"Le paludi della morte" di Ami Canaan Mann
Creato il 10 giugno 2012 da Luca Ottocento
Il secondo lungometraggio di Ami Canaan Mann, figlia del celebre
regista Michael Mann (qui in veste
di produttore), è un perfetto esempio di quanto sia fondamentale, ai fini del buon
esito di una pellicola, una sceneggiatura solida e coerente. Se viene a mancare
questa componente fondamentale, infatti, non c’è altra virtù artistica, per
quanto raffinata, che possa davvero rimediare all’assenza: il risultato sarà
sempre un film con evidenti problemi, lungi dal poter essere considerato riuscito.
Del resto, fin dall’epoca dello sviluppo del linguaggio classico registi e
produttori di Hollywood si sono accorti di questo dato ineludibile. Tant’è che
non capita spesso di imbattersi in un caso come Le paludi della morte,
dove le diverse incongruenze della sceneggiatura finiscono per compromettere un
film assai suggestivo dal punto di vista della messa in scena e con degli
attori in grado di fornire prove di ottimo livello. Generalmente, infatti,
quando la sceneggiatura non è all’altezza, la regia e soprattutto il cast ne pagano
proporzionalmente le conseguenze.
Presentato in concorso allo scorso
festival di Venezia (dove comprensibilmente non fu ben accolto dalla critica
internazionale) e ispirato ad eventi realmente accaduti, Le paludi della morte narra la storia di Mike Souder (Sam Worthington) e Brian Heigh (Jeffrey Dean Morgan), due agenti della
polizia di Texas City che indagano sulla morte di una minorenne. Nel corso
delle indagini, i due si ritrovano coinvolti nelle investigazioni portate
avanti dalla ex moglie di Mike, Pam Stall (Jessica
Chastain), alle prese con un serial killer che, dopo aver ucciso le
vittime, abbandona i loro corpi mutilati nelle “Killing Fields”, le paludi che
pur trovandosi a pochi chilometri da Texas City non rientrano nella
giurisdizione di Mike e Brian.
A causa della lacunosa sceneggiatura
dell’esordiente Donald F. Ferrarone,
ex agente della DEA (il Dipartimento antidroga degli Stati Uniti) che negli
scorsi due decenni ha lavorato come consulente tecnico e produttore associato in
alcuni progetti di Michael Mann e Tony
Scott, le indagini si sviluppano in modo macchinoso, farraginoso e, in
alcuni casi, anche ben poco logico. Fino a rendere le dinamiche della storia,
nonché alcuni dialoghi fra i personaggi, difficilmente comprensibili e sostanzialmente
irrisolti.
Davvero un peccato in quanto, come si accennava
in precedenza, Ami Canaan Mann – con alle spalle un lungometraggio (Morning,
2001) e qualche episodio di serie televisive – dimostra di aver talento nel
creare le atmosfere adatte (interessanti ad esempio l’uso del paesaggio paludoso
o l’affascinante contrasto di colori tra le ambientazioni diurna e notturna) e
di possedere delle idee registiche non scontate e piuttosto originali (suggestivi
alcuni dettagli e inquadrature strette sui personaggi, così come i fluidi
movimenti di macchina a seguire l’azione). In più, Jeffrey Dean Morgan, Sam
Worthington, Jessica Chastain e la giovane Chloë
Grace Moretz offrono delle interpretazioni convincenti e intense, capaci,
insieme alla forza espressiva della regia, di catturare per tutta la durata del
film lo spettatore. Lo stesso spettatore, però, costretto ad accumulare
progressivamente dubbi sull’evoluzione della trama e che, fino all’ultima
inquadratura, spera invano in un colpo di scena finale capace di risolvere
logicamente le incongruenze e le contraddizioni dello script.
Pubblicato su TaxiDrivers
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