Le paure dei singoli, amplificate e cementate dalla comunicazione globale, limate e rifinite da Internet, generano mostri collettivi.
Detta così sembrerebbe una comoda spiegazione sociologica per giustificare l’incremento di tutta una serie di “fisime” che si vanno espandendo sempre più tra la popolazione mondiale.
In realtà una paura “dovrebbe restare” soltanto una paura sino a che non si possa dimostrare – applicando impropriamente il metodo scientifico alla psiche umana – una ripetizione comprovata od una serie di ripetizioni del fenomeno.
Per esempio, trasferendo il tutto nei tempi bui della peste nera, la paura del singolo soggetto del propagarsi della peste nel suo villaggio restava una semplice ipotesi (seppur spaventosa) sino a che, al primo caso di morte sospetta non ne seguivano altri simili e poi altri ancora. La conferma della presenza della peste – mancando del tutto prove mediche da esperimenti – stava nella quantità di morti con gli stessi sintomi che si accumulavano per le strade. La paura diveniva così un fatto. Salvo che prima di divenire tale, si era già provveduto a condannare una serie di innocenti in qualità di untori.
Oggi giorno, la paura di un gruppo circoscritto diventa (erroneamente) la “prova provata” – la pistola fumante, secondo la terminologia in voga – che il fenomeno è reale quando questi “singoli” timori trovano appiglio sul Web o sui mezzi di comunicazione e subiscono un’amplificazione tale da conferire loro una patina di realtà. Poco importa che non esistano prove effettive che quanto temuto sia vero al di là di ogni ragionevole sospetto.
Insomma – nella società globalizzata – più è alto il numero di coloro che asseriscono di aver visto, sentito, filmato una cosa (un ufo, un fantasma, un gremlin) tanto più la paura aumenta e di conseguenza la presunta credibilità dell’evento in oggetto ed in questo non siamo molto distanti dai nostri antenati medievali che mettevano al rogo una donna solo perché in dieci asserivano di “aver sentito in giro” che la poveretta cavalcava una scopa nelle notti di plenilunio.
La dimostrazione pratica che anche nell’evoluto XXI secolo una parte della popolazione mondiale, quando si tratta di paure, si comporta – accantonata velocemente la Ragione con buona pace degli Illuministi – come gli ignoranti bubulchi dell’evo oscuro, risiede nella notizia che esistono persone che si assicurano contro una serie di fenomeni i quali – almeno per ora, sino ad una prova definitiva – non possono essere dimostrati veri.
Ecco che spuntano addirittura polizze assicurative (i dati provengono da agenzie assicurative on line) dei Lloyd’s of London che tutelano i loro clienti contro i rapimenti da ufo. In pratica le vittime di “abductions” contraggono un’assicurazione che, nel caso di rapimento, dovrà risarcire le vittime od i loro familiari, qualora la scomparsa sia… definitiva.
Viene da chiedersi – uscendo per un attimo dal tema delle “paure” – quali sistemi utilizzeranno i periti delle Assicurazioni per comprovare se la sparizione è realmente prodotta da un rapimento alieno o se il soggetto non ha montato su una bufala (magari con amici compiacenti vestiti da “grigi” e con disco volante di compensato e stagnola) per accaparrarsi un premio, che sempre i bene informati del settore, hanno calcolato essere sul milione di sterline. In futuro anziché titoli quali “truffano l’Assicurazione fingendo un incidente” troveremo “truffano l’assicurazione fingendo un rapimento da Zeta Reticuli“…?
Naturalmente le paure assicurabili ed assicurate non si fermano qui: c’è chi ha contratto una polizza in caso di attacco di vampiri, oppure contro i lupi mannari. Altri, memori delle complicazioni sociali verificatesi a Betlemme, poco prima dell’anno zero, si sono assicurati contro il rischio di “immacolata concezione“; le divinità in “fregola” sono effettivamente un pericolo da non sottovalutare…
Nel 2005, poi, un gruppo di atleti di triathlon, dovendo attraversare, durante una gara, il lago scozzese di Loch Ness, ha contratto un’assicurazione per proteggersi dal rischio di essere divorati da Nessie.
Che queste notizie – ma come non fidarsi di chi mastica di assicurazioni… – siano vere oppure parzialmente inventate conta poco. Servono bene a definire quanto la Rete alimenti costantemente le nostre paure e come il passaparola virtuale vada perdendo, di post in post, le connotazioni dubitative per trasformarsi in una verità collettiva assoluta, in grado di alimentare sempre di più quella che – rubando un titolo ad effetto a Gesualdo Bufalino – possiamo battezzare “la diceria dell’untore”.
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