Dalla mia Beatrice, una manciata di parole che mi suonano come un canto di amore per la vita e per la poesia. Parole che mi piacciono come un grande augurio di buone feste per tutti.
Le parole mi scorrono dentro, libere, mi attraversano e mi prendono. Sono sangue, sono vita. In esse, professore, mi c’interno. E con esse ritorno fuori e abbraccio il mondo. Non sono rincitrullita e lo so che le parole scritte resteranno scritte in eterno, e che le mie parole, invece, sono come nebbia nel vento che scappa, sono fumo che sale al cielo. Ma la parola detta, la parola cantata, è bella perché è unica, perché è tutta piena di melodia. E questa melodia conta più di me e persino più di lei, professore. Perché la bellezza è fiore che sfiorisce e poi ritorna. Perché la poesia è bellezza e la bellezza dura per sempre, anche quando sparisce. Perché è gioia che rimane, splendore che aumenta. E se gli altri se ne scorderanno alla svelta, noi le troveremo sempre un posticino indisturbato, come una pietra preziosa in uno scrigno. E sarà dolce sogno, carezza di ricordo, salvezza. Dove sono allora i canti della mia giovinezza? Vorrei illudermi, dire che sono un’eco che vibra ancora su questi nostri monti. Magari è davvero così. Perché questi versi sono i fiori incolti di questa terra. Fiori che nascono e muoiono senza che nessuno debba curarsene. Muoiono ma la primavera dopo sono di nuovo qui a rallegrarti.