di Roberto Oddo
3. La lettera da Colonia
Di notte, a Berlino il silenzio è furtivo. Sempre pronto a smentirsi, si acquatta dietro voci randagie. Anche la Sprea sembra scorrere su un letto vellutato di dune sabbiose. I canali attraversano il Tiergarten come vene di un uomo morto, dissezionato sull'igiene spartana di un tavolo operatorio. Pochi passi onirici dall'altra parte della strada possono accompagnarti, ma sfumano il loro crepitio in qualche viottolo, per sparire tra i cespugli. Non ci sono spettri qui, perché nessuna storia può volteggiare su questo buio più di qualche ora; non ci sono echi, non ci sono pareti dove una voce risuoni. Qui si smarrisce tutto ciò che ti cade di mano, per questo non sono venuto mai con su questi prati con le mie ragazze-in-incognito, a meno che non ne avessi dimenticato il nome prima ancora di sapere dove portarle.
Penso che devo dirglielo, al greco, di stare attento a Barbara, che ne sa lui di Berlino?, e intanto squilla il cellulare. Neanche ìl suono troppo alto di una sintetica Piccola serenata notturna scuote il torpore del Tiergarten e la lascerei aleggiare ancora a lungo. Svegliati, città del cazzo. Non conosco il numero e rispondo perplesso. Però mi perseguita il silenzio e dopo un paio di secondi precipita la linea in un'intuibile imprecazione maschile dall'altro lato. Ricompongo il numero, ma non c'è più linea. Così chiamo Gil a casa, nel timore che fosse lui, da qualcuno dei tanti cellulari che si dimenticano al ristorante.
Con mia grande sorpresa, risponde subito. "Ti stavo appunto raggiungendo."
"Ah, pensavo che dormissi. Mi hai chiamato?"
"Sveglia, giovane. Non ho telefonato a te, adesso." Scoppia a ridere: "E, certo, non lo avrei fatto nel sonno!"
"Ti aspetto alla nostra postazione sulla Ebertstrasse." Ho la voce più impastata della sua, sembra che sia stato lui a fare irruzione nella mia notte.
"Arrivo." E chiude, come se la cornetta gli fosse caduta di mano e non fosse importante riprenderla.
Mi seggo su una panchina, con le spalle al brusio ammiccante delle foglie: Vieni tra le nostre carezze. Prendo la busta più esterna dalla tasca dei jeans, quella che porta il timbro di Colonia; e aspetterei pure che la vista si abitui alla penombra, ma devo evitare che Gil mi distragga e mi costringa a completare la lettura al ritorno. Così uso la carica residua del cellulare per far luce sul foglio. La carta è ruvida e viola, il testo segue le righe e i margini, è anche pulito, ma privo di eleganza, come di qualcuno per il quale la fretta abbia faticato ad avere la meglio sul disordine e la sintassi sull'urgenza di scrivermi.
Ci metto qualche minuto a finirla, e devo ricominciare più volte da capo, finché non mi si ricompone davanti, come quando da bambino pulivo rapidamente con una mano lo specchio appannato dopo la doccia, districandomi nella nebbia improvvisa che montava sul mio viso. Infine, penso di avere capito.
Caro Tonio,
scusa se non mi sono fatto vivo per un po', torno solo adesso a casa. Il funerale di Andreas è stato magnifico. Tutta la città sembrava voler partecipare, le onde dei visitatori sommergevano il duomo a intervalli regolari, anche se poi molti hanno preferito la loro monotonia. Ma ti dicevo di Andreas: peccato che lui non ci fosse - vivo, dico. Sarebbe stato contento di vedere tutti i suoi libri esposti in fila sui leggii lungo la navata centrale. La bara ha dovuto farsi largo tra gli altri ammiratori e tra le copie cadute dei suoi romanzi. Un imbecille ha raccolto Su questo ponte e mi ha chiesto se lo conoscessi. Non gli ho risposto e per fortuna la musica ha coperto il mio sdegno. Te l'ho mandato, mi pare, Su questo ponte. Era quello con la copertina azzurra e bianca. Controlla, nel caso te lo prendo qua, in un giorno ti arriva. Aspetta, ma ti va bene in tedesco? Tu a che punto sei? L'ultima volta ancora non avevi idea di come usare il congiuntivo. Ma tranquillo, a giorni dovrebbe uscire una traduzione in inglese, sarà presentata per il trigesimo, qui alla stazione. Sai?, Andreas ci teneva tanto a rimanere in movimento. Bene, ora ti saluto, ma presto riceverai il libro e, quando usciranno gli inediti, anche quelli.
Ti voglio bene,
papà.
Ripiego la lettera, mentre la ripasso mentalmente per impararne i dettagli, nel caso che poi mi chiami e mi interroghi sui sottintesi, tra le lusinghe degli alberi dietro di me. Al momento, però, ci pensa Gil, che forse mi osservava da tempo, con lo sguardo perso per aria a sistemare dettagli e alibi. Evita di chiedermi qualunque cosa, ma fissa la busta ancora nelle mani.
"Sei strano."
"Ti eri addormentato e sono uscito."
"Già. Bastava chiamarmi." Poi, non ricevendo risposte: "Cattive notizie?"
"Qualcosa del genere. Insomma, un funerale e tanta carta."
"Non sapevo che avessi avuto un lutto in casa." Prende un tono formale. "Mi dispiace."
"Grazie. Ma il peggio è che presto chiamerà mio padre."
"Gli farò le condoglianze personalmente." Ma sembra a disagio, come se si fosse accorto solo adesso che la panchina è troppo fredda. "Aspetta, non è..."
"Non è Greta, tranquillo." Mi diverte vedere Gil sulle spine, perciò non smetto di fissarlo negli occhi. "Supererà anche questa, tranquillo. È... era Andreas."
"Ah, beh", sospira, sollevato. In un momento sul suo viso ben rasato prende forma un ghigno cattivo: "Hanno già proclamato il lutto nazionale?"
"Stronzo." Ma mi rilasso anch'io. "Aveva i suoi lettori." Ma non cerco neanche di prendere un tono obiettivo o di trattenere il sarcasmo. "Per esempio... papà".
"La Germania ha perso il suo vate", si beffa Gil, alzandosi. "Andiamo, pivello. Fra un po' vedrai tutta Berlino fare jogging in abiti da lavoro attraverso la Porta di Brandeburgo."
"Aspetta, volevi uscire o venirmi a recuperare? So tornare anche da solo."
"Ero intenzionato a fare due passi e non c'era niente di meglio che venirti a raccattare."
"Non sono un relitto."
"Parli così perché non ti sei visto allo specchio."
"Stronzo. E sia, andiamo, ma passiamo da Potsdamer Platz."
Lui mugugna, con la voce rauca di stanchezza.
"Dormiremo domani. Adesso dobbiamo brindare ad Andreas."
"Alla salute", conclude lui, sbrigativo. E mi segue nel suo sonnambulismo impensierito dell'alba. Vibra il mio cellulare: ho appena il tempo di leggere un messaggio di Barbara per l'appuntamento di oggi con lei e Kostas. La batteria cede e il silenzio si impadronisce ancora di Berlino.
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