e Kostas, vedendomi alla porta, mi raggiunge nello stretto corridoio che separa i due ambienti e lì rispondo come credo al suo sguardo interrogativo.
"Mia madre è morta neanche tre giorni dopo la mia nascita e fui portato subito dai nonni." Greta, che deve passare da lì e parla bene l'inglese, comprende che la conversazione è lunga e mi fa cenno di spostarmi in cucina, dove non c'è nessuno, ché qui la mia storia intralcia le persone che devono passare. Mi viene da ridere, ma non voglio che qualcuno inciampi su di me, così io e Kostas, in questa casa estranea a entrambi, passeggiamo per il corridoio. "Mio padre, non sapendo come accudirmi, dopo neanche una settimana mi ha portato subito dai suoi suoceri, certo che la cura di un piccolo nipotino avrebbe loro levigato via via l'affanno per la perdita della figlia. Ma i nonni abitavano su a Erice", continuo, alzando anche il volume, con rabbia poco contenuta e indifferente ai dettagli geografici ignoti a Kostas. "Così mio padre non sempre poteva venire da Trapani, lui che si spostava verso l'interno per vendere enciclopedie immacolate a famiglie che le avrebbero chiuse negli scaffali più riposti. Pare che fosse bravo, ma allora non c'era già più mercato. Così andò in Germania, conosceva un po' il tedesco da mio nonno, che aveva lavorato anche lui lì, e lo approfondì per le circostanze, imparandolo benissimo. In realtà voleva conoscere un autore di cui pare che ultimamente parlasse sempre, poco più grande di lui, ma già celebre tra i ricchi borghesi tedeschi. Si chiamava Andreas e papà, che sapeva toccare le corde giuste anche di strumenti a lui ignoti, arrivò a conoscerlo." La voce si fa decisamente alta e Greta esce a rimproverarmi con lo sguardo. "Si conobbero e si fecero tanta simpatia, lui e Andreas, ma soprattutto lo scrittore gli presentò sua sorella, parecchi anni più giovane di lui, quella là". Con una complicità che ormai sto imparando a dosare con Kostas, specie quando si parla di donne, gli indico la stanza dove mio padre conosce il riposo e sua moglie gestisce le pubbliche relazioni. "In breve si sposano e hanno un figlio che i miei nonni mi nasconondono. Ma l'imbarazzo dura poco, perché il bimbo muore presto. In quel periodo, io dimenticai quasi di avere un padre, ho frequentato le scuole elementari senza conoscerlo, facevo volare gli aquiloni e non c'era altro che si potesse dire, perciò ascoltavo storie lontane che ci si aspettava o meno che io credessi, come di figli che si allontanano e ammainano vele sbagliate e di padri che si uccidono, di poeti che cantano all'inferno per riavere le proprie muse o di isole che affondano con tutto il loro scrigno di libri arrotolati e di sapere. Alla fine della prima media... no, della seconda, mio padre scese di nuovo, con lei, e lei era di nuovo incinta. Me li ricordo felici, che dicevano di qua e di là, del cielo terso di Trapani e delle stelle di Colonia, queste più antiche di quello... ed eterne. E di un figlio che sarebbe nato al buio, rideva, per venire alla luce da grande... ma che da grande!, ogni anno in Sicilia! Avrei avuto un fratello, ma un fratello lontano e che rimase lontano. E un padre che non conoscevo mentre diventavo uomo anch'io. Finii le medie, il liceo, finché decisi di continuare gli studi, mi iscrissi a Lettere per tutte quelle storie che avevo ascoltato da piccolo e con un Erasmus, per strane coincidenze, mi trovai a Berlino. Decisi che ci sarei rimasto, affrettai gli studi e nel frattempo intessevo rapporti in Germania, almeno in questo lei", ma stavolta non la indico, fidandomi della consuetudine, mi fermo un attimo e riprendo: "Lei mi è stata d'aiuto, e ora, come certo sai, sto finendo il dottorato lì. Nel frattempo ho incontrato Barbara..."
Ma Kostas mi interrompe, quest'ultima è una storia che non vuole sentire: "Io invece avevo un nonno..."
"... ma Barbara mi ha lasciato solo con il suo corpo in testa e il mio dolore." Talvolta ho l'impressione che le donne siano un alibi per compiangerci e discutere tra maschi. Kostas però mi smentisce, finge di non essere stato interrotto a sua volta e continua: "Avevo un nonno, viveva con noi e non stava tanto bene. Però era simpatico, veniva dalla ventosissima Corinto, come mia madre, e diceva che la Grecia si sarebbe divisa in due, avrebbe perso la sua isola. Diceva che le navi fanno le onde e le onde poco alla volta, sbattendo e sbattendo ancora e ancora con forza sulle rive scoscese, portano via i lembi di terra che fino a poco tempo prima si baciavano, sai?, l'acqua cancella tutti, come due amanti di cui mi disse una volta: la bella Ero e il forte Leandro, che non comprendevano perché fossero stati separati dal mare. E un giorno di tempesta, il ragazzo dopo molte esitazioni, infine si spogliò e fece per raggiungerla, ma i venti e le onde lo seppellirono e il mare è tutto sopra di lui, ormai, su di lui e sulle anime che si chiedono delle onde. Atlantide, nessuno l'ha mai vista perché ha appena cominciato a navigare. Ecco, un giorno la Grecia perderà la sua isola, per i scostanti giochi dell'amore, per quelle ritrosie, e qualcuno nel Mediterraneo si troverà tra le braccia quell'isola e, in cima a uno dei suoi promontori, una donna troppo amata da altri e perduta dalla sordità del vento. Quel giorno non è lontano, quel giorno in cui la Grecia vagherà, spinta tra le onde alla ricerca di un porto, avvistata e poi perduta e magari affonderà risucchiandosi tutto il cielo... e anche le stelle di tuo padre sopra di sé. Quello sarà l'inizio di nuove storie." Mi guarda: "Anche se vorrei proprio sapere chi potrà raccontarle."

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