Le origini del Cristianesimo in Terra d’Otranto
24 maggio 2013 di Francesco Danieli
Il tacco e la punta dello stivale italico, secondo l'antica ripartizione geografica
Cercare di determinare con rigore storico tempi, modalità e vicende riguardanti la prima diffusione del Cristianesimo in Terra d’Otranto certo non è impresa facile. Se infatti, per la scarsità di testimonianze archeologiche e documentarie, ben poco conosciamo delle comunità pugliesi dei primi tre secoli dell’era cristiana, ancor più oscuro appare il processo di cristianizzazione della penisola salentina.
Sono gli atti di tre concili a fornirci le prime notizie circa l’istituzionalizzazione della Chiesa pugliese. Da essi sappiamo che al Concilio di Arles, nel 314, partecipò un tale Pardo, vescovo di Salpi, città dauna a sud di Siponto, per discutere sulla questione donatista. Nel 325, invece, a Nicea, nel tentativo di arginare l’eresia di Ario, abbiamo notizia della presenza di un tale Marcus Calabriae, secondo alcuni vescovo di Brindisi e per altri di Otranto. A Sardica, poi, al concilio tenuto tra il 342 e il 343, si recò Stercorio, vescovo di Canosa, insieme ad altri vescovi provenienti dall’Apulia e dalla Calabria. È conveniente ora ricordare che, in base alla divisione della penisola italica che Augusto aveva posto in atto durante il suo impero, l’attuale Puglia coincideva con la regio secunda, seconda, appunto, di undici regioni. Essa comprendeva l’Apulia, la parte settentrionale, e la Calabria, che corrispondeva al nostro Salento. Quella che oggi denominiamo Calabria in epoca imperiale e fino al VII secolo era, invece, denominata Terra Bruttiorum.
Mentre per la Puglia settentrionale (Canosa, Bari, Egnazia, Herdonia) conserviamo svariate testimonianze letterarie e archeologiche, gli unici riferimenti più antichi alle comunità cristiane di Terra d’Otranto li traiamo dagli scritti di Atanasio d’Alessandria. Questi, nella Apologia contra Arianos, facendo menzione dei vescovi antiariani partecipanti con lui al concilio di Sardica, fa riferimento a presuli provenienti «ex Apulia et Calabria» e, dunque, oltre che dall’alta Puglia anche dalla parte più a mezzogiorno. Da ciò comprendiamo che già a partire dalla metà del sec. IV l’intera regione era guidata da un episcopato ben distribuito sul territorio nonché pastoralmente e intellettualmente preparato, tanto da potersi esprimere nel corso di delicate e importanti dispute teologiche. Sorge allora spontaneo l’interrogativo sul perché nella penisola salentina non vi sia traccia di reperti o monumenti paleocristiani se non prima del sec. V, con i mosaici di Santa Maria della Croce in Casaranello. Tra l’altro, la nascita delle diocesi salentine più antiche viene suppergiù fatta risalire a questo periodo. La sede brindisina, qualora abbia avuto come presule quel Marco di Calabria sopraccitato, potrebbe essere stata fondata già nel sec. IV; l’istituzione di Otranto a sede episcopale viene collocata nel sec. V; quella di Lupiae (l’odierna Lecce) e Gallipoli viene fatta slittare fino al sec. VI.
Cattedrale, Otranto. Particolare della facciata
Nonostante i dati finora riportati, sarebbe stolto concludere che in Terra d’Otranto non siano esistite comunità cristiane prima del periodo compreso tra il IV e il VI secolo. La stessa connotazione geografica del territorio salentino induce a pensare il contrario. Il mare è sempre stato l’elemento naturale primario grazie al quale i popoli hanno potuto intessere tra loro rapporti culturali ed economici in grado, spesso, di trasformare intere civiltà. Non è possibile pensare alla diffusione del Vangelo in Puglia senza far riferimento alle sue coste e ai suoi importanti scali portuali, così interessati dall’interscambio con le popolazioni dell’Egeo e di gran parte dell’Oriente mediterraneo. Il Cristianesimo, dunque, giunse nel Salento con tutta probabilità dal mare, diffondendosi rapidamente proprio a partire dalle principali città costiere. I primi ad aderirvi furono i mercanti e gli uomini dediti alla navigazione. Grazie ad essi, la nuova dottrina poté attecchire nelle località interne, attraverso la fiorente rete viaria che le univa alle città costiere o che conduceva a Roma. Non va affatto sottovalutata, inoltre, la posizione intermedia della Regio secunda Apulia et Calabria tra l’Oriente e la capitale dell’impero. La sua era una posizione strategica, al punto tale da far pensare che i primi evangelizzatori siano giunti già nel sec. III proprio dalla Chiesa romana, da tempo ormai ben strutturata. Si può dare notevole credito anche a tale ipotesi se si considera che la rete viaria, fin dal 109 d. C., appariva potenziata e ultimata anche nelle sue diramazioni più interne. Attraversavano la regione, infatti, la via Appia del periodo repubblicano, che collegava Benevento con Venosa, Gravina, Taranto, Oria, Masseria Muro e Brindisi, e la via Appia Traiana, più importante della prima, che, sempre da Benevento, attraversando centri come Canosa, Ruvo, Bitonto, Bari, Egnazia e Brindisi, si spingeva sin nel basso Salento raggiungendo Lupiae e Otranto. La via litoranea per Lucera, infine, costeggiando l’Adriatico, giungeva sempre a Brindisi dopo aver toccato Siponto, Barletta, Trani e Bari.
Santa Maria della Croce, Casaranello. Particolare dei mosaici (sec. V)
È dovuta molto probabilmente all’eccessiva esaltazione del binomio “mare-strada”, in unione a tutta un’altra serie di fattori, la nascita della cosiddetta traditio petrina, che vedrebbe nel Principe degli Apostoli il diretto fondatore di numerose comunità ecclesiali pugliesi.
Le comunità cristiane salentine sarebbero nate in seguito alla predicazione dell’apostolo Pietro in persona, che vi sarebbe passato nel suo viaggio da Antiochia a Roma. Storicamente smontata ormai da tempo, la tradizione petrina di Puglia è fatta risalire a quella serie infinita di eziologie ecclesiastiche tipicamente medievali, create ad arte per dare autorevolezza alle Chiese locali e aumentarne il prestigio e i privilegi. In modo particolare, tale tradizione è riferibile all’antica appartenenza di gran parte del territorio salentino al patrimonio petrino.
Sta di fatto che almeno fino al sec. VIII, nonostante le prime istituzioni diocesane, il Salento fu un caotico scenario di iniziale organizzazione. La fede cristiana era stata ufficializzata da Costantino in tempi relativamente recenti (con l’Editto di Milano del 313) e nulla impedì che elementi precristiani, saldamente ancorati negli animi delle popolazioni locali, potessero sopravvivere. Numerosi costumi paganeggianti, in forme pur limitate, confluirono senz’altro nel nuovo credo religioso fino a fondersi progressivamente in esso.
Il vero salto di qualità avverrà più tardi, grazie all’azione evangelizzatrice dei monaci greci, giunti dall’Oriente nelle nostre terre per sfuggire alle persecuzioni degli imperatori iconoclasti. Fin dai regni di Leone III l’Isaurico (714-741) e soprattutto di suo figlio Costantino V (741-775), di Leone V (813-820) e di Teofilo (829-842) tale presenza missionaria in Terra d’Otranto contribuì in maniera importantissima al compimento e all’arricchimento del processo di cristianizzazione avviato già diversi secoli prima e ora volto in modo particolare al dissodamento dagli ultimi manifesti residui del sostrato pagano.