Magazine Diario personale
Le partenze intelligenti non esistono
Creato il 22 luglio 2011 da Nonchiamatemiborgia @nonsonoBorgiaImbocco le solite strade, semideserte e leggermente desolate; ci sono solo quei pochi mattinieri che iniziano alle 8 e mezza oppure, molto più probabilmente, hanno optato come me per la partenza intelligente. I raggi del sole, però, stanno già scaldando troppo: guardo velocemente il termometro sul cruscotto. “28°”. Sì, fa caldo, ma io oggi stazionerò la mia Yaris lì, vicino al teatro Giovanni da Udine, dove i bollenti raggi del sole non arrivano, e quindi non mi lamento.
Faccio le solite due rotonde ed eccomi in via Marsala, quel corridoio che ogni giorno mi fa accedere al centro città. Quello davanti a me frena improvvisamente: “No! Ecco il primo impedito della giornata!”. Fra un’imprecazione e l’altra vedo che a metà via, il traffico è gestito da un pover uomo con il giubottino arancione. E dico pover uomo non per il giubottino, quanto perché è obbligato a stare sotto il sole cocente, 86 gradi all’ombra, tutto il santo giorno per poi, magari, guadagnarsi 700 miseri euro.
Ok, mi rammarico per aver insultato gratuitamente il tizio davanti e accetto questo primo ostacolo, anche se sposterà la mia tabella di marcia di 5 minuti. Ma la vita è fatta anche di imprevisti e, quindi, me la faccio scivolare via. Finalmente il pover uomo arancione ci fa passare: guardo l’orologio e penso – Ce la posso ancora fare… -. Arrivo al sottopassaggio ed eccola lì: una transenna con affisso quel cartello giallo stridente DEVIAZIONE. Inizio a dubitare della possibilità di trovarlo, quel fantastico posto vicino al teatro.
Ma non è il momento di pensare e quindi seguo automaticamente la deviazione. Costeggio la strada sotto la ferrovia: davanti e dietro di me altri automobilisti innervositi. Probabilmente anche loro erano partiti prima per trovarsi un parcheggio libero all’ombra. Arriviamo a un incrocio che ci farà immettere su una strada semiprincipale: mentre siamo lì incolonnati, a pensare a quanto sarebbe stato bello andare verso piazzale Cella, ci sfreccia accanto un vigile in motorino. Anzi, più che sfrecciare è fuggire: come se stesse scappando da una calamità naturale, un tornado che sta avanzando proprio verso di lui. E qui mi sembra giusto che in una tale baraonda urbana, il vigile se la fili per piazzarsi su un attraversamento pedonale per facilitare il passaggio di nessun pedone.
Finalmente passiamo anche questo incrocio e, un senso unico, ci porta dove io temevo di più. Il viale alberato che ci fa confluire sulla strada che arriva da viale Palmanova, la via da cui tutto il sud del Friuli arriva. Casino e ancora casino. Il viale alberato è pure in salita e, quindi, quando metti la prima devi sgasare come fossi Vin Diesel in uno dei suoi 300 Fast & Furious (o come direbbe qualcuno Svelto e Incazzato). La Lancia dietro di me non ha capito che siamo in salita. No, non lo ha capito, perché altrimenti non mi starebbe appiccicata al culo della macchina. E intanto, persone in bici che rischiano di portarti via gli specchietti dell’auto.
Miracolosamente entro nella strada principale, ringraziando l’Entità di avere un’utilitaria, piccola e veloce, e non un suv con la manovrabilità di una petroliera (cit. Sciccherie). Entro in viale Trieste, sperando ancora che nessuno abbia notato quel bellissimo e freschissimo parcheggio vicino al teatro. I semafori non mi aiutano: rosso, rosso, rosso. Arrivo davanti all’entrata del teatro, l’occhio cade sull’orologio: sono arrivata dieci minuti più tardi del solito, più tardi di quando parto con tutta la calma del mondo alle 8 e un quarto. Solo dei maledetti posti al sole. Più maledetti dell’omonima fiction Rai.
Arresa ad un altro giorno, piazzo la macchina lì, dove l’ombra non potrà mai arrivare: anche oggi la macchina sarà una serra al mio ritorno. Eppure, sono partita prima.
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