E’ l’ultimo giorno di ottobre, la città è addobbata a festa per la serata di halloween e la leggera pioggia che cade rende il tutto come uno scenario costruito in un set. Finalmente è arrivato il giorno della conferenza stampa per la mostra di Henri Cartier-Bresson alla Reggia di Caserta, e nonostante il tempo fuori non posso perdermela, non devo. Dopo una passeggiata a piedi tra macchine in coda, pioggia e neanche un pullman che parte per arrivare al Palazzo Reale, arrivo in biglietteria, con il mio libretto universitario, pronto a lasciarmi trasportare dalla bellezza delle fotografie. Inoltre a breve chiuderà anche la mostra dedicata a Keith Haring, in esposizione con il suo fantastico Murale di Milwaukee. Un pezzo pregiato della Pop art mondiale, nato come recinzione per il cantiere della Marquette University dell’omonima città, che ha girato in esposizione per il mondo intero. Per non parlare dell’altra esposizione d’arte contemporanea, Terrae Motus.
In biglietteria chiedo un biglietto per studenti di Lettere Moderne porgendo il libretto alla cassiera, che prontamente mi risponde dicendomi che non ho sconti, ma devo pagare il prezzo pieno della visita agli appartamenti, in quanto, anche se studente di una facoltà umanistica, non ho diritto ad agevolazioni come magari studenti di Lettere Classiche, Architettura e Storia. La cassiera si scusa e si giustifica elencandomi una serie di norme stabilite dalla sovrintendente, Paola Raffaella David. La stessa ‘responsabile’ del degrado di uno dei patrimoni dell’umanità più belli e invidiati al mondo.
Mi domando le tasse regionali aumentate del 126% a cosa servano, e pago il mio biglietto.
Incamminatomi verso lo scalone principale, non noto alcuna indicazione che avvisi sul percorso da seguire ma, altresì, noto con rammarico che, dopo i tanti articoli di denuncia dei giornali, dopo il servizio del Tg1 e le numerosissime promesse fatte dal sindaco Del Gaudio, l’intero corridoio centrale della Reggia è ancora pieno di abusivi. Abusivi di ogni tipo, venditori di brochure, venditori di numeri, venditori di talismani e scaccia sfortuna, ma anche ombrelli, cappelli e braccialetti. Ognuno di loro ti chiama, si avvicina, “che bello guaglione”, “‘na cosa a piacere?”, provando a venderti un’aggiornata guida turistica del parco.
Non ho tempo per dare spiegazione dei miei no, e così, a passo svelto, salgo l’imponente scalinata con i due leoni ai lati e arrivo all’ingresso dello spazio espositivo. Consegno il biglietto all’impiegata. Altro intoppo. Il mio ombrello non può entrare nelle stanze. Chiedo come posso fare per non doverlo buttare, e mi viene detto che devo scendere nuovamente in biglietteria e depositarlo nel guardaroba.
Scendo rapidamente le scale per non perdere altro tempo – tra fila alla biglietteria e gli ambulanti è passata già mezz’ora – e arrivo all’esterno del guardaroba, dove noto con piacere la lunga fila di studenti che devono lasciare lì le loro borse. Ormai stanco, poso l’ombrello nell’immondizia e salgo su a testa bassa.
Ad un primo impatto, le stanze dove sono istallate le opere si presentano agli occhi come ben allestite e ben illuminate, ma più avanzo e più mi rendo conto dell’approssimazione con la quale sono state posizionate, luce sbagliata, scarsi spazi di osservazione, cartelloni ingombranti.
L’opera di Warhol all’ingresso, il “Fate Presto”, fa da preludio alle foto del maestro Bresson.
Appena dinanzi a quelle fotografie, il tempo sembra fermarsi, ed anche qui, gli allestitori della mostra hanno marcato la loro incapacità professionale, posizionando le foto, incorniciate in vetro, in linea diretta dei fasci di luce provenienti dai lampadari delle stanze. La morale è stata il dover osservare e cerca di apprezzare capolavori stando magari chinato sulle gambe, con le spalle storte, o ad oltre tre metri di distanza.
Continuo il mio percorso alla ricerca del Murale, e per arrivarci osservo ancora una volta la bellezza delle opere contemporanee della mostra Terrae Motus, accompagnato da una guida-custode delle stanze che mi osserva ad ogni mio passo, quasi come se minacciassi di rovinare qualche creazione. Anche qui ci sarebbe tanto da dire, come ad esempio le luci spente che avrebbero dovuto illuminare una serie di sculture, o magari faretti che puntano dritti sui quadri, non consentendo una libera osservazione.
Finalmente arriva anche il momento del Murale. Giunto nello spazio espositivo, dopo aver girato per le stanze reali, all’interno delle quali è impossibile non imbattersi in alcune impiegate, sedute su sedie di legno che scambiano chiacchiere a toni alti e abbastanza coloriti, mi ritrovo finalmente dinanzi all’opera che da giugno è situata all’interno della Reggia vanvitelliana.
Installato per necessità in due parti, il Murale riempie un’intera stanza, più piccola di quanto sarebbe stato necessario a consentire una perfetta osservazione dell’opera. Anche qui le luci la fanno da padrona, puntando direttamente sulle zone bianche dei pannelli di legno che compongono l’opera, e andando così a riflettere in malo modo i colori arancioni in contrasto con i neri. Provo varie prospettive. Mi metto di fianco al Milwaukee Wall, centrale, abbassato sulle ginocchia, ma non c’è nulla da fare, sia le luci, sia i cartelloni informativi, non mi permettono di vedere l’opera al completo.
Non è finita. La parte posteriore del Murale è completata da altri disegni di Keith Haring, eppure il direttore dei lavori alla Reggia ha pensato bene di installare i pannelli di legno contro le pareti della stanza impedendo così una corretta visione dell’intera parete.
Finisce così la mia mattinata all’insegna dell’arte contemporanea a Caserta. Il percorso verso l’uscita è un continuo chiedermi come sia possibile che ci sia tanta approssimazione e tanta incompetenza nel gestire e nell’organizzare seriamente spazi espositivi in città. Poi, una volta fuori, alzo gli occhi verso quel che ne resta del palazzo borbonico, sotto una pioggia battente, e mi rendo conto che non merito risposta. La Reggia è in pieno degrado e molte delle responsabilità sono imputabili, oggi, alla Sovrintendente David.
Di Emanuele Repola