Dici Gareth Pugh e dici tutto... è come venire in Italia e dire Maria De Filippi o Bunga Bunga... il 70 % delle persone adorono entrambe le cose e sono iscritti al loro fan site... la restante parte, che in apparenza li odia, sotto sotto li sostiene ma dietro un prudente nickname. Gareth Pugh è così, non puoi amarlo o odiarlo perchè c'è sempre qualcosa che ti affascina, un capo che sotto sotto ti porta a pensare "Cavolo, quello però lo indosserei" anche se pesi 200 kg e hai il coraggio di andartene in giro su un motorino della Piaggio ingolfato.
Silhouete affilate, alla coltello Shogun, di quelle che tagliano indifferentemente pane, pesce e carne come carpaccio: ogni capo ha un profilo appuntito e verticale come pietra scheggiata.
Le superfici, specie nei cappotti, con cuciture usate in modo grafico è un territorio scandito come in una macrofotografia scattata sul makadam arso dal sole: copertoni Michelin srolotati su corpi esangui ed emaciati. Couture la parte finale dove l'argento specchiante della collezione precedente si riscalda di tinte dorate con cappotti sarcofago che ricordano gli antichi tesori dell'Egitto e il sempreverde ed affascinante culto dei morti. Pugh ha un linguaggio proprio fatto di codici e silhouette precise che spesso si confondono con quelle considerate da Owens per poi riemergere con una personalità singolare e altamente definibile. Bella: un 8.